3 Mag 2024

Il libero arbitrio è un’illusione? – #923

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Quella di oggi è una di quelle puntate in cui facciamo un po’ una panoramica non sull’attualità ma sulla scienza, quindi novità derivanti da studi scientifici, teorie che prendono piano piano spazio nel mainstream e così via. In particolare parleremo di libero arbitrio (che forse non esiste), dei problemi del gas di scisto, di come le montagne impattano sulle emissioni di CO2, di giornalismo costruttivo e infine, di notizie dalla Sardegna che Cambia.


E vorrei partire proprio da una teoria che si sta facendo spazio nel pensiero scientifico contemporaneo, e anzi direi che ormai sta facendo breccia anche nel mainstream, e che riguarda il libero arbitrio. 

Qualche settimana fa Neil De Grasse Tyson, che per chi non lo conoscesse è probabilmente il divulgatore scientifico più conosciuto al mondo (almeno nel mondo anglofono) ha ospitato all’interno del suo format YouTube StarTalk Robert Sapolsky, che è un neurobiologo della Stanford University, fra i più influenti al mondo, che ha fatto del libero arbitrio il suo ambito principale di ricerca. E che sostiene essenzialmente che dal punto di vista scientifico, il libero arbitrio non ha nessuna ragione di esistere e potrebbe essere una semplice illusione, un riflesso del nostro cervello.

Se parlate inglese un minimo, vi consiglio di vedere il video per intero perché è molto interessante, io nel dubbio provo a farvi io un riassunto del suo pensiero. 

Sapolsky ha un approccio interdisciplinare alla neurobiologia, che tiene assieme le scienze comportamentali, la storia evolutiva della nostra specie, i meccanismi neurobiologici e così via. E sostiene che le nostre decisioni siano influenzate, anzi determinate, da una complessa rete di processi biologici che precedono la nostra consapevolezza.

È come se in ogni istante, ogni nostra scelta, piccola o grande che sia, sia determinata in maniera del tutto esatta da una somma di fattori. Che possono arrivare da molto lontano, ad esempio possono essere leve genetiche che derivano dalla storia evolutiva della nostra specie, oppure dalla nostra storia familiare, oppure da quello che sta succedendo attorno a noi, da quello che abbiamo mangiato al mattino, dal tipo di sostanze presenti nel nostro organismo e così via. 

Tutte queste cose assieme determinano, secondo Sapolsky, in maniera esatta il nostro comportamento. E questo si può osservare anche con le moderne risonanze magnetiche funzionali, che mostrano come le nostre decisioni emergano da una miriade di influenze biologiche e chimiche che operano al di sotto del livello della consapevolezza. Attraverso studi dettagliati, Sapolsky e colleghi hanno esplorato come ormoni, neurotrasmettitori, e persino il nostro ambiente genetico e sociale, giochino un ruolo cruciale nelle nostre azioni quotidiane, spesso molto prima che diventiamo coscienti di una “decisione”.

Ad esempio, la ricerca di Sapolsky ha evidenziato come il neurotrasmettitore dopamina influenza fortemente le nostre scelte. Così come molti altri neurotrasmettitori. Insomma il meccanismo osservato da Sapolsky è all’incirca il seguente. Ci sono elementi biologici, genetici e ambientali che in ogni momento fanno sì che si attivino dei precisi stati neurochimici, dai quali derivano in maniera deterministica le nostre decisioni, i comportamenti, ogni nostra azione. E all’interno di questa sorta di catena di cause effetto in cui ogni trasmettitore attiva un certo ricettore e sciami di sinapsi si attivano in aree del cervello, nessuno è in grado non solo di dire, ma nemmeno di immaginare in che punto potrebbe intervenire quello che in genere chiamiamo libero arbitrio. 

E anzi, l’aspetto consapevole, il momento in cui ci rendiamo conto di aver preso una scelta, è in realtà successivo di qualche istante a quando quella scelta viene in effetti presa in aree più remote e inconsapevoli del nostro cervello. Tant’è che ci sono vari esperimenti che mostrano come se abbiamo una persona con dei sensori che monitorano la sua attività cerebrale, possiamo prevedere le sue scelte (su cose molto semplici, come indicare a destra o sinistra) prima ancora che lui ne sia consapevole.

Insomma, più la scienza ha indagato il funzionamento del nostro cervello, più sono emersi gli aspetti neurobiologici legati alle decisioni, più il libero arbitrio ha iniziato a retrocedere, fino a scomparire. Mi sembra un meccanismo simile a quello del Dio creazionista, che prima nelle convinzioni diffuse aveva creato l’uomo e il mondo, poi ogni volta che si scopriva qualcosa di più indietro ha iniziato a retrocedere finché adesso ci sono teorie secondo cui Dio sarebbe l’artefice del Big Bang.

Ora, una roba come questa del libero arbitrio è una roba grossa. Ma grossa grossa. E ci sono due aspetti: una è la questione scientifica. Su questa credo di avervi spiegato il succo principale. Anche se ci tengo a sottolineare che dire che il libero arbitrio non ha senso fdal punto di vista scientifico, non equivale a dire che non può esistere. Mettiamola così: per quello che sappiamo del mondo attraverso l’indagine scientifica, niente indica che esista.

Poi però c’è un’altra questione, altrettanto enorme, che è quella delle implicazioni di questa convinzione. Perché gli studi di Sapolsky sollevano questioni profonde riguardo la responsabilità personale e la moralità. Le implicazioni di queste scoperte sono vastissime, dal campo della psicologia, a quello della sociologia e della giurisprudenza. 

E nella seconda parte dell’intervista Sapolsky si addentra, in maniera curiosa e forse meno scientifica ma altrettanto interessante, nelle ripercussioni che questa convinzione potrebbe avere sulle nostre società se venisse in qualche modo accettata. Ad esempio, se il comportamento criminale può essere attribuito a fattori neurobiologici fuori dal controllo dell’individuo, come dovrebbe reagire il nostro sistema legale? Sapolsky sostiene che a quel punto la giustizia dovrebbe avere solo il significato protettivo della società (tipo ti isolo perché tu non faccia del male agli altri) e rieducativo (ti metto nelle condizioni di non fare del male agli altri) ma mai punitivo. Che senso ha punire qualcuno per qualcosa che era inevitabile, nelle condizioni in cui si trovava?

In generale, la convinzione di Sapolsky, e devo dire anche la mia è che un mondo in cui gli esseri umani riconoscono che non c’è libero arbitrio è un mondo meraviglioso. Ci ho riflettuto un po’, e sono abbastanza d’accordo. All’inizio questa prospettiva mi spaventava molto. Ma più ho iniziato a pensarci in maniera concreta più mi sono accorto che in realtà non cambierei granché nel mio comportamento. L’assenza di libero arbitrio non significa che non si possa cambiare noi stessi o il mondo, né toglie niente alle nostre possibilità. 

In realtà il principale effetto che ho notato da quando ho introdotto, almeno in prova, e a fasi alterne, questa convinzione nella mia vita è una maggiore empatia verso il prossimo, una maggiore comprensione. Il fatto di vedere ogni azione altrui come il frutto inevitabile della sua genetica, storia personale e influenza del contesto rende molto più compassionevole. Unico dubbio che mi è venuto è se in uno scenario distopico, alla Minority report, il fatto di poter prevedere come un individuo reagirà a certi stimoli non possa essere usato per incarcerare qualcuno preventivamente, o al contrario per indirizzarlo verso qualcosa. In questo anche il marketing andrebbe ripensato completamente, se non vietato per buona parte. Vabbé le implicazioni come avrete capito sono innumerevoli.

La più divertente è quella che ho notato in Sapolsky stesso, che si è presentato a una diretta con il divulgatore scientifico più seguito al mondo praticamente in pigiama sul divano di casa sua, col cane accanto. In pratica, quando smetti di credere nel libero arbitrio, poi non te ne frega una mazza di quello che pensano gli altri.

Cambiamo nettamente argomento. Sono usciti due studi che hanno a che fare con clima e CO2, molto interessanti e, diciamo, nuovi. Il primo è stato pubblicato su “Science of the Total Environment” e riguarda l’attività di estrarre il gas naturale dalle formazioni di scisto. 

Il gas naturale di scisto è quello contenuto in delle specie di sacche impermeabili che si formano nelle rocce o nelle formazioni argillose. Si stima che ce ne sia un bel po’ là sotto e il progresso dei macchinari ha reso via via più semplice tirarlo fuori, e viene considerato meno impattante di quello ad esempio rispetto a quello che si trova sottoterra o addirittura sotto i fondali marini che viene estratto attraverso trivellazioni. 

Questo nuovo studio però solleva ulteriori dubbi sull’utilizzo di questo tipo di gas. A parte che in generale sappiamo che dovremo smettere il prima possibile – tipo ieri – di bruciare gas. Sappiamo anche che però una percentuale di gas, il più piccola possibile, e da azzerare il prima possibile, dovremo continuare a bruciarla ancora per un po’ e quindi è giusto interrogarsi su quale sia il modo meno impattante per estrarlo.

Ora, quali sono le grosse perplessità sollevate dallo studio? Sono perplessità legate alle emissioni di metano dopo la dismissione del giacimento. In pratica un team di ricercatori guidati dalla Penn State ha sviluppato un nuovo strumento che può stimare il potenziale di emissione dei pozzi di scisto dopo che non sono più attivi.

In pratica l’impatto climatico del gas naturale, che è perlopiù metano, avviene in due modi. Quando viene bruciato per produrre energia, si emette CO2, anidride carbonica, che sappiamo essere il gas climalterante che è il principale responsabile dell’effetto serra. Ma ancora peggio è quando il metano finisce direttamente in atmosfera. Perché in quel caso il metano ha una capacità climalterante, quindi di causare il riscaldamento globale, circa 80 volte superiore alla CO2. E anche se permane meno in atmosfera, quindi l’effetto dura di meno, questa cosa è un grosso problema. 

Sappiamo che le perdite di metano durante le fasi estrattive sono molto frequenti e che una consistente quantità di metano finisce in atmosfera ogni volta che lo estraiamo. Quello che non sapevamo è che anche una volta finito di estrarre il metano, almeno ne caso del gas di scisto, questo continua a uscire dai giacimenti vuoti ancora per anni e in quantità noin trascurabili. 

In pratica che succede, questo tipo di estrazione avviene con delle perforazioni nella roccia fino a migliaia di metri in profondità per raggiungere lo scisto, e poi si prosegue orizzontalmente attraverso la sacca e via vi si inietta una miscela di liquido e sabbia ad alta pressione nello scisto per aprire piccole fratture e permettere al gas di sfuggire dalla roccia.

Tuttavia, questo processo recupera solo una frazione — circa il 20% o meno — della risorsa totale di gas naturale. Il resto rimane intrappolato all’interno di piccoli pori. Ecco, analizzando campioni di scisto, gli scienziati sono stati in grado di creare un modello matematico per prevedere il flusso di metano che rimane nella formazione basato sulla struttura dei pori. E i risultati mostrano che quell’80% di gas inutilizzato e inestratto continua a uscire nel corso degli anni da queste formazioni rocciose, con un impatto devastante sul clima.

Quindi ecco, gas di scisto, no buono. Ricordiamocelo.

Sempre a proposito di emissioni di CO2, un altro studio fa luce su un altro fenomeno molto interessante, in cui una volta tanto l’essere umano non c’entra niente. E che riguarda invece la formazione delle montagne. 

Terra sia come un grande organismo che respira, assorbendo e rilasciando gas come l’anidride carbonica (CO2), che è molto importante per il nostro clima. Le montagne, che si formano quando le placche della crosta terrestre si scontrano e si spingono l’una contro l’altra, giocano un ruolo chiave in questo “respiro” del pianeta.

Quando le montagne si alzano, scatenano reazioni chimiche nelle rocce esposte. Queste reazioni possono catturare CO2 dall’aria e intrappolarla nelle rocce, un po’ come se le montagne “mangiassero” CO2. Questo processo è molto utile perché riduce la quantità di CO2 nell’atmosfera, aiutando a controllare il riscaldamento globale.

Tuttavia, c’è anche un altro lato della medaglia. Durante la formazione delle montagne, alcune rocce profonde e ricche di carbonio, chiamate carbonati, possono scaldarsi e rilasciare CO2. Questo processo può accadere soprattutto quando una placca terrestre scivola sotto un’altra, un fenomeno noto come subduzione. Il rilascio di CO2 da queste rocce profonde può essere significativo e contrastare il beneficio della CO2 catturata dalle reazioni nelle rocce superficiali.

Lo studio che abbiamo discusso si concentra sull’Appennino centrale in Italia, una catena montuosa dove questi processi sono molto attivi. I ricercatori hanno esaminato come le montagne rilasciano CO2 e come questa interagisce con le rocce in superficie che assorbono CO2. Hanno scoperto che, in questa regione, il rilascio di CO2 dalle rocce profonde è molto influenzato dalle caratteristiche geologiche e dal movimento delle placche sottostanti.

In sostanza, l’importanza di queste scoperte è che ci aiutano a capire meglio come le montagne influenzano il clima globale non solo catturando CO2, ma anche rilasciandola, e come questi processi siano strettamente legati ai movimenti e alle caratteristiche delle placche terrestri. Questo è cruciale per prevedere e gestire l’impatto delle attività umane sul cambiamento climatico.

Oggi è la giornata mondiale della libertà di stampa ed è anche la giornata nazionale dell’informazione costruttiva. Informazione costruttiva è una roba che dovrebbe essere scontata: io do informazioni in un modalità in cui siano utili alla vita delle persone. Ma non tutti i giornali lo fanno. Anzi, lo fanno relativamente in pochi, direi. Con ICC aderiamo alla rete del giornalismo costruttivo e oggi pubblichiamo un’intervista del nostro direttore Daniel Tarozzi ad Assunta Corbo fondatrice del Constructive Network.

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Oggi è anche venerdì, giornata di rassegne sarde:

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