28 Set 2022

I referendum in Donbass e l’esplosione di Nord Stream – Io Non Mi Rassegno #588

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Si sono concluse le votazioni nelle regioni di Lugansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Cherson per l’annessione dei territori alla Russia. I risultati, almeno quelli dichiarati sono abbastanza prevedibili, ma ci sono molti dubbi – o più che dubbi, certezze – sulle modalità con cui si sono svolte le votazioni. Intanto un’esplosione apre una voragine nel gasdotto Nord Stream 1 e 2 disperdendo il gas nel mar Baltico. Si tratta quasi sicuramente di un attentato. Ma di chi? In Iran invece si sono superati i 10 giorni di proteste, proteste che non accennano a scemare e che sono iniziate in seguito all’uccisione da parte della polizia di una ragazza accusata di non indossare il velo correttamente. Infine parliamo degli sconvolgimenti interni ai due partiti che hanno perso le elezioni, Lega e Pd.

Lo so che siamo tutti presi con questa storia delle elezioni, però son già due giorni di fila che parliamo solo di questo, e non è che nel mondo non stiano succedendo altre cose. 

DONBASS, REFERENDUM PER L’ANNESSIONE ALLA RUSSIA

Spostiamoci in Donbass, dove si sono concluse le votazioni si referendum per l’annessione dei territori occupati alla Russia. I referendum erano stati annunciati mesi fa e sono stati infine realizzati. le urne, se così si possono definire, sono state aperte dal 23 settembre fino a ieri sera, 27 settembre. 

I primi risultati diffusi dalle commissioni elettorali locali (filorusse) sono plebiscitari. Oltre il 97 per cento dei votanti si sarebbe espresso a favore dell’annessione alla Russia delle quattro regioni ucraine occupate dall’esercito di Mosca: Lugansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Cherson. 

Ovvio è che sono in molti a mettere in discussione la validità di questo voto, le cui modalità non sembrano essere state proprio libere e rilassate, ecco. In alcune città sono stati installati dei “seggi mobili”, ma il grosso del voto finora è avvenuto “porta a porta”, con i funzionari elettorali che si presentavano casa per casa accompagnati da due soldati armati. Il voto fatto in questo modo non era segreto (le persone erano spesso costrette a votare davanti ai funzionari e ai soldati, e in alcuni casi le urne erano trasparenti) ed era ovviamente soggetto a forti intimidazioni: varie persone hanno testimoniato di essere state costrette a votare sotto la minaccia delle armi. Martedì sono stati aperti dei seggi elettorali più tradizionali, ma niente lascia presupporre che le procedure di voto saranno più democratiche o credibili.

Che succede adesso? Succede che la situazione a livello geopolitico si complica un po’. Perché da una parte abbiamo Putin che molto probabilmente approfitterà dell’esito, vero o falso che sia, dei referendum per dichiarare le 4 regioni parte della federazione russa. 

Questo ha un’implicazione non da poco: la Russia infatti prevede l’uso del cosiddetto nucleare tattico, ovvero armi nucleari a minor intensità rispetto al cosiddetto nucleare strategico, per scopi difensivi. E le quattro regioni dopo l’annessione diventerebbero, dal punto di vista della Russia, territorio russo, quindi potrebbero fornire un’eventuale scusa per l’utilizzo di armi nucleari contro l’Ucraina, che a quel punto

È ovvio che è una farsa, un gioco delle tre carte, ma è una di quelle manovre formali che poi spostano gli equilibri e aprono la porta a nuovi scenari. Tant’è che Lavrov si è affrettato ad offrire protezione ai futuri probabili territori russi, ventilando anche l’ipotesi dell’utilizzo delle armi nucleari. Insomma, nella migliore delle ipotesi  l’annessione dei territori darà al governo russo la possibilità di usare il nucleare come spauracchio, nella peggiore di usarlo davvero.

Dall’altra parte buona parte dei paesi occidentali si sono affrettati a dire che non riconosceranno il risultato dei referendum, e quindi di conseguenza non daranno “validità” nemmeno alla minaccia russa. Il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ha detto che questi referendum violano i trattati internazionali.

ESPLODE IL GASDOTTO NORD STREAM

Ieri è successo anche un altro fatto grosso, legato alla questione russo-ucraina, e in particolare i gasdotti Nord Stream 1 e 2, che riforniscono di gas russo l’Europa. In pratica al momento grandi quantità di gas si stanno riversando nel Mar Baltico a causa di tre perdite distinte sui gasdotti Nord Stream 1 e 2. 

A quanto pare le perdite sono dovute a delle esplosioni, visto che i sismologi svedesi e danesi hanno segnalato due forti picchi di attività sottomarina. Un sismografo sull’isola danese di Bornholm, vicino al luogo in cui si sono verificate le perdite. 

La dinamica fa pensare a un sabotaggio, e vari governi, fra cui quello tedesco e quello finlandese, hanno aperto delle indagini. Le stesse fonti governative lasciano intendere che ci sono ancora parecchi dubbi su chi sia l’autore dell’attacco, se la Russia o l’Ucraina (o qualche suo alleato).

Nel caso si trattasse della Russia si tratterebbe di un cosiddetto attacco false-flag, ovvero di quelli che si fanno per far ricadere la colpa sugli avversari. Nel caso invece siano stati gli ucraini, l’obiettivo potrebbe essere stroncare le esportazioni russe di gas. Ma lo starebbero facendo sulla pelle degli alleati europei (e del clima). 

Ancora non si capisce di che entità sia il danno, se tale da compromettere completamente il funzionamento del gasdotto oppure no, insomma sappiamo ancora poco. Così come sappiamo poco della quantità di gas fuoriuscita, cosa molto grave perché il metano, quando viene disperso, ha un potere climalterante fortissimo, fino a 80 volte quello della CO2 (anche se è più volatile). 

Subito gli Stati Uniti si sono detti disposti ad aiutare l’Europa, anche se non hanno specificato come. Immagino vendendo più gas. 

COSA SUCCEDE IN IRAN?

Ad esempio succede che ci siano proteste sempre più vive contro la cosiddetta teocrazia, soprattutto da parte delle donne. Le proteste sono iniziate il 16 settembre, dopo che Mahsa Amini, una donna di 22 anni morta, è morta in carcere a Teheran dopo essere stata arrestata dalla polizia religiosa per non aver indossato correttamente il velo. Sulla sua morte ci sono varie versioni, ma sembra piuttosto probabile che sia stata uccisa dalla polizia. 

Un evento atroce, successo probabilmente altre volte, ma che questa volta, per via di quei meccanismi sottili che regolano le nostre società, ha scatenato una reazione a catena che sta travolgendo il regime di Teheran. Il giorno stesso, spiega il Post, sono iniziate le proteste contro la polizia e il regime, ritenuti responsabili della morte di Amini in molte città, e sono proseguite fino a oggi.

L’Iran, per chi non lo sapesse, è una Repubblica teocratica, ovvero in cui potere politico e potere religioso coincidono. Ha una struttura istituzionale abbastanza complesso, con una serie di pesi e contrappesi, ma la figura più importante e potente è la cosiddetta Guida suprema, o Guida della rivoluzione, un ruolo introdotto dalla rivoluzione del 1979 e ricoperto fin qui da sole due figure: l’Ayatollah Khomeini e il suo successore ayatollah Ali Khamenei. 

Khamenei adesso non è solo la guida suprema, è anche il rappresentante massimo dell’ala più intransigente e del regime iraniano. Ecco, Khamenei è stato il principale bersaglio dei e delle manifestanti, che hanno lanciato pietre, incendiato automobili, edifici e cartelloni pubblicitari per strada e intonato il coro «Morte al dittatore», rivolto proprio alla Guida suprema dell’Iran. Un altro slogan molto usato è “Donne, vita, libertà”, testimonianza del fatto che stanno partecipando moltissime donne. Uno dei loro gesti di protesta più ripetuti è stato quello di togliersi il velo: alcune lo hanno bruciato e altre si sono tagliate pubblicamente i capelli in segno di protesta. 

La repressione è stata durissima: la polizia in assetto antisommossa ha sparato proiettili di gomma e proiettili veri, usato i manganelli e scatenato i cannoni ad acqua, ha sparato verso le finestre delle case e lanciato lacrimogeni negli appartamenti. Riporta Ansa che alla decima notte di disordini gli arresti sono arrivati a 1.200 e i manifestanti uccisi sono 76, stando a quanto riporta il gruppo Iran Human Rights.

Inoltre Committee to Protect Journalists (Cpj) e Reporter senza Frontiere, due organizzazioni indipendenti, hanno denunciato che sono stati fermati anche 18 giornalisti. Tra questi ci sono Nilufar Hamedi, che ha visitato l’ospedale dove Mahsa Amini era in coma e ha contribuito ad allertare l’opinione pubblica mondiale sulla sua sorte, e la fotoreporter Yalda Moaiery, resa famosa da una foto iconica delle proteste del novembre 2019.

Tuttavia le proteste non si sono spente, anzi sono cresciute di intensità dopo l’uccisione, domenica, di Hadith Najafi, la ‘ragazza che si legava i capelli a formare una coda prima di gettarsi nel cuore delle manifestazioni divenuta simbolo delle proteste. Anche se si rincorrono voci sulla possibilità che quella donna coi capelli legati, divenuta simbolo delle manifestazioni, non sia lei.

Attualmente le proteste più dure e intense si stanno tenendo soprattutto nel Kurdistan iraniano, la regione da cui proveniva Amini e in cui le manifestazioni si sono trasformate in una rivolta contro le discriminazioni che da tempo il regime attua contro la minoranza curda.

Oltre alla repressione dura, il governo ha organizzato anche un’altra contromossa. Stando a un articolo di Al Jazeera, il regime sta – non proprio dichiaratamente ma quasi – organizzando delle contromanifestazioni a sostegno del regime teocratico, ovvero di se stesso. 

Queste contromanifestazioni sono caratterizzate da un forte simbolismo religioso, in segno di denuncia dei gesti provocatori delle manifestazioni (quelle vere) in cui a quanto pare sono state bruciate copie del Corano e bandiere iraniane. Uno degli argomenti più ripetuti dai sostenitori del governo è il fatto che ci sarebbe il sostegno di potenze straniere, in particolare gli Usa, dietro alle proteste. Il che è anche plausibile, dato che gli Usa spesso cavalcano i movimenti sociali interni a regimi che considerano ostili. Sono manifestazioni però troppo grandi per immaginare, come vuol far credere Teheran, che siano create a tavolino, mentre è più credibile pensare che gli Usa le stiano in qualche modo appoggiando, o magari persino finanziando.

Ovviamente, a differenza delle manifestazioni vere, i raduni a favore del regime godono del pieno sostegno della polizia e delle forze di sicurezza e sono ampiamente coperte dalla televisione di Stato e dai media, mentre le proteste antigovernative sono ignorate dai media e vengono disperse dalle forze di sicurezza.

Il presidente iraniano, l’ultraconservatore Ebrahim Raisi, ha fatto capire molto chiaramente di non essere intenzionato a cambiare approccio e di voler continuare a reprimere le proteste con l’obiettivo di annullarle. 

POST-ELEZIONI

Va bene, torniamo a parlare brevemente del voto di domenica. In particolare di quello che sta succedendo all’interno degli schieramenti dei partiti usciti sconfitti, rispetto alle previsioni, Pd e Lega. 

Nel Pd è già iniziato il toto candidati per sostituire Letta come segretario del partito. Ha aperto le danze Bonaccini, Presidente della regione Emilia Romagna, che ha minacciato l’establishment di mandare all’aria il sistema delle correnti che regola il partito da ormai 15 anni, ovvero dalla sua nascita, e che di fatto relega il potere decisionale nelle mani sempre delle stesse persone, i capicorrente: Dario Franceschini, leader di AreaDem, Andrea Orlando, a capo di Dems, Lorenzo Guerini e Luca Lotti a capo di Base riformista e infine Matteo Orfini alla guida dei Giovani Turchi (l’ala più di sinistra del partito). Piccola nota a margine, ieri Daniel commentava che la probabile prima premier donna è espressione della destra. Ecco, nel Pd non c’è nemmeno una capocorrente donna. Figuriamoci.

Comunque, pare che la sparata di Bonaccini abbia mandato in agitazione i capicorrente, che per correre ai ripari abbiano proposto come candidata questa volta sì una donna, la faccia pulita, ecologista e di sinistra del partito, Elly Schlein, che è la vice di Bonaccini (vicepresidente dell’Emilia Romagna) e che del Pd non ha nemmeno la tessera dal 2016 (dopo il Jobs Act). Di lì in poi è tutto un fioccare di candidature, da Antonio Decaro a Paola De Micheli, allo stesso Orfini. Staremo a vedere.

Anche nella Lega tira aria di tempesta. Dopo che nella votazione di domenica il padre fondatore Umberto Bossi è rimasto clamorosamente fuori dal parlamento, ieri ci ha pensato Giorgia Meloni a dare un’altra spallata al Carroccio facendo sapere che non ci sarà posto per un ruolo centrale di Salvini nel governo, visti i risultati.  

La notizia ha alimentato le voci di chi lo vuole lasciare la leadership del partito, in particolare i governatori di Veneto e Friuli Venezia Giulia, Luca Zaia e Massimiliano Fedriga.

FONTI E ARTICOLI

#referendum
Open – I filorussi esultano per la vittoria ai referendum farsa in Donbass: «Il 93% vuole l’annessione alla Russia». L’Onu: «Illegali»
Quotidiano Nazionale – Ucraina diretta, filorussi: vinto il sì al referendum in Donbass, Kherson e Zaporizhzhia
il Post – Cosa sono le armi nucleari “tattiche”?

#Nord Stream
Il Fatto Quotidiano – Fughe di gas dal Nord Stream, Germania e Usa seguono la pista del sabotaggio. L’ipotesi del coinvolgimento di sub e sottomarino russi. Der Spiegel: “La Cia aveva messo in guardia Berlino”

#Iran
il Post – Dieci giorni di proteste in Iran
il Post – Le proteste in Iran viste dai movimenti delle donne
Ansa – Iran, 1.200 arresti e 76 uccisi nelle proteste per la morte di Mahsa
Aljazeera – Iran’s pro-government counter-protesters try to change narrative

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