22 Feb 2023

Putin-Biden: i discorsi a confronto – #674

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La giornata di ieri è stata caratterizzata da di versi incontri e discorsi che hanno a che fare con lo scenario della guerra in Ucraina, dal discorso di Putin alla nazione a quello di Biden dalla Polonia, dalla visita della premier italiana Giorgia Meloni a Kiev a quella del capo della diplomazia cinese al Cremlino. Parliamo anche dei giornalisti italiani bloccati dai servizi segreti ucraini, dell’iniziativa di due pacifiste una ucraina e l’altra russa, del dibattito Tv fra Bonaccini e Schlein in vista delle primarie del Pd, dell’assurdo grattacielo dei maiali in Cina e infine delle nuove scosse di terremoto al confine fra Turchia e Siria.

La giornata di ieri è stata segnata da diversi avvenimenti importanti sullo scenario della guerra in Ucraina. O meglio, da tanti discorsi e incontri. La giornata è stata aperta dal discorso di Putin alla nazione e chiusa da quello di Biden, dalla Polonia. Nel mezzo c’è stata la visita di Meloni a Zelensky e quella del capo della diplomazia cinese Wang Yi, arrivato nel primo pomeriggio a Mosca per discutere della proposta cinese di un piano di pace annunciata alla conferenza di Monaco. Tocca che accenniamo almeno a tutti questi elementi, perché sono abbastanza centrali.

Partiamo dal principio. Ieri mattina il presidente russo Vladimir Putin ha parlato per circa un’ora e 45 minuti alla nazione, davanti ai parlamentari russi riuniti, per la prima volta dall’inizio dell’invasione. Che ha detto? Ha iniziando parlando della situazione della guerra in Ucraina ribadendo che l’invasione era stata decisa dalla Russia per “liberare” il Donbass, la regione dell’Ucraina orientale in cui si trovano le repubbliche autoproclamate di Donetsk e Luhansk, territori formalmente ucraini che sono gestiti da separatisti appoggiati dai russi.

Ha accusato il governo ucraino di aver iniziato la guerra imponendo «un regime neonazista» nel Donbass, e sostenuto che la Russia sia intervenuta solo per questo motivo. Poi sul finire ha annunciato l’unica grossa novità, quella che vedete campeggiare sulle prime pagine di diversi giornali, ovvero la decisione di sospendere la partecipazione russa al New START (Strategic Arms Reduction Treaty), un trattato in vigore tra Russia e Stati Uniti dal 2011 che ha l’obiettivo di monitorare i reciproci armamenti nucleari.

In pratica dopo aver accusato gli Stati Uniti e la Nato di non collaborare, ha detto: “A questo proposito, sono costretto ad annunciare oggi che la Russia sospende la sua partecipazione al trattato sulle armi strategiche offensive”.

Come spiega l’articolo del Post, “Il trattato New START è l’ultimo di una serie di trattati di controllo delle armi nucleari che sono stati via via eliminati o lasciati scadere nell’ultimo decennio. Anche New START, in realtà, era ormai da tempo disatteso, perché la Russia da alcuni mesi impedisce le ispezioni periodiche del suo arsenale che sarebbero previste dal testo del trattato. Tra le altre cose, New START limita gli arsenali nucleari di Russia e Stati Uniti a 1.550 testate ciascuno: il fatto che la Russia ne sia uscita potrebbe indicare che Putin intenda estendere ulteriormente l’arsenale nucleare russo, che è già il più grande del mondo”.

Su quest’ultimo punto Putin si è mantenuto abbastanza prudente, dichiarando che la Russia effettuerà nuovi test nucleari se gli Stati Uniti lo faranno. Va anche detto per correttezza che per primi gli Usa sotto Trump avevano di fatto boicottato il rinnovo di Start, che invece la Russia aveva insistentemente chiesto, e ottenuto infine con l’arrivo dell’amministrazione Biden. 

Ad ogni modo, i giornali stanno trattando in maniera molto diversa fra loro il discorso del presidente russo, ed è difficile capire quanto è grande il passo, la rottura che vuole imprimere alle relazioni con l’occidente uscendo dal trattato. Il Post ad esempio lo definisce “deludente”, dice “Il discorso era molto atteso perché alcuni analisti avevano avanzato l’ipotesi che Putin avrebbe approfittato dell’occasione per fare qualche grosso annuncio relativo alla guerra, ma in realtà il presidente russo ha deluso le aspettative”. Il NYT invece titola “Putin si ritira dal trattato sugli armamenti nucleari, segnalando una rottura più netta con l’Occidente”. Curioso invece il fatto che Global Times, il quotidiano cinese in lingua inglese molto filogovernativo, non nomini proprio il discorso di Putin – e anzi pubblichi un editoriale dal titolo “L’amicizia tra Cina e Russia è una risorsa positiva per il mondo” – e al tempo stesso dia molto risalto alla visita di Biden a Kiev con un articolo dal titolo “La visita di Biden a Kiev è un gesto “simbolico” per incoraggiare l’Ucraina, ma rischia di “scatenare un contrattacco più feroce da parte della Russia”.

Ad ogni modo mi pare di capire che molti interpretino la decisione di Putin di uscire dal trattato START come un gesto più simbolico che pratico. Anzi, Putin parla di sospensione dell’adesione della Russia, non di uscita. Insomma, non vuol dire che per forza la Russia si metterà a produrre armi nucleari come se non ci fosse un domani (fra l’altro, impedendo i controlli niente gli impediva di farlo fino a ieri), ma potrebbe anche essere solo un messaggio di ulteriore distacco e intimidazione. 

Passiamo con un salto temporale alla serata di ieri, quando a Varsavia, in Polonia, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha tenuto un discorso per ricordare l’anniversario dell’inizio della guerra in Ucraina, che in parte era una risposta a quello mattutino di Putin. 

Anche nel discorso di Biden non ci sono particolari novità. Anzi, ancora meno, non c’è n’è nemmeno una. Il presidente Usa ha semplicemente ribadito in maniera estremamente forte il sostegno degli Stati Uniti e dell’occidente alla resistenza ucraina contro l’invasione della Russia e ha attaccato duramente Putin. Tutto qui.

Ieri parlavamo di simbologia in guerra, e ovviamente è un simbolo importante che I discorsi di Biden e Putin arrivino tre giorni prima dell’anniversario esatto dell’invasione su larga scala dell’Ucraina, e in un momento delicato del conflitto, quando la Russia sta ammassando decine di migliaia di soldati nella regione orientale ucraina del Donbass e intensificando gli attacchi di artiglieria nella stessa area: secondo diversi esperti, è probabile che stia preparando una nuova offensiva nell’est del paese.

Ieri, come accennavamo all’inizio c’è stata anche la visita di Giorgia Meloni in Ucraina. La premier ha fatto visita a Bucha, teatro di uno dei massacri più atroci attribuito all’esercito russo, ad Irpin, dove ha consegnato dei generatori, e infine a Kiev dove ha incontrato Zelensky. I giornali danno molta enfasi a questa visita, con toni ovviamente diversi a seconda del posizionamento politico. Mi colpisce ad esempio la scelta di Repubblica, che forse per trovare un equilibrio fra l’orgoglio nazionale di una visita istituzionale a Kiev e il fatto che la premier appartenga alla classe politica avversa opta per uno strano registro quasi pietistico. Ecco come l’inviato Tommaso Ciriaco descrive il viaggio della Premier: “Carrozza numero uno, su un binario in mezzo al nulla al confine tra Polonia e Ucraina. Giorgia Meloni si stringe nel cappotto. Fuma. Tossisce, e fuma ancora. Sopra il primo gradino, il simbolo delle gloriose ferrovie ucraine che da trecentosessantadue giorni resistono all’invasore. La tabella di marcia è già saltata, è notte fonda. L’arrivo a Kiev è previsto per la tarda mattinata”.

In serata c’è stato l’atteso incontro con Zelensky. Anche qui i giornali si soffermano su aspetti diversi. Il Giornale ad esempio, sull’appoggio incondizionato che la Premier, a nome dell’Italia, ha dato all’Ucraina, altri, come ancora Repubblica, sul paragone che la premier avrebbe fatto (almeno a giudicare dai titoli) fra la resistenza russa e quella dei partigiani durante la seconda guerra mondiale (che si staranno rigirando nella tomba) o sulla stoccata di Zelensky che ha detto a meloni che per Berlusconi è facile parlare perché “A lui i russi non hanno mai bombardato la casa e ucciso degli amici”.

Comunque vi evito il resoconto di tutto il colloquio fra Meloni e Zelensky, se la cosa vi interessa trovate un po di articoli sotto FONTI E ARTICOLI, per riportarvi invece due notizie collaterali, riportate entrambe sul manifesto.

Il primo è a firma di Vincenzo Vita ed è una sorta di appello alla premier, inascoltato, affinché in occasione della visita a Kiev chieda spiegazioni sulla storia dei due giornalisti italiani bloccati dai servizi segreti ucraini perché considerati “dalla parte dei russi”.

Non ne sapete niente? Non è strano, visto che non ne ha parlato praticamente nessuno, ma Andrea Sceresini e Alfredo Bosco sono due reporter professionali, che seguono dal 2014 il conflitto in Ucraina e si sono visti sospendere l’accredito senza precise motivazioni. Il governo ucraino ha dichiarato di dover effettuare accertamenti ma da 12 giorni i due aspettano senza avere risposte.

Questo per dire che come al solito, in guerra la prima vittima è la verità, e l’informazione diventa una roba da trattare come roba strategica, parte del conflitto, da una parte e dall’altra e al di là delle colpe e delle ragioni storiche.

La seconda notizia è riportata direttamente a firma di Mao Valpiana, Presidente del MovimentoNonviolento; Esecutivo Rete italiana Pace e Disarmo, è probabilmente un comunicato stampa, ma decisamente interessante. Ve la leggo così come è scritta:

“Anche in Russia, Ucraina e Bielorussia c’è chi crede nella nonviolenza come possibilità di resistenza civile. Sono le uniche voci delle parti in conflitto che già dialogano tra di loro, che creano un ponte su cui può transitare la pace. Tre attiviste pacifiste che rappresentano i movimenti nonviolenti e degli obiettori di coscienza dei rispettivi paesi, saranno in Italia per un tour nella settimana anniversario dell’inizio guerra. Vengono a chiederci di sostenere concretamente gli obiettori di coscienza, i renitenti alla leva, i disertori russi, bielorussi e ucraini, garantendo asilo e protezione e lo status di rifugiati politici. I loro colleghi maschi non possono uscire dai confini a causa del reclutamento militare.

Si chiamano Kateryna Lanko, Darya Berg e Olga Karach, da oggi sono in Italia su invito del Movimento Nonviolento nell’ambito della mobilitazione di Europe for Peace. Dall’inizio della guerra ascoltano con attenzione e condivisione la voce di papa Francesco e apprezzano molto quanto sta facendo il Vaticano per la pace. Parteciperanno all’Udienza di mercoledì 22, prima della conferenza stampa al Centro Congressi di via Cavour alle ore 11”.

Segue una descrizione delle due attiviste, la trovate nell’articolo originale che vi lascio sempre sotto FONTI E ARTICOLI. 

Intanto si avvicinano le primarie nel Pd, che si terranno domenica prossima 26 febbraio. I candidati che sono rimasti a giocarsi la Segreteria del partito, dopo il voto degli iscritti, sono Stefano Bonaccini, attuale presidente della Regione Emilia Romagna, ed Elly Schlein, sua ex vice, e attualmente deputata del Pd.

Sono primarie particolari, in cui la candidata apparentemente più di rottura, Elly Shlein, che arriva da un’ala più movimentista, è donna, giovane, dichiaratamente omosessuale (che è già di per sé una novità in una sinistra dominata da uomini eterosessuali di età avanzata), è anche quella che è stata più o meno dichiaratamente appoggiata dalle cosiddette correnti del Pd, un sistema non dichiarato di fazioni interne che ormai da diversi anni domina la vita (e secondo alcuni determinerà la morte) del partito.

Il candidato che invece apparentemente è più il politico classico, di apparato, ovvero Bonaccini, è invece quello che ha fatto una campagna più legata ai territori, ai circoli, che si propone come colui che abolirà le correnti e riformerà il partito democratico dando più potere ai sindaci. Resta il fatto che il partito democratico è in una situazione abbastanza agonizzante e diversi commentatori stanno raccontando queste primarie come quasi un referendum non solo sulla leadership del partito ma proprio sulla vita o la morte del partito. Insomma, o si rinasce (o si cambia) o si muore. Personalmente vedo anche una terza via: dichiarare di cambiare, magari anche crederci un po’, e alla fine non cambiare niente.

Comunque, come dicevo all’inizio le primarie saranno domenica prossima, il 26 febbraio, e potranno votare tutte le persone italiane e quelle che sono regolarmente residenti in Italia, se hanno almeno 16 anni. Bonaccini attualmente è il favorito: nel voto degli iscritti al PD che si è tenuto nelle ultime settimane ha ottenuto 18 punti in più dell’avversaria (il 52,9 contro il 34,9 per cento). Ma i giochi potrebbero ancora essere aperti.

Comunque tutto questo preambolo per arrivare alla notizia di oggi: ovvero che lunedì sera c’è stato su Sky TG24 l’unico confronto pubblico tra i due candidati. È durato più o meno un’ora e le regole prevedevano che ciascuno dei due avesse un minuto per rispondere di volta in volta alla stessa domanda. 

Scrive il Post: “È stato un confronto molto composto e dai toni pacati, i due si conoscono bene e per tutta la campagna elettorale fin qui sono andati d’accordo, evitando attacchi personali. D’altra parte hanno lavorato insieme a lungo: prima di essere eletta deputata lo scorso settembre, Schlein era stata per oltre due anni e mezzo la vicepresidente in Emilia-Romagna di Bonaccini, che governa la regione dal 2014. Nonostante l’apparente sintonia, comunque, nel dibattito sono emerse alcune differenze.

La prima ha riguardato il modo in cui intendono recuperare il consenso che il PD ha perso negli ultimi anni: Bonaccini ha parlato di «ripartire dai territori», spiegando che «ci sono due terzi di sindaci e sindache italiane che hanno vinto quando il PD continuava a perdere a livello nazionale»; Schlein ha invece usato una prospettiva decisamente meno locale, parlando di una proposta «che parli all’Italia che oggi fa più fatica, quella del lavoro povero e precario».

Un’altra differenza è emersa sull’invio di armi all’Ucraina. Schlein ha detto che è «giusto sostenere in ogni forma di assistenza necessaria il popolo ucraino a difendersi da un’aggressione criminale», ma ha poi aggiunto che non si può «aspettare che cada l’ultimo fucile per mobilitarci» e che bisogna «chiedere uno sforzo diplomatico e politico all’Unione Europea per creare le condizioni di un cessate il fuoco». Bonaccini è stato più netto: «Se si ferma la Russia, finisce la guerra. Se si ferma la resistenza ucraina, finisce l’Ucraina» ha detto citando Gianni Cuperlo. Che già che venga citato Gianni Cuperlo è una cosa abbastanza divertente.

Più o meno le differenze, almeno a parole, finiscono qui. Schlein ha citato come priorità quella di fissare un salario minimo, Bonaccini ha parlato di «rendere il lavoro precario più costoso di quello stabile». Entrambi si sono schierati a favore del reddito di cittadinanza. Domenica ne sapremo qualcosa di più su come sarà andata, quindi direi che a emno di grandi novità, sulle primarie Pd ci riaggiorniamo settimana prossima.

L’altroieri parlavamo di come gli allevamenti di maiali in Spagna siano diventati un problema ambientale ma anche sociale per i piccoli comuni dove sorgono, di come si siano accaparrati buona parte del grano ucraino sbloccato dopo faticose trattative e così via. Commentando quella puntata mi avete segnalato che in Cina stanno nascendo i grattacieli dei maiali. Enormi parallelepipedi che servono appunto ad allevare centinaia di migliaia di maiali. 

Vi leggo come vengono descritti da Rai News: “A poco più di un’ora di auto da Wuhan, la megalopoli dalla quale è partita l’epidemia di Covid-19, nella provincia di Hubei, nella Cina centrale, si trova il grattacielo dei maiali. Una sorta di “hotel” di 26 piani, in grado di produrre fino a 600.000 suini all’anno (1,2 milioni con il prossimo raddoppio). In altre parole si tratta di un gigantesco porcile, il più grande al mondo, nato per far fronte all’enorme domanda di carne suina. Secondo le stime del New York Times, infatti, la Cina consumerebbe la metà della carne suina mondiale. 

Inaugurato lo scorso anno nella città di Ezhou, il grande complesso è in procinto di raddoppiare diventando ben presto un progetto ambizioso di due edifici di 26 piani concepito a raggiungere “zero emissioni”. Inoltre, stando alle dichiarazioni dei proprietari questi nuovi edifici, nati con lo scopo di produrre carne suina, sarebbero dotati, tra le altre cose, di sistemi per smaltire i rifiuti e trasformare ogni scarto in energia.

L’enorme edificio, che ricorda blocchi abitativi monolitici, “è alto quanto la torre londinese che ospita il Big Ben” scrive il quotidiano statunitense ed “è sorvegliato come un centro di comando della Nasa”. Ogni piano è una fattoria autonoma ed è in grado di garantire le diverse fasi della vita di un maialino: dal parto all’allattamento, all’ingrasso. Il mangime viene trasportato su un nastro trasportatore fino al piano superiore, dove viene raccolto in vasche giganti che consegnano più di 450 mila chilogrammi al giorno attraverso delle mangiatoie ad alta tecnologia che distribuiscono automaticamente il pasto ai maiali in base alla loro fase di vita, peso e salute.

Un modello che si sta replicando in tutto il Paese. Questo perché, secondo le stime ufficiali, la domanda di carne suina in Cina dovrebbe aumentare sfiorando oltre i 60 milioni di tonnellate nel prossimo decennio”.

Ogni commento mi sembra superfluo, se cercate poi le immagini si Google vi accorgerete delle dimensioni abnormi di questo edificio, destinato come spiegano persino a crescere. La cosa peggiore – oddio, non so se sia la cosa peggiore, ma di sicuro una cosa che mi preoccupa – è che questa roba sia definita “a emissioni zero”. Che ormai è diventato uno slogan, un po’ come economia circolare, usato più a livello di marketing che di progettazione. 

Chiudiamo con un’altra notizia drammatica che arriva dalle zone terremotate, dove la terra continua a tremare. Ci sono state due nuove forti scosse, una di 6,4 e una di 5,8 gradi. “È salito ad almeno sei morti e 294 feriti in Turchia il bilancio delle due nuove forti scosse di terremoto avvenute nella provincia sudorientale di Hatay, al confine con la Siria”.

Lo rende noto la tv di stato Trt, facendo sapere che continuano le ricerche per tentare di salvare persone rimaste intrappolate sotto le macerie di alcuni edifici crollati.

Diciotto dei feriti sono in condizioni gravi, ha fatto sapere il ministro della Sanità turco Fahrettin Koca.

L’incubo del terremoto non dà tregua alla Turchia. Mentre è ancora vivo il trauma del devastante sisma che solo due settimane fa ha distrutto il sud est anatolico gli edifici tornano a crollare. Due scosse di magnitudo 6.4 e 5.8 hanno colpito a distanza di pochi minuti l’una dall’altra la provincia di Hatay, una delle più martoriate dal terremoto che il 6 febbraio ha causato la morte di oltre 46 mila persone tra Turchia e Siria – anche se il bilancio non è ancora definitivo – e la distruzione, o il danneggiamento, di oltre centomila edifici. Secondo le prime informazioni ci sono almeno tre morti e oltre 210 feriti.

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