10 Ott 2022

Perché d’improvviso gli Usa “attaccano” Kiev? – #596

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Come mai, d’improvviso, i giornali Usa hanno iniziato ad attaccare la condotta di guerra del governo ucraino? E cosa dobbiamo aspettarci dalle elezioni di mid term negli Usa e dal ventesimo congresso del PCC? Parliamo anche di come Cingolani ha boicottato le rinnovabili in Italia, della enorme catena umana a Londra in favore di Assange e di come stanno andando le cose nelle Marche.

LE STRANE ESTERNAZIONI DEGLI USA SULL’UCRAINA

Sono successe tre cose abbastanza singolari negli ultimi giorni che hanno a che fare con il posizionamento degli Usa rispetto al conflitto in Ucraina. In tutti e tre i casi c’entra un giornale, il New York Times, e in due di questi casi c’entrano dei retroscena a fatti di cronaca. La prima notizia è che giovedì alcuni funzionari dell’amministrazione americana hanno confidato al NYT che ritengono che ci sia la mano di “una parte del governo dell’Ucraina” dietro all’assassinio di Darya Dugina, avvenuto lo scorso 20 agosto in un sobborgo di Mosca. 

Non so se vi ricordate il fatto, comunque ve lo riassumo: Daria Durgina era una giornalista, volto della tv russa e figlia del noto politologo Aleksandr Dugin, uno degli ideologi di Putin, fervente sostenitrice dell’invasione russa in Ucraina. È stata uccisa ad agosto e inizialmente i giornali hanno ipotizzato che fossero stati il governo o l’intelligence russa ad aver orchestrato l’omicidio.

Poi però, giovedì scorso appunto, il NYT se ne esce con questo scoop. Alcuni funzionari dell’amministrazione americana rivelano al giornale che l’attentato è stato invece orchestrato da Kiev.

L’operazione «è stata autorizzata da parti del governo ucraino», che non avevano informato gli Stati Uniti delle loro intenzioni. Se l’avessero fatto, prosegue la fonte, gli Usa si sarebbero opposti e quando la verità è emersa il governo americano ha protestato con Kiev, intimando all’amministrazione Zelensky di non ripetere più azioni del genere. Non solo infatti, attentati di questo tipo non ottengono alcun vantaggio pratico, spiega Repubblica, ma rischiano di fare infuriare Putin portandolo a prendere decisioni sconsiderate.

Secondo fatto. Sempre il New York Times, in un altro articolo, rivela un altro fatto interessante – Lo apprendo dal magazine online Tempi. Il quotidiano accusa lo stesso governo americano di incoraggiare o perlomeno permettere un invio di armi “sconsiderato” all’Ucraina da parte di intermediari privati. Il quotidiano, documenti alla mano, ha svelato in particolare il tentativo da parte di due cittadini privati residenti negli Stati Uniti, Martin Zlatev e Heather Gjorgjievski, di vendere 30 milioni di dollari di razzi, missili, lanciagranate e munizioni a Kiev. Per farlo e aggirare i vari ostacoli e divieti, i due sarebbero passati attraverso molti intermediari, e diversi stati stranieri.

Così facendo, spiegano alcuni esperti al NYT, c’è il rischio che ciascuno degli intermediari nell’affare possa far sparire parte delle armi per rivenderle a gruppi terroristici o al miglior offerente. Solo nei primi quattro mesi dell’anno, il Dipartimento di Stato a stelle e strisce ha autorizzato 300 milioni di dollari di forniture di armi da parte di privati americani a Kiev, contro i 15 milioni dell’intero 2021. Se normalmente ogni affare di questo tipo richiede settimane o mesi per essere approvato, l’amministrazione Biden ha dato l’ok a contratti come quello di Zlatev e Gjorgjievski nel giro di «poche ore».

Inoltre, una volta terminato il conflitto, l’Ucraina potrebbe diventare un hub per la compravendita illegale di armi: «Come ai tempi della Guerra Fredda Kiev sarebbe un grande mercato nero», spiega Elias Yousif, ricercatore del Stimson Center. E molte di queste armi potrebbero finire nelle mani dei nemici di Europa e Stati Uniti. Anche per questo Biden dovrebbe stare attento al modo in cui fornisce sostegno a Kiev.

Terzo fatto. Ieri ancora il NYT accusa il governo ucraino di essere dietro all’esplosione del ponte di Kerch, che collega la Russia alla Crimea. Anche qui, vi dico prima due parole su quello che è successo. Sabato un camion che percorreva il ponte verso la Crimea è esploso, e il fuoco ha raggiunto tre vagoni che trasportavano carburante su un treno merci, facendoli esplodere a loro volta. Dopo l’esplosione sono crollate due campate della parte del ponte percorsa dai veicoli, mentre quella percorsa dalle ferrovie è rimasta in piedi.

L’esplosione ha causato almeno 3 morti. Il ponte è considerato un’infrastruttura fondamentale per le operazioni militari dei russi in Ucraina, poiché è l’unica strada percorribile dai veicoli per portare rifornimenti in modo rapido via terra nelle zone dell’Ucraina meridionale occupate nel corso della guerra. Inoltre cis ono tutta una serie di questioni simboliche, tipo il fatto che il ponte è stato costruito in pompa magna dalla Russia dopo l’annessione dell Crimea e il fatto che l’esplosione sia arrivata il giorno dopo del copleanno di Putin. 

Mettete tutto ciò insieme e capite come sia stato facile immaginare, per i giornali, fin da subito in questo caso, che ci fosse la regia del governo dei servizi uscraini dietro tutto questo. Solo che in questo caso il governo l’Ucraina non rivendica il fatto, mentre quello russo inizialmente tace, per poi accusare l’intelligence ucraina, col supporto di “altre nazioni”. E allora nuovo se ne esce Il NYT affermando che l’’intelligence ucraina avrebbe avuto un ruolo decisivo nell’esplosione, citando come fonte un funzionario ucraino che avrebbe confermando quanto sostenuto dalla Russia. Secondo la fonte, rimasta anonima a causa del divieto del governo di parlare dell’esplosione, gli 007 di Kiev hanno orchestrato l’esplosione, utilizzando un camion-bomba guidato attraverso il ponte.

Ora, come mai vi ho riportato questi tre fatti? Non solo perché sono interessanti in sé, ma soprattutto perché se li prendiamo insieme, capiamo bene che c’è qualcosa che non torna. Senza prenderci in giro, possiamo dirci con una certa tranquillità che soprattutto in tempi di guerra, è difficile che le notizie escano a caso. C’è una volontà precisa nel fare arrivare certe notizie a un giornale come il NYT. Che poi sicuramente le avrà verificate, incrociate e tutto. Ma comunque qualcuno gli ha passato l’informazione. Quindi, come mai d’improvviso qualche pezzo importante dell’establishment Usa, forse il governo stesso, forse il pentagono, forse l’intelligence, stanno attaccando alcune mosse ucraine?

Vi riporto alcune delle opinioni più interessanti che ho trovato in giro. Federico Petroni su Limes scrive (riferendosi al solo retroscena sull’omicidio di Durgina, ma con un ragionamento facilmente estendibile al resto): “Il clamoroso gesto di accusare pubblicamente l’alleato in guerra palesa la differenza tra gli interessi americani e quelli ucraini. Manifesta l’intenzione di rassicurare la Russia, con la quale è aperto un canale negoziale. E contiene una serie di avvertimenti”.

Ve li leggo, anche se sono un po’ lunghetti, ma vale la pena: “Anzitutto, Washington è contraria ai frequenti sabotaggi condotti dagli ucraini in Russia. Il messaggio è: non portate la guerra sul territorio della Federazione. Tre i destinatari: Kiev, i suoi sponsor europei più fervidi (polacchi in testa, desiderosi di assestare un colpo definitivo ai russi) e Mosca. Col trittico mobilitazione+annessioni+minacce nucleari, Putin ha tracciato due linee rosse: gli occidentali non devono attaccare il territorio nazionale né favorire attivamente il cambio di regime. Questo monito è la risposta americana: non sobilleremo il caos dall’interno.

Infine, gli americani non accusano l’intero governo, ma una parte di esso, per invitare il presidente Volodymyr Zelens’kyj (Zelensky) a ulteriori purghe interne. In particolare in questo momento altamente instabile, gli Stati Uniti ambiscono a rendere Kiev più controllabile da remoto. E a farlo sapere ai russi. In sostanza, è un avvertimento non a fermare, ma a moderare la controffensiva. Gli Stati Uniti ricordano agli ucraini e dimostrano ai russi che non sosterranno qualunque ambizione di Kiev. Soprattutto ora che il Pentagono ritiene molto concreta la possibilità di riconquistare la Crimea, vogliono limitare la sconfitta della Russia al territorio ucraino. Per non indurre il nemico a reazioni inconsulte (la Bomba). Nella certezza che le pressioni su Putin in patria e all’estero (Cina) siano già sufficienti a indebolire il regime moscovita. Senza bisogno di un’ulteriore spinta da ovest”.

Guido Olimpio, giornalista del Corriere della Sera, esperto di questioni di sicurezza, intervistato da Rsi sostiene che il cambio di strategia americano sarebbe dovuto al: “timore di non esacerbare ulteriormente i rapporti con Mosca. Ricordo che gli ucraini chiedono insistentemente armi a lungo raggio che possono arrivare anche in territorio russo, ma Washington, su questo punto, non è disposta a cedere. È probabile che queste rivelazioni siano il frutto di un dibattito interno all’amministrazione e in generale all’interno degli Stati Uniti, dove ci sono pensieri diversi su come andare avanti nella guerra”.

Nello stesso articolo il giornalista ci da un’informazione utile forse anche a  spiegare la strana accusa del NYT al governo americano sull’invio di armi: “Possiamo dire che ci sono due schieramenti all’interno dell’amministrazione, ma anche all’esterno. Alla base tutti sono d’accordo nel sostenere e nell’aiutare l’Ucraina. Si dividono comunque sui tempi. C’è chi ritiene che sia sufficiente aiutare l’Ucraina a non perdere e a mantenere le posizioni attuali, a non essere travolta, e l’Ucraina ci sta riuscendo e sta anche guadagnando posizioni, e chi invece dice ‘dobbiamo dare tutte le armi necessarie che permettano una riconquista, una liberazione di tutti i territori’. Quindi il bilanciamento di queste due posizioni porta poi a delle indiscrezioni, a valutazioni diverse su come e su cosa fare in favore di Kiev”.

In ogni caso, qualsiasi siano i motivi, quasi tutti stanno interpretando questi segnali da Washington come una forma di de-escalation, una volontà di abbassare i toni nei confronti della Russia. Forse per paura del nucleare, forse per non umiliare Putin, forse… non lo so. 

LE ELEZIONI NEGLI USA E IL CONGRESSO DEL PARTITO COMUNISTA CINESE

Va bene, cambiamo argomento. Ci sono due eventi molto importanti a livello politico che potrebbero cambiare (forse, in parte) volto alle due potenze economiche del paese. Le elezioni di Mid-term negli Usa e il congresso del partito comunista cinese. 

Paolo Mastrolilli su la Repubblica descrive così la posta in gioco delle elezioni di metà mandato: “Il controllo del Congresso subito, quindi la paralisi legislativa americana per un paio di anni, con conseguenze pesanti dall’Ucraina alle nomine dei giudici, e le basi per la corsa alla Casa Bianca nel 2024, sfida finale del trumpismo. Sono gli elementi chiave in palio nelle elezioni di midterm dell’8 novembre. Tra poco meno di un mese gli americani voteranno per rinnovare tutti i 435 seggi della Camera; 35 su 100 al Senato; i governatori di 36 stati e tre territori”.

I sondaggi danno i due partiti praticamente appaiati, staremo a vedere quello che accadrà fra meno di un mese. 

Fra pochi giorni invece, il 16 ottobre, inizia il ventesimo Congresso del PCC, che si tiene ogni conque anni ed è un momento centrale per il Paese, perché è l’ che si rinnova la classe politica del paese e si definiscono le linee guida degli anni successivi.  

Spiega il Post: “Poiché la Cina è una dittatura, in mancanza di elezioni generali il Congresso del PCC è l’unico meccanismo esistente per permettere il ricambio della dirigenza del paese”. 

In particolare questo congresso “si preannuncia su un altro livello rispetto a tutti quelli degli ultimi 30 anni poiché il PCC sarà chiamato a prendere delle decisioni storiche: anzitutto, è praticamente certo che confermerà Xi Jinping (segretario del partito e presidente della Repubblica popolare cinese) per un terzo mandato, contravvenendo a tutte le pratiche messe in atto negli ultimi decenni sull’avvicendamento dei vertici dello stato”.

Xi Jinping, il leader cinese più forte dai tempi di Mao, sembra deciso a rinforzare le redini del suo potere, rompendo l’architettura istituzionale costruita dal suo predecessore Deng Xiaoping per evitare eccessivi accentramenti di potere. Comunque, qui intanto vi accenno il tema, poi a breve ne parliamo più diffusamente.

COME CINGOLANI HA BOICOTTATO LE RINNOVABILI

Va bene, piombiamo violentemente in Italia per commentare un breve articolo pubblicato dal Fatto Quotidiano e altri giornali a firma di Angelo Bonelli, portavoce di Europa Verde, dal titolo: “Come il ministro ha sabotato le rinnovabili in sole tre mosse”.

“Il ministro”, e come ti sbagli, è ovviamente lui, il nostro ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani. Leggo dal pezzo: 

“PRIMA MOSSA. Al Mite sono bloccate autorizzazioni per 37 GW di impianti di energie rinnovabili (sono tanti tanti tanti). Le autorizzazioni sono ferme presso la commissione speciale Pnrr-Pniec istituita il 18 gennaio 2022 per accelerare il rilascio delle autorizzazioni per impianti rinnovabili. Da allora non ha rilasciato nemmeno una autorizzazione o una Via (valutazione di impatto ambientale). Ogni mese al Mite arrivano progetti che si accatastato, solo a settembre sono state presentate richieste per impianti di rinnovabili per 6,3 GW. 

SECONDA MOSSA. Il ministro Cingolani non ha approvato il decreto sulle aree idonee per le rinnovabili. Così le richieste di allaccio alla rete elettrica per 280 GW che sono ferme continueranno a rimanere bloccate grazie al Mite . 

TERZA MOSSA. Il ministro Cingolani ha bloccato il decreto attuativo delle comunità energetiche che darebbero un forte impulso alla riduzione dei consumi elettrici da idrocarburi con notevole risparmio economico. Oggi sono quasi un milione gli impianti rinnovabili per autoconsumo che valgono 10 TWh sui consumi elettrici residenziali (il 15% di quelli nazionali residenziali che sono pari a 66 TWh). Perfino il premio Nobel Giorgio Parisi ha dovuto rinunciare a installare i pannelli fotovoltaici perché le norme lo hanno fermato. Con 70 GW di rinnovabili, che si potrebbero installare in meno di 4 anni, faremmo a meno di 26 miliardi di metri cubi di gas, pari alla quota russa di metano che l’Italia utilizzava nel 2021. 

Ecco. E pensate che secondo le indiscrezioni forse Cingolani potrebbe essere l’unico ministro confermato anche dal prossimo governo. Per ora i nomi più accreditati sono il suo e, secondo un’indiscrezione di Repubblica, quello di Franco Bernabè. Che più o meno, a occhio, siamo lì, sempre in quota Eni restiamo, ma saliamo di grado, visto che Bernabè è l’ex AD di Eni.

E a proposito di Transizione ecologica, mi ricordano i FFF tramite il loro canale Telegram che “Un anno fa, alla COP26, l’Italia prometteva di non finanziare più con soldi pubblici progetti fossili all’estero, a partire dal 2023. Venerdì in piazza abbiamo ricordato questa promessa anche a SACE,  che ancora non ha reso noto come intende rispettare l’accordo. Peccato che mancano solo 3 mesi al 2023”. Sace sarebbe una società per azioni controllata dal Ministero dell’economia e delle finanze, specializzata nel settore assicurativo-finanziario, che assicura un sacco di progetti fossili”.

FREE ASSANGE

Torniamo all’estero, in particolare in Inghilterra, in particolare a Londra per dare notizia di una grande manifestazione in sostegno di Julian Assange, davvero molto significativa. Vi leggo l’attacco del pezzo di Sabrina Provenzani sul Fatto QUotidiano: “Centinaia di mani intrecciate in una lunghissima catena umana, almeno 5mila persone che ieri hanno manifestato per la liberazione di Julian Assange attorno alla sede del parlamento britannico, a Westminster, snodandosi lungo il ponte e fino alla sponda opposta del Tamigi e scandendo gli slogan FreeJulianAssange. 

In tanti hanno risposto all’appello di Stella Morris, la moglie di Julian Assange che continua la sua battaglia di giustizia per portare a casa il fondatore di Wikileaks. Che, malgrado abbia scontato ogni reato, resta rinchiuso ormai dal 2019 nel carcere londinese di massima sicurezza di Belmarsh. Lo scorso 1° luglio il suo team di legali ha fatto appello presso l’Alta Corte di Londra conto la decisione di estradarlo negli Stati Uniti, dove è certa la sua condanna a 175 anni di carcere per 18 capi di imputazione, fra cui cospirazione e violazione della legge sullo spionaggio”.

Insomma, la situazione di Assange resta davvero molto complicata, ma una catena umana di 5mila persone è un fatto che non si può ignorare facilmente. Segnalo anche la bella intervista dell’attivista Lorena Corrias a John Rees, organizzatore della catena umana su Peace Link. La trovate come sempre sotto fonti e articoli, in fondo alla pagina.

AGGIORNAMENTI DALLE MARCHE

Da ultimo, voglio darvi qualche aggiornamento sulle Marche, che dopo il terribile nubifragio di tre settimane fa sono già scomparse dai giornali. Non so se vi ricordate, ma il giorno dopo la tragedia dovevamo fare tappa proprio nelle Marche presso l’azienda La Terra e Il Cielo per intervistare Bruno Sebastianelli e parlare con lui di agricoltura biologica (quella vera) e tante altre cose belle. 

L’intervista era saltata per ovvie ragioni, ma lo avevamo comunque intervistato per farci raccontare l’accaduto e Bruno ci ha chiesto esplicitamente di non spegnere i riflettori su quella situazione, anche quando tutti gli altri giornali lo avranno fatto. Venerdì l’ho chiamato per farmi raccontare come stanno andando le cose. 

E la risposta è stata dolceamara. Più amara che dolce. Non vi faccio sentire la sua voce perché l’audio dell’intervista è venuto un po’ disturbato da mio figlio che mi strillava negli auricolari dello smartphone (ve lo risparmio). Ma gli elementi essenziali erano:

  • Abbiamo avuto circa 30mila euro di danni, come azienda, abbiamo fatto domanda per i fondi ma non sappiamo se e quando li vedremo
  • Draghi è stato nelle Marche dopo il nubifragio e ha detto candidamente che aveva inserito in un decreto 5 milioni di aiuti per i danni subiti nella regione, e nello stesso decreto c’erano 70 milioni per le armi all’Ucraina (per far capire bene le priorità)
  • L’alluvione è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso (letteralmente) di una crisi che, a detta di Sebastianelli, ha colpito il settore dell’agricoltura naturale da quando il biologico industriale è entrato in campo abbassando i prezzi a livelli che le piccole e medie aziende non riescono ad ottenere.
  • Le politiche italiane sembrano mirate a far chiudere le piccole aziende per spianare la strada alle grandi multinazionali
  • Le buone notizie sono che: la sua azienda (così come altre colpite) hanno ricevuto una grande ondata di solidarietà (anche pratica, fatta di ordini da parte di gruppi d’acquisto ecc)
  • E che questo li sta spingendo a provare sempre di più la via della disintermediazione: quindi abbassare i prezzi nell’unico modo possibile, accorciando la filiera e saltando la distribuzione. 

Nei prossimi giorni magari facciamo anche un aggiornamento più generale sulla situazione nelle Marche, sui permessi per ristrutturare, i fondi, la ripresa e così via. Oggi ci fermiamo qui.

FONTI E ARTICOLI

#Usa-Russia-Kiev
il Post – Cosa sappiamo dell’esplosione sul ponte in Crimea
il Post – L’importanza del ponte tra Russia e Crimea
Limes – L’avvertimento degli Usa all’Ucraina e altre notizie interessanti
TgCom24 – Darya Dugina, intelligence Usa: c’è il governo di Kiev dietro l’omicidio
Tempi – Le ombre del sostegno americano all’Ucraina
Rsi News – Rivelazioni al New York Times, “un avvertimento per Kiev”

#elezioni di metà mandato
la Repubblica – Biden contro Trump, atto secondo. L’America al voto scruta il suo futuro

#Congresso PCC
il Post – Il Congresso del Partito comunista cinese, spiegato

#Cingolani
il Fatto Quotidiano – Come il ministro ha sabotato le rinnovabili in sole tre mosse

#Assange
il Fatto Quotidiano – Londra, catena umana per Assange attorno al Parlamento: “No a estradizione negli Usa”
Peacelink – Com’è nata l’idea di una “catena umana” per salvare Julian Assange?

#acqua
il Post – Il piano del governo per limitare gli sprechi di acqua

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