28 Apr 2022

Putin blocca il gas a Polonia e Bulgaria – #509

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La Russia interrompe le forniture di gas a Polonia e Bulgaria, mentre una cinquantina di aziende italiane di calzature sono a Mosca a partecipare a una fiera di settore. Intanto la guerra rischia di spostarsi anche in Transnistria, mentre sentiamo parlare anche delle Isole Matsu. E a Shanghai il lockdown sta diventando una roba alla Black Mirror.

Gazprom, l’azienda energetica statale russa, ha annunciato di aver interrotto mercoledì mattina le forniture di gas naturale alla Polonia e alla Bulgaria, come era stato anticipato il giorno prima dai due paesi. Si tratta della prima interruzione delle forniture di gas russo a due paesi europei dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina e di fatto è la prima grossa ritorsione della Russia alle sanzioni economiche imposte dall’Occidente. Ne parla, fra gli altri, il Post.

La ragione dell’interruzione, secondo le autorità russe è che i due paesi si sarebbero rifiutati di pagare il combustibile in rubli, come richiesto dalla Russia ai paesi considerati “ostili”. Che poi anche lì non è che sia esattamente così: la Russia ha chiesto ai paesi di aprire un nuovo conto presso la banca Gazprombank, in cui potrebbero continuare a versare contributi in euro e dollari che però sarebbero immediatamente convertiti in rubli. I paesi europei sono sembrati abbastanza incerti sul da farsi, non si decidono se questa cosa viola o no le sanzioni decise. 

Va bene, direte voi, ma perché proprio la Polonia e la Bulgaria e non l’Italia, la Germania, ecc? Perché plausibilmente sono i primi due paesi i cui pagamenti per il gas erano in scadenza. Le date dei pagamenti per le forniture di gas sono segrete, ma almeno un giornale polacco citato da Bloomberg ha rivelato che la scadenza per il pagamento della forniture alla Polonia era venerdì, e Gazprom ha fatto sapere che la Polonia deve pagare per le forniture immediatamente (e in rubli). E lo stesso discorso sembrerebbe valere per la Bulgaria.

Che conseguenze avrà questa interruzione? Sulla Polonia non molte, a quanto pare, perché il Paese non dipende molto dal gas russo. Diversa, molto diversa, la situazione della Bulgaria, che importa circa il 90 per cento del gas che usa dalla Russia, e ha solo il 17 per cento dei suoi depositi di gas pieno al momento.

Per evitare che i due paesi facciano i furbi e prelevino illegalmente del gas dai gasdoti, Putin ha detto che se lo faranno ridurrà la fornitura complessiva di gas verso l’Europa di una quantità ogni volta uguale all’ammanco.  

In generale, tutta questa operazione è evidentemente anche una minaccia indiretta che Putin ha voluto inviare ai paesi più grandi, come la Germania e l’Italia, dove gli effetti economici di un’interruzione delle forniture di gas sono molto temuti.

LA FIERA DELLE CALZATURE, A MOSCA

Intanto, rende noto il Fatto Quotidiano, in questo momento si sta svolgendo a Mosca la fiera Scarpe in pelle dal mondo. E qual è la notizia, direte voi. La notizia è che quarantotto aziende del settore calzaturiero italiano sono presenti. Che sono tante. 31 di queste sono marchigiane, la regione più rappresentativa dell’industria delle calzature italiana. L’assessore regionale alle Attività produttive delle Marche, Mirco Carloni, ha detto al Fatto Quotidiano: «La Regione Marche condanna la guerra in tutte le sue forme e continuerà a aiutare i profughi ucraini ma, vista la situazione, non si può girare dall’altra parte, lasciando sole le imprese marchigiane colpite dalla crisi. E la calzatura è il nostro fiore all’occhiello».

La presenza delle aziende, anche se sta sollevando diverse polemiche, non infrange le sanzioni, perché il regolamento europeo legato al quarto pacchetto di sanzioni vieta la vendita sul mercato russo di beni di lusso con un valore superiore a 300 euro e gli espositori italiani si sono adeguati a questa norma, proponendo ai rivenditori russi i modelli in listino con prezzi inferiori. 

La guerra è ricca di contraddizioni, ma la guerra in epoca di globalizzazione lo è all’ennesima potenza perché i paesi sono talmente interconnessi da non poter fare a meno di commerciare, pena il collasso economico. È come quando litighi con l’unico fornaio del paese. Fino a ieri si pensava che la globalizzazione avesse almeno il merito di garantire la pace. Oggi scopriamo che possiamo comprare il pane e fare la guerra al fornaio allo stesso tempo. 

COS’È LA TRANSNISTRIA?

Intanto la guerra continua a mutare ed entrano in scena nuovi territori, sconosciuti fino a ieri e improvvisamente sulla bocca di tutti. L’ultimo è la Transnistria, una una regione indipendente ma non riconosciuta della Moldavia, strettamente legata alla Russia, dove negli ultimi giorni sono avvenute diverse esplosioni, che secondo le autorità moldave sono dei falsi attacchi fatti per minare la sicurezza della regione e giustificare un intervento russo. 

Insomma, secondo il governo filoeuropeista moldavo ci sarebbe il rischio di un’espansione del conflitto anche alla Moldavia. 

Intanto, riporta Limes, anche la tattica degli Usa è cambiata. Si adegua all’andamento della guerra. All’inizio dell’invasione, erano disposti a convivere con un’Ucraina divisa in due, con quella filo-occidentale ridotta ai dintorni di Leopoli, da dove armare un’insurrezione contro l’occupante. Dop ola ritirata russa da Kiev e dintorni, ora che la guerra si concentra a est e a sud, su un terreno teoricamente più favorevole alle forze di Mosca, il governpo americano vuole impedire a Putin di togliere agli ucraini l’accesso al Mar Nero e soprattutto di cantare vittoria presso l’opinione pubblica.

Così hanno iniziato a inviare armamenti più sofisticati, a condividere intelligence per colpire in profondità il nemico, a diffondere una narrazione più ottimista, centrata sulle possibilità di Kiev non solo di resistere ma persino di vincere. “Non è chiaro” riporta l’articolo di Limes, “che cosa intendano gli Usa con vincere”, mentre “per il governo ucraino la definizione è chiarissima: ripristinare i confini pre-2014, dunque riprendere Crimea e Donbass. È improbabile che gli americani in questo momento appoggino tale obiettivo, ma non è detto che, valutando il prosieguo delle ostilità, non finiscano per dare il via libera.

ISOLE MATSU, L’ULTIMO BALUARDO DI TAIWAN

Sempre a proposito di “Nuovi staterelli di cui non sapevi niente ma che improvvisamente diventano fondamentali per il mondo e per la tua cultura personale” vi faccio uno spoiler sul prossimo trend: le Isole Matsu. Internazionale dedica loro un lungo articolo, molto interessante. 

Ricordate la questione di Taiwan? Ne abbiamo parlato qualche giorno fa in una puntata speciale. Le isole Matsu sono un avamposto, o per meglio dire una via di mezzo fra Taiwan e la Cina continentale. Non fanno parte della Cina, ma non sono nemmeno esattamente Taiwan. 

I loro abitanti però si sentono perlopiù cinesi e vari esperti ritengono che se ci dovesse essere un’offensiva di Pechino a Taiwan, partirebbe da qui e con motivazioni simili a quelle usate da Putin per Crimea e Donbass, ovvero che i cittadini si sentono cinesi. 

Come anche scritto da Lorenzo Lamperti di China Files nel suo reportage dalle Isole Matsu pubblicato su Internazionale, se Taiwan è in prima linea davanti alle ambizioni cinesi, le isole Matsu sono il fronte di questa prima linea, la linea rossa da non oltrepassare.

IL DURISSIMO LOCKDOWN DI SHANGHAI

Intanto le immagini che arrivano da Shanghai fanno capire come mai a Taiwan non facciano esattamente i salti di gioia all’idea di essere riannessi alla Cina. Per continuare a perseguire la strategia Zero Covid e fermare l’ondata di coronavirus iniziata più di un mese fa, da qualche giorno le autorità locali hanno iniziato a installare recinzioni e reti all’esterno degli edifici per ridurre i movimenti della popolazione. Le barriere sono comparse in numerosi quartieri, senza che gli abitanti fossero avvisati per tempo. Ci sono parecchi video di isteria collettiva, comprensibile. 

Interi edifici sono stati circondati, addirittura alcune strade principali sono sttraversate da reti che le rendono impercorribili. ma chi ha pensato tutto ciò? La cosa assurda, almeno per un occidentale, è che non è il governo centrale a definire tutto nel dettaglio, il governo si limita a dire che non vuole avere casi di Covid, lasciando la responsabilità a funzionari e comitati locali del Partito comunista cinese. 

Sono stati reclutati circa 50mila funzionari per gestire il lockdown doi shanghai, spesso con scarsa esperienza e raccolti tra i comitati locali del Partito comunista. A loro è stato affidato l’incarico di gestire le varie porzioni in cui è stata divisa Shanghai, organizzando i test di massa, i ricoveri in ospedale per i sintomatici e l’isolamento nei centri dedicati alle persone positive, ma prive di sintomi.

E ogni comitato ha possibilità di scelta su come gestire il lockdown, applicando regole più o meno severe per la popolazione. E, un po’ come era avvenuto col massacro dei contadini, per paura di fallire i funzionari stanno praticamente riducendo le persone a vivere in condizioni terribili.

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