15 Mar 2023

PFAS: gli inquinanti eterni sono ovunque? – #689

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Gli PFAS, detti anche inquinanti eterni, si trovano praticamente ovunque. Sempre più studi e inchieste ne stanno svelando la loro onnipresenza e anche la loro pericolosità per la salute nostra e degli ecosistemi. Parliamo anche delle nuove proteste degli agricoltori in alcune regioni dell’India, di chi è il nuovo primo ministro cinese e del ciclo di incontri organizzato da Ultima generazione.

È un po’ che volevo parlarne ma non trovavo mai lo spazio adatto, per questioni di attualità. Ma il tema è molto importante e centrale. Sto parlando dei PFAS, i cosiddetti inquinanti eterni, un insieme di sostanze molto utilizzate da varie filiere industriali. Nelle ultime settimane sono usciti diversi studi e una grossa inchiesta che mostrano come queste sostanze siano presenti un po’ ovunque e stiano diventando un problema serio per la salute nostra e degli ecosistemi in cui viviamo. Oggi quindi approfitto di un articolo molto completo uscito su Valori a firma di Andrea Barolini per parlarvene. 

“Immaginate un inquinamento persistente e pericoloso. Costituito da agenti invisibili ma presenti pressoché ovunque. Nelle case, nelle automobili, nei posti di lavoro, nel cibo, nell’acqua. E che accompagnerà l’umanità intera per secoli, se non per millenni. No, non è la sceneggiatura di un thriller dalle note horror, ma è semplicemente la realtà che viviamo tutti noi. Spesso inconsapevolmente. Benvenuti nell’era delle “sostanze per- e polifluoroalchiliche”, gli PFAS.

Ribattezzati “inquinanti eterni”, proprio perché capaci di resistere estremamente a lungo nella natura, tali agenti hanno ormai contaminato migliaia di siti in tutta Europa. Per le loro proprietà uniche, sono stati impiegati in una quantità inimmaginabile di prodotti di uso comune. Dalle padelle antiaderenti al materiale medico.

Gli PFAS nacquero alla fine degli anni Quaranta, quando furono scoperti dei prodotti chimici singolari, capaci di evitare ad esempio le macchie o di rendere impermeabili i capi di abbigliamento. Dal Teflon allo Scotchgard al Gore-Tex, solo per citare alcuni nomi a noi familiari. Ma il problema è di un’ampiezza tale da renderlo difficilmente riassumibile in parole: tappeti, corde di chitarre, batterie di veicoli elettrici, vernici, cosmetici anti-acne, imballaggi alimentari, contenitori per patatine fritte, circuiti elettici, protesi per le anche, filo interdentale. Perfino carta igienica, secondo alcune recenti analisi.

Soprattutto, gli PFAS sono tossici. E divisi in migliaia, se non milioni di diversi composti. Impossibile saperlo con esattezza. Ciò che si sa è che sono pressoché indistruttibili, e capaci di spostarsi anche molto lontano dal luogo in cui sono stati prodotti o utilizzati. Possono raggiungere ogni ambiente: acqua, aria, suolo, sedimenti. Alcuni si accumulano negli organismi viventi e sono presenti nella catena alimentare. Altri, più mobili, sono trasportati e possono raggiungere gli oceani Artico e Antartico.

È per questo che ovunque, tutti noi, rischiamo di essere esposti a tali sostanze.  E a ciò che esse possono provocare: dall’aumento dei tassi di colesterolo a determinate insorgenze tumorali, dalla diminuzione dei tassi di fertilità a possibili problemi di sviluppo del feto. Ma gli PFAS sono sospettati anche di interferire con il sistema endocrino e immunitario: ad esempio, secondo  uno studio dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), potrebbero essere alla base di una ridotta risposta degli organismi umani ai vaccini.

Più avanti l’articolo passa a raccontare della recente inchiesta in cui “un consorzio di 18 testate del Vecchio Continente ha raccolto dati e realizzato una mappa che indica i luoghi nei quali gli PFAS sono presenti, e quelli nei quali si presume lo siano.

Le strutture chimiche che sintetizzano PFAS in Europa sono 20. Altri 232 impianti li utilizzano a vario titolo per fabbricare materiali plastici “altamente performanti”. Ma sono più di 17mila i luoghi nei quali è stata riscontrata una contaminazione. Si tratta di luoghi nei quali sono stati analizzati acqua, suolo o organismi viventi da scienziati e agenzie pubbliche, nel periodo compreso tra il 2003 e il 2023. E nei quali la presenza di PFAS è risultata superiore ai 10 nanogrammi per litro.

A questi si aggiungono altri 21.500 luoghi che si presume siano contaminati. Poiché si tratta di siti nei quali è presente (o lo è stata) un’attività industriale che ha utilizzato o prodotto PFAS. Le basi militari, ad esempio, utilizzano spesso delle schiume anti-incendio che ne contengono. Si tratta perciò di località nelle quali è necessario effettuare verifiche e controlli. In alcuni casi, l’inchiesta ha individuato luoghi particolarmente inquinati, nei quali su supera la concentrazione di 100 nanogrammi per litro. In questi casi si parla di “hot spots” e ne sono stati identificati ben 2.100 in Europa”.

Uno di questi è il Veneto, e pare – secondo recenti studi, che ci sia una relazione fra la mortalità più alta da Covid-19 e l’esposizione a queste sostanze, che avrebbero al contempo anche ridotto la fertilità delle persone. 

Ma cosa stanno facendo i paesi per limitare i danni e porre rimedio al problema? Continua ancora Barolini: “La Convenzione di Stoccolma, pubblicata nel 2001, regolamenta l’uso di alcuni inquinanti organici persistenti. Ivi compresi numerosi composti chimici della famiglia degli PFAS. Negli anni, ad esempio, sono stati imposti paletti all’utilizzo dell’acido perfluoroottansolfonico (PFOS), impiegato soprattutto per tessuti, tappeti e carta al fine di renderli resistenti a grasso, olio e acqua. E sono stati vietati l’importazione, esportazione e produzione di acidi perfluoroottanoici (PFOA) come rivestimento impermeabilizzante.

A livello europeo, da tempo (ancorché in grave ritardo) si lavora per cercare integrare la Convenzione di Stoccolma. In particolare è stata avanzata la proposta di una restrizione stringente sugli PFAS da parte di cinque Stati: Svezia, Norvegia, Danimarca, Paesi Bassi e Germania.

La direttiva europea 2020/2184, inoltre, impone limiti alla presenza di PFAS nelle acque utilizzate dai consumatori dei Paesi membri. La normativa si concentra su 20 composti chimici, e impone la limitazione di 0,10 nanogrammi per litro per la somma di tali molecole. Un altro parametro, “PFAS totale” non deve superare gli 0,50 nanogrammi.

Un’ulteriore attenzione è stata rivolta agli PFAS presenti nei materiali che finiscono a contatto con prodotti alimentari, a cominciare dagli imballaggi. Ma non esiste ancora una lista definitiva dei composti chimici utilizzati in tali prodotti. Nel 2020 l’Ocse ha tentato di stabilire un primo elenco. L’Agenzia sanitaria tedesca (BfR), inoltre, ha indicato 12 PFAS presenti in vaschette e contenitori.

L’articolo termina con una considerazione amara: “Di lavoro, insomma, ce n’è ancora moltissimo. Nel frattempo, le nostre terre, le nostre acque e i nostri organismi continuano ad accumulare agenti inquinanti, in alcuni casi tossici”.

Il punto, in casi come questo, è che è difficile andare a intervenire con delle regolamentazioni specifiche. Quando parliamo di PFAS, l’articolo mi pare che non citi questo dato, parliamo di quasi 5000 sostanze diverse. Come si fa a regolamentare una cosa così ampia e pervasiva? È difficile immaginare che per ciascuna di queste sostanze si possano imporre dei limiti e anche avere la forza di verificare che vengano rispettati ovunque. 

È in casi come questo che mi pare più evidente la necessità di cambiare paradigma di produzione e consumo. Serve una cultura del limite intrinseca nel nostro modello economico, serve una cultura dell’equilibrio, della sostenibilità, della salute, intrinseci nel nostro paradigma. È difficile pensare che questa situazione cambierà solo con norme più stringenti, maggiori controlli, ulteriori bollini e certificazioni. Serve un salto quantico. È quello il maggiore sforzo che sarebbe necessario a tutte e tutti noi, compresa la nostra classe politica. Più che di governi tecnici avremmo bisogno di governi dell’immaginazione. 

Cambiamo argomento, torniamo a parlare di India. Scrive ieri il sito di Ansa: “I contadini indiani sono nuovamente in agitazione: oggi migliaia di agricoltori del Punjab (5000 secondo il quotidiano The Indian Express) si sono ritrovati nella capitale Delhi per protestare contro il governo centrale.

I manifestanti, che aderiscono ad almeno quattro organizzazioni, si sono riuniti nell’area di Jantar Mantar per chiedere un’equa distribuzione delle risorse idriche e un miglioramento del Minimum Support Price (MSP), il prezzo di base fissato dal governo, per grano e legumi.

Secondo i leader della protesta, in Punjab viene fatta affluire molta meno acqua rispetto agli Stati confinanti. Inoltre, i prezzi del carburante, dei fertilizzanti e degli anticrittogamici sono in continuo aumento, mentre i ricavi per la vendita dei raccolti sono fermi da almeno due anni.

Analoghe richieste sono state avanzate ieri in una impressionante marcia di 25 chilometri promossa in Maharashtra, lo Stato con capitale Mumbai, dal Partito Comunista indiano marxista: oltre all’aumento del Minimum Support Price (MSP) per le cipolle, gli slogan chiedevano la cancellazione dei debiti per l’elettricità, e l’erogazione a tempi brevi dei rimborsi promessi dal governo per i mancati raccolti dovuti alle precipitazioni fuori stagione”.

Secondo il sito Crisis 24 sarebbero attese altre grandi manifestazioni per la giornata di oggi, 15 marzo. Ora, la cosa strana è che non ho trovato molto materiale su queste proteste, ne parlano solo Ansa e L’Indipendente in Italia, mentre non ne parlano ad esempio Al Jazeera e altre testate internazionali che in genere seguono le vicende indiane.

Bisogna anche dire che se effettivamente si è trattato di una manifestazione di 5000 persone, in India, è una notizia abbastanza piccola, soprattutto se pensiamo alle enormi manifestazioni con centinaia di milioni di persone degli agricoltori di circa tre anni fa. Quindi, ecco, prendiamola come notizia interessante da approfondire. io ho allertato alcuni contatti in India per vedere se arriva qualche informazione aggiuntiva sulla situazione. A tal proposito vi ricordo che a gennaio abbiamo pubblicato una intera puntata da un’ora e mezza di INMR+ su Capire l’India contemporanea.

Ieri abbiamo dato la notizia, oggi vediamo di approfondire un po’. In Cina è stato eletto un nuovo primo ministro, la seconda carica più importante dello stato. Si chiama Li Qiang, è un volto abbastanza nuovo ed è famoso per essere uno dei fedelissimi di Xi Jinping. Vi leggo cosa ne scrive il Post: £A Pechino, la capitale della Cina, si sono appena concluse le “due sessioni”, l’appuntamento legislativo annuale in cui vengono presentate formalmente alcune delle decisioni più importanti della vita politica cinese. Quest’anno però, oltre ai comuni lavori di carattere legislativo delle due sessioni, i delegati avevano anche il compito di rinnovare le nomine del governo cinese. Dopo dieci anni di mandato il segretario generale del partito Xi Jinping ha ottenuto per la prima volta un terzo mandato da presidente della repubblica, mentre il secondo in carica all’interno del partito Li Qiang è stato eletto come nuovo primo ministro del Consiglio di Stato, l’organo esecutivo incaricato di governare la Cina: è la carica che comunemente viene definita “premier cinese”, che tradizionalmente affianca il presidente e si occupa della gestione dell’economia.

Ma da quando Xi Jinping è al potere, la carica di primo ministro è stata in gran parte svuotata dei suoi poteri, e non è ancora chiaro che ruolo avrà Li Qiang, che è uno stretto alleato di Xi, all’interno del sistema cinese.

Più avanti l’articolo passa a descrivere la figura di Qiang: “L’ascesa a nuovo primo ministro di un politico come Li Qiang è un fatto insolito per la politica cinese. Fino allo scorso ottobre, Li era una figura di primo piano nella politica a livello locale: era stato governatore e poi segretario di partito in due province costiere molto industrializzate della Cina, prima di diventare segretario del partito a Shanghai nel 2017. Questi incarichi però hanno tenuto Li per gran parte della propria carriera lontano dalla capitale, dove si decide la politica a livello nazionale. Li infatti non ha mai avuto incarichi di governo a Pechino né tanto meno la carica di vice primo ministro, un ruolo che fino a ora in Cina era stato una tappa essenziale della carriera politica di chiunque fosse diventato primo ministro negli ultimi 35 anni.

Se Li Qiang è stato in grado di saltare le tappe abituali per diventare primo ministro è perché Xi Jinping ha voluto avere una persona a lui fedele in questa carica importante. Durante la sua esperienza amministrativa Li si è costruito l’immagine di politico attento alle questioni tecnologiche e amichevole verso gli imprenditori. Nel 2019 Shanghai ha inaugurato lo STAR Market, ossia una borsa valori che permette alle società tecnologiche di raccogliere più agevolmente i capitali necessari per il proprio sviluppo. 

Sul suo conto però pesa la gestione disastrosa del lockdown di Shanghai, che durante la primavera del 2022 ha obbligato milioni di residenti della città a restare chiusi in casa per quasi due mesi, e ha provocato grosse e inedite proteste in città, che si sono poi estese al resto del paese.

La domanda ora è quale sia l’autonomia di manovra del nuovo primo ministro, che deve la propria promozione quasi esclusivamente a Xi Jinping. Privo di una base di potere personale, Li infatti appartiene al cosiddetto “Nuovo Esercito del Zhijiang” e cioè quella che è definita in gergo giornalistico come la fazione interna al Partito comunista in cui militano le persone più fedeli a Xi Jinping. Li Qiang, di fatto, deve la sua carriera interamente a Xi Jinping, che l’ha scelto come primo ministro proprio per la sua fedeltà”.

Tutte queste cose fanno sì che in molti ritengono che il suo ruolo sarà molto subalterno e di scarso peso politico rispetto a Xi. E potrebbe anche causare dei problemi di immagine. infatti, “Con la nomina di un suo stretto collaboratore a scapito di altri candidati considerati più competenti, Xi si espone alle critiche di chi ritiene che sotto la sua autorità il modello cinese abbia perso quel principio meritocratico che ne aveva determinato il successo economico.

Di sicuro c’è una tendenza dell’accentramento del potere nelle mani di Xi. Quello che però mi sembra che i giornali spesso non colgano di questa dinamica, e che invece Gabriele battaglia ci spiegava molto bene nella prima puntata di INMR+ su “Capire la Cina contemporanea”, è che questa tendenza è frutto anche, almeno in parte, delle pressioni geopolitiche e della guerra commerciale che gli Stati Uniti stanno conducendo nei confronti della Cina almeno da Obama in poi, e che stanno rinforzando la tendenza anche dell’opinione pubblica (o perlomeno del partito comunista cinese9 ad accentrare il potere nelle mani di un leader forte, invece che distribuirlo più equamente.

Visto che siamo in tema Cina, segnalo anche l’ultimo episodio delle schermaglie geopolitiche con gli Usa e i paesi occidentali. Ieri, in un vertice tenutosi presso la base navale Point Loma di San Diego, tra il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, il primo ministro australiano Anthony Albanese e quello britannico Rishi Sunak sono stati svelati i dettagli di un accordo siglato fra i tre paesi un anno e mezzo fa, chiamato Aukus. 

L’accordo Aukus prevede una fornitura multimiliardaria di Sottomarini nucleari all’Australia per contrastare l’espansione militare cinese nella regione dell’Asia Pacifico. Non una roba di poco conteo, a proposito delle pressioni di cui parlavamo prima. Questa rivelazione, riporta AdnKronos, ha generato una immediata reazione del governo cinese, che per voce del portavoce del Ministro degli esteri Wang Wenbin ha accusato i tre paesi di “aver intrapreso un “percorso di errore e pericolo” ed esortato ad abbandonare questa “mentalità da Guerra Fredda”. 

In chiusura segnalo che questa settimana ci saranno una serie di incontri in alcune città organizzati da Ultima generazione, l’organizzazione di attivisti e attiviste climatici che spiegano come funziona il movimento e che metodi utilizza. 

Vi lascio ascoltare un audio di un attivista di UG. Se siete curiosi potete partecipare (anche online) e affacciarvi al mondo dell’attivismo climatico e della resistenza civile nonviolenta. 

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