20 Lug 2023

Patrick Zaki libero, Al Sisi ha concesso la grazia – #770

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È morto Andrea Purgatori, un giornalista di quelli bravi, che nella vita si è occupato di un sacco di cose, fra cui la strage di Ustica e il caso di Emanuela Orlandi. Parliamo anche di come le proteste contro lo stop alla pesca a strascico voluto dalla Ue non abbiano molto senso, nemmeno per i pescatori, di un caso di cattiva organizzazione di un evento dal punto di vista ambientale, segnalatoci da una lettrice, che riguarda Coldiretti e infine del problema dell’inquinamento delle acque, che secondo un nuovo studio potrebbe riguardare oltre 5 miliardi di persone entro fine secolo.

Il presidente egiziano Abdel Fatah al-Sisi ha concesso la grazia a Patrick Zaki.

Come riporta Rai News “La decisione è stata presa dopo la condanna a 3 anni di carcere dello studente egiziano, iscritto all’Università di Bologna (dove si è laureato con 110 e lode lo scorso 5 luglio). La sentenza della corte speciale – che aveva condannato l’attivista per “diffusione di notizie false” per alcuni articoli scritti sui social – non era appellabile e ieri Zaki era stato arrestato immediatamente nell’aula del tribunale. Dei 3 anni, avrebbe dovuto scontare ancora 14 mesi. Dopo la condanna, erano stati diversi gli appelli per la concessione della grazia sia da parte del governo italiano che di quello degli Stati Uniti”.

Patrick è stato rilasciato già ieri: lo ha detto Khaled Ali, un noto avvocato e attivista politico, ex-candidato alle presidenziali egiziane, contattato per telefono dall’ANSA

Al-Sisi ha concesso la grazia anche a Mohamed al-Baqer, l’avvocato di Alaa Abdel Fattah, probabilmente il più noto prigioniero politico egiziano.

Su Facebook un componente del Comitato per la grazia presidenziale egiziano, Mohamad Abdelaziz, ha scritto: il “Presidente Abdel Fattah al-Sisi (…) usa i suoi poteri costituzionali ed emette un decreto presidenziale che concede la grazia a un gruppo di persone contro le quali sono state pronunciate sentenze giudiziarie, tra cui Patrick Zaki e Mohamed El-Baqer, in risposta all’appello del Consiglio dei segretari del Dialogo Nazionale e delle forze politiche”.

Ieri mattina è morto a Roma il giornalista, sceneggiatore e autore Andrea Purgatori. Aveva 70 anni e ne parliamo in apertura perché – oltre al dispiacere – si tratta di uno di quegli esempi di giornalismo fatto con tutti i crismi, di quelli che additi quando vuoi indicare uno bravo, che fa bene il suo mestiere. È morto, scrive la famiglia in una nota, per una malattia dal decorso fulminante, sulla quale non sono fornite ulteriori informazioni.

Purgatori era una di quelle persone che ha fatto tante cose diverse, e tutte a livelli molto alti. Come ricorda un articolo su Domani, “Ha lavorato per anni al Corriere della Sera, dove si è occupato di terrorismo, intelligence e criminalità, raccontando molti delitti di mafia, il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro e soprattutto la strage di Ustica, a cui si dedicò per molti anni. Più di recente ha indagato alla scomparsa di Emanuela Orlandi, e nel 2022 ha partecipato al film documentario Vatican Girl, proprio su questo caso di cronaca. È stato autore di reportage e inchieste, ha condotto diversi programmi televisivi sulla Rai, su Sky e in anni più recenti su La7, dove conduceva il programma Atlantide.

Inoltre negli anni Ottanta è stato inviato di guerra durante le guerre in Libano, in Iran e Iraq e negli anni Novanta durante la Guerra del Golfo.

Ma è stato anche presidente di Greenpeace Italia tra il 2014 e il 2020. L’organizzazione ambientalista lo ricorda così: “Andrea era entrato in Greenpeace Italia nel 2005, un periodo difficile e di cambiamenti per l’organizzazione. Il suo contributo è stato importante sin dall’inizio per l’approccio franco e leale, per gli interventi di stimolo per tutti noi. Nel 2014 aveva accettato di diventare presidente e anche grazie al suo impulso Greenpeace aveva introdotto delle innovazioni, aumentando la qualità del proprio lavoro di indagine e di comunicazione”. 

Inoltre era docente di sceneggiatura e consigliere di vari autori, è stato sceneggiatore di film e fiction televisive, tra cui Il muro di gomma, Fortapàsc (sul giornalista Giancarlo Siani) e Il giudice ragazzino. 

Ha collaborato a molti progetti con Corrado Guzzanti, dal caso Scafroglia, a Fascisti su Marte e Aniene e ha partecipato a diversi episodi della serie Tv Boris. 

Insomma, un personaggio eclettico, ma anche e soprattutto un giornalista noto per non farsi mai indietro, per perseguire ostinatamente la ricerca della verità, dei fatti, per fare emergere anche quelle verità scomode, che nessuno vuole far conoscere. 

Comunque voglio leggervi come Marco Ventura lo ricorda in un bell’articolo sul Messaggero. Prima però vi faccio un riassunto veramente mini di che cos’è l’episodio noto come strage di Ustica, per non dare nulla per scontato. Si tratta di un incidente aereo, avvenuto nel giugno 1980 sul mar Tirreno fra Ponza e Ustica, nel quale un aereo DC-9, un aereo di linea,  precipitò in mare e persero la vita 81 persone. 

Solo che a distanza di tanti anni ancora non si sa bene perché quell’aereo è precipitato, e attorno al fatto sembra esserci una sorta di intrigo internazionale. L’ipotesi più accreditata riguarda un coinvolgimento internazionale, in particolare francese, libico e statunitense, con il DC-9 che si sarebbe trovato sulla linea di fuoco di un combattimento aereo e sarebbe stato bersagliato per errore da un missile lanciato nello specifico da un caccia francese o americano, che invece voleva colpire un MiG delle forze aeree libiche.

Ecco, questo è il fatto, in breve. Torniamo al ricordo di Marco Ventura sul Messaggero.

“Andrea Purgatori è legato per me al ricordo di due giornate formidabili, di quelle che appartengono a una storia del giornalismo d’annata che forse non esiste più. La prima rimanda all’interminabile e sterminata inchiesta sulla tragedia del Dc-9 di Ustica, di cui Andrea era esperto, sul quale si fece le ossa come giornalista d’inchiesta, e per il quale appassionò anche noi che avevamo qualche anno di meno e vedevamo in lui una guida tra le pieghe (e i faldoni) di un mistero irrisolto. In realtà, il ricordo è quello di un episodio collaterale, ma che più di qualsiasi altro testimonia gli aspetti surreali di quella vicenda: il ritrovamento dei resti di un Mig-23 libico sui Monti della Sila, il 18 luglio 1980, che da molti fu collegato, negli anni, alla caduta del Dc-9 Itavia, e fece supporre che il giorno effettivo in cui il Mig precipitò fosse in realtà il 27 giugno, la sera di Ustica. Ai primi di novembre del 1990, il giudice Rosario Priore decise di andare di persona a verificare se qualche rottame del Mig fosse rimasto nel vallone di “Timpa della Magara”, a dispetto di quanti avevano detto che tutto ciò che restava era stato impacchettato e riconsegnato a Gheddafi.

Così ci ritrovammo, insieme a tre guardie forestali, a risalire una pietraia fino al punto d’impatto, dove luccicavano ancora al sole i resti del Mig. Perché non tutto era stato riconsegnato, anzi. C’erano una bombola d’ossigeno, una forcella del cupolino, un cartonato di pannello dei comandi, le fibbie del seggiolino, pezzi metallici deformati e materiale elettrico… Fu un momento incredibile. Rimanemmo a bocca aperta. Toccavamo i “fatti” di dieci anni prima, che nessuno aveva ritenuto di indagare. Ognuno di noi si caricò di qualche pezzo di Mig e fu così che riuscimmo a portare tutto (o quasi) giù a valle.

Quel giorno fu anche un successo per Andrea. Praticamente ogni passo in avanti dell’inchiesta nasceva da domande che lui per primo aveva posto, alle quali non si era data risposta, e che in molti casi nessuno aveva avuto il coraggio neppure di porsi. E lui era lì, col suo taccuino e la sua penna, e quella espressione riflessiva e curiosa, seria, che non lo ha mai lasciato ed è, per me, la sua nota distintiva. E lo sguardo penetrante, che diceva come il suo cervello stesse rimuginando ipotesi e collegamenti senza sosta.

Il secondo aneddoto ve lo lascio per voi, se volete approfondire. Trovate l’articolo del messaggero come al solito sotto Fonti e articoli.

Parliamo di pesca. Di pesca a strascico per l’esattezza. Non so se vi ricordate, ne abbiamo parlato anche qui su INMR, ma  il 21 febbraio scorso l’Unione europea ha proposto una normativa che intende bloccare a partire dal 2030, la pesca a strascico all’interno delle aree marine protette e negli ecosistemi profondi vulnerabili.

È una proposta, direi, di buon senso, anzi forse osservando lo stato attuale degli ecosistemi arini anche troppo timida. Ma ciononostante ha sollevato molte critiche da parte di organizzazioni del settore, e in particolare di Coldiretti, nonché dei pescatori stessi, che temono dei danni per il loro comparto.

Su Repubblica di ieri è uscito un articolo molto interessante di Roberto Danovaro, Direttore del Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente dell’Università Politecnica delle Marche, in cui cerca di rimettere i tasselli al loto posto e smontare le motivazioni alla base di questa protesta.

“La protesta dei pescatori e di Coldiretti contro lo stop alla pesca a strascico, proposto dall’Unione Europea a partire dal 2030, rischia di creare gravi equivoci e necessita di un chiarimento. Partiamo da un dato scientifico inconfutabile: c’è sempre meno pesce nel mondo.

A partire dalla metà degli anni ’90, la pesca globale è diminuita di un milione di tonnellate all’anno nonostante lo sviluppo di tecnologie sempre più avanzate. Il Mediterraneo è il mare più pescato al mondo con il 70% delle specie sovra-sfruttate e una resa in forte calo. Basti pensare che fino al 1985 venivano sbarcate quasi 400 mila tonnellate all’anno di pescato, mentre nell’ultimo decennio non raggiunge le 200 mila tonnellate (Fonte dati ISTAT). 

La pesca a strascico, che raccoglie poco più di un terzo del pescato, è notoriamente tra le più distruttive per gli ecosistemi marini perché determina una sorta di aratura dei fondali. Le reti raccolgono e distruggono gli organismi che popolano i fondali, anche quelli che creano foreste animali sottomarine e ospitano le uova di molte specie ittiche ma prive di interesse commerciale. Questi organismi formano lo “scarto della pesca” che per lo strascico può arrivare anche all’80% delle catture. In Adriatico, alcune porzioni dei fondali sono arate fino a tre volte all’anno. Alcuni fantasiosi portavoce del mondo della pesca affermano anche che lo strascico sarebbe benefico perché “ossigenerebbe i fondali”. Ma non è così: i dati scientifici dicono che purtroppo la pesca a strascico è la principale ragione del declino del pescato e del danneggiamento degli ecosistemi.

“A pagarne il prezzo sono in primo luogo i pescatori che stentano sempre più a ripagare i costi e i consumatori che devono acquistare un pesce sempre più caro. Come spiega il rapporto sullo stato della pesca del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste: “In assenza di tali interventi normativi, risulta sempre più incombente il rischio di crisi ambientali legate al sovrasfruttamento delle risorse biologiche del mare e con essi la conseguente crisi del settore nel prossimo futuro.” 

Quindi, insomma, non è che mantenendo le cose come adesso si stanno tutelando gli interessi dei pescatori.

Anche da queste analisi, arriva l’idea di questo blocco localizzato proposto dall’Europa proprio per ripopolare i mari e aumentare le future rese di pesca. Quindi, in realtà, a favore del settore. 

Non solo. Come spiega ancora l’articolo, “Non ci sarebbe un solo ettaro di mare in più vietato in tutta l’area adriatica. Anzi, nel tempo le rese di pesca dovrebbero aumentare proprio per l’effetto di protezione”. Cioè, in pratica qui il ragionamento è: vietando la pesca a strascico in alcune zone, facciamo sì che si ripopolino di pesci che poi non è che rimangono confinati lì, ma contribuiscono a ripopolare i mari nel loro complesso e quindi anche a favorire – e non svantaggiare – il settore della pesca.

Quindi, perché protestano i pescatori e la Coldiretti? Secondo quanto riporta l’articolo, “Il timore di Coldiretti è che le nuove regole valide solo per i pescatori europei possano svantaggiarci a favore della Tunisia o dell’Egitto che possono pescare senza regole e limiti”. 

“Ma questo problema – spiega il professore – si potrebbe risolvere seguendo il modello che adesso usiamo nel settore automobilistico. Noi possiamo importare solo auto con certi standard (tipo Euro6): ebbene, potremmo limitare l’importazione di pesce solo ai prodotti con gli stessi requisiti richiesti all’Europa. I dati relativi alla pesca degli ultimi 40 anni indicano che continuando così il settore della pesca, e in particolare quello della pesca a strascico non avrà futuro. Triglia di fango, nasello, sogliola, scampo, gambero rosso e gambero viola non sono minacciati dall’Unione europea ma dalla pesca eccessiva. Devono essere trovate delle soluzioni”.

Infine conslude: “Quella proposta dalla UE col blocco dello strascico nelle aree protette è necessaria, anzi indispensabile per ripopolare i nostri mari. Ma non è l’unica. Una seconda soluzione è quella di orientare il settore sempre verso l’acquacoltura integrata e sostenibile, basata su invertebrati a partire da cozze, ostriche e altri bivalvi. Una terza soluzione è quella di orientare il settore verso la piccola pesca artigianale, più sostenibile e capace di creare più occupazione. Una quarta soluzione è orientare la pesca alle specie aliene e invasive, come il granchio blu, ottimo da mangiare e nemico dei nostri ecosistemi. Infine, si possono ridurre i consumi di gasolio e ridurre gli impatti sul clima con motori ibridi o elettrici. Sono tutte misure finanziate dall’Unione europea e sono certamente migliori rispetto ad un aumento dello sforzo di pesca, basta non perdere l’occasione perché sarebbe veramente assurdo”.

Insomma, come spesso accade, osservare solo gli interessi di una singola categoria ci porta a visioni un po’ miopi e a perdere di vista non solo lo sguardo d’insieme, ma anche paradossalmente gli interessi a medio-lungo termine di quella categoria stessa. Perché se c’è una cosa fuori di discussione, al di là dei temi etici che riguardano la pesca in generale, è che se in mare finiscono i pesci, finiscono anche i pescatori.

Sempre a proposito di Coldiretti, ci è arrivata una segnalazione da parte di una lettrice di Italia che Cambia, Alessandra Boccabianca, che ci scrive, oltre che come lettrice anche in quanto referente Plastic Free di San Benedetto del Tronto e come membro del comitato operativo dei Promotori del Parco Marino Piceno.

Alessandra ci scrive a proposito di un evento che si chiama Villaggio Coldiretti che si è tenuto il 15 e 16 luglio, proprio a San Benedetto e in cui a quanto pare l’aspetto della sostenibilità ambientale e di una corretta gestione dei rifiuti non è che fosse proprio rispettata.

“È importante – scrive – che gli organizzatori di eventi rispettino l’ambiente e mettano in atto misure adeguate per gestire i rifiuti in modo corretto, inclusa la raccolta differenziata.

L’organizzazione di grandi eventi può essere complessa, ma è responsabilità degli organizzatori garantire che tutto venga gestito in modo appropriato per minimizzare l’impatto negativo sull’ambiente e sulle comunità locali. Sarebbe auspicabile che l’organizzazione dell’evento collabori con le autorità locali per garantire che vengano seguite le regole e le normative sulla gestione dei rifiuti”.

Alessandra ci ha anche inviato un video in cui documenta quanto scrive, in esempio interessante di citizen journalism. Ve lo lascio, ringraziando Alessandra, sempre sotto fonti e articoli. 

Chiudiamo commentando un nuovo studio uscito sulla rivista Nature Water, che riguarda l’inquinamento delle acque. Ne parla un articolo su AGI, che spiega che “Entro il 2100 fino a 5,5 miliardi di persone potrebbero essere colpite dall’inquinamento delle acque superficiali”. 

Cosa significa, ce lo spiega più avanti. In pratica secondo questo nuovo studio, realizzato da dall’Università di Utrecht, nei Paesi Bassi, il cambiamento climatico e lo sviluppo socioeconomico (soprattutto dei paesi africani) influenzeranno in negativo la disponibilità di acqua nei prossimi decenni, con l’Africa subsahariana che potrebbe diventare un hotspot globale dell’inquinamento delle acque superficiali entro la fine del secolo.

“Gli agenti inquinanti, provenienti da diversi settori di utilizzo dell’acqua, come le attività domestiche, manifatturiere, zootecniche e di irrigazione, possono influire sulla qualità dell’acqua e la gestione necessaria per mitigare questi effetti non è uniforme a livello globale. Inoltre, le proiezioni quantitative globali della futura qualità dell’acqua sono scarse. 

Poi l’articolo spiega le tecniche di modellazione utilizzate dallo studio, vi risparmio questa parte per passare a dirvi che “I ricercatori hanno scoperto che, entro il 2100, fino a 5,5 miliardi di persone potrebbero essere colpite dall’inquinamento delle acque superficiali, a seconda dello scenario climatico e socioeconomico e del tipo di inquinamento”.

Ovviamente, gli studi non fanno previsioni del futuro, ma proiezioni. Lo studio ci mette di fronte a quello che succederà da qui a fine secolo se proseguiamo in questa direzione in termini di sviluppo economico e attività inquinanti. Lo scenario cosiddetto BAU, business as usual. Possiamo scegliere, collettivamente, di spostarci in un’altra dimensione. In un’altro tipo di economia, fatta da indicatori e obiettivi diversi. I parte lo stiamo già facendo, ma è importante continuare a cogliere i segnali di urgenza che ci arrivano dalla scienza e dagli ecosistemi.

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