11 Nov 2022

La ritirata russa da Kherson è reale o è una trappola? – #618

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Le truppe russe si stanno ritirando da Kherson, in maniera piuttosto inaspettata: è un’apertura ai negoziati o Putin nasconde qualcosa? Intanto i portuali di Genova denunciano uno strano traffico d’armi verso l’Arabia Saudita e ipotizzano una nuova guerra alle porte. Torniamo a parlare di elezioni di midterm, perché negli Usa, o perlomeno in alcuni stati, si è votato anche per abolire la schiavitù (sì avete sentito bene) e infine facciamo il punto sul tema dell’efficienza energetica e di quanto sia utile alla transizione ecologica, dati alla mano.

LA RITIRATA RUSSA DA KHERSON

La notizia principale degli ultimi due giorni è la ritirata russa da Kherson. Che è una notizia abbastanza inattesa e a suo modo strana, rincuorante secondo alcuni, sospetta secondo altri. Kherson è una città simbolica, considerata piuttosto occidentale, ma strategica per il Cremlino nel percorso di avvicinamento a Odessa. È il capoluogo della omonima Oblast, la provincia, e da mesi è al centro del conflitto. 

Tutta la provincia fra l’altro è stata fra quelle annesse dalla Russia con i referendum di settembre, con tutte le conseguenze del caso: introduzione del rublo, introduzione del russo come unica lingua ufficiale, ecc. Per cui nonostante la controffensiva ucraina delle ultime settimane molti analisti pensavano e temevano che l’esercito russo si sarebbe asserragliato nel centro urbano rischiando la carneficina prima di cederlo. E invece l’altroieri è arrivato l’annuncio.

Vi leggo qualcosa dai vari giornali. Andrea Nicastro sul Corriere della Sera descrive così la situazione: “Il ministero della Difesa di Mosca ha annunciato ieri il ripiegamento dalla riva destra del grande fiume Dnipro che divide l’Ucraina in due. In termini territoriali si tratta solo del 10% della provincia di Kherson con l’80% che resterebbe comunque in mano russa.

Ma su quel dieci per cento di terra c’è il capoluogo, la città più a occidente occupata dai tank di Mosca, un lembo di Ucraina che nei piani del Cremlino doveva fare da cuneo verso Odessa, in modo da chiudere a Kiev ogni accesso al Mar Nero. Ci sono state settimane, mesi, in cui lo sfondamento è sembrato possibile. Invece Mykolaiv, la cittadina dopo Kherson, ha resistito. Tra settembre e ottobre il contrattacco ucraino e, ora, la ritirata. Per il presidente Putin, rimasto in silenzio nel giorno amaro dell’annuncio, un’umiliazione.

Nelle settimane scorse Kherson era già stata svuotata di civili. L’esercito russo dovrà ora portare sulla sponda orientale soldati, blindati, tank e artiglieria che sono schierati nelle campagne a occidente della città. Secondo una valutazione Nato, circa 40mila soldati dovranno attraversare il delta del fiume i cui ponti sono, per quanto si sa, distrutti. Un ripiegamento difficile che potrebbe esporre a enormi perdite. 

Questo quadro viene commentato in maniera diversa da diversi analisti. Su la Repubblica Gianluca Di Feo scrive:  “È una scelta militare, che prende atto delle debolezze dell’armata russa, ma soprattutto una decisione politica. Vladimir Putin ritira le sue truppe da Kherson, creando per la prima volta lo spiraglio per un negoziato. Il fiume Dnipro offre infatti la linea per un cessate il fuoco: un confine geografico netto tra i due eserciti”. 

E in un altro articolo, sempre di Di Feo su Repubblica aggiunge: “I russi potevano andarsene combattendo, lasciando squadre di incursori nelle case di Kherson per rendere dura l’avanzata ucraina e nascondere la disfatta. Invece Mosca ha deciso di dare un segnale politico e ritirare tutte le truppe a destra del fiume Dnipro. Una scelta che, nei tempi e nei modi, trasmette per la prima volta dall’inizio dell’invasione la disponibilità a una trattativa”.

Quindi Di Feo dà una lettura piuttosto ottimista della mossa dell’esercito russo. Sono più scettici invece gli ucraini. 

Sempre secondo Andrea Nicastro sul Corriere “Gli ucraini sono un concentrato di scetticismo. Ogni dichiarazione invita al dubbio e alla prudenza. Temono una trappola, temono di essere attirati in combattimenti nell’area urbana di Kherson in cui risulterebbero svantaggiati. Questo perché un conto è ritirare la fanteria, un altro non poter martellare il territorio con l’artiglieria. Nei giorni scorsi, fonti inverificabili parlavano di militari russi vestiti da civili pronti ad accogliere con una pioggia di fuoco gli ucraini che si fossero avventurati in città. Sulla prima linea, che è ancora a circa venti chilometri dalla periferia di Kherson, i militari di Kiev parlano di strade, campagne e primi quartieri completamente minati”. 

Il NYT invece da spazio alle reazioni dei cosiddetti falchi russi. Il sostantivo falco in queste circostanze, l’avrete sentito usare centinaia di volte, è un’usanza mutuata dal giornalismo anglosassone di definire così quei personaggi politici che di fronte a determinate scelte militari sostengono una linea dura e intransigente, in opposizione alle colombe. Ecco i falchi russi secondo il NYT avrebbero reagito molto male all’annuncio.  

Questo è quanto, onestamente non ho le competenze per dare una lettura di questi fatti per cui mi limito a riportarli e riportare quello che dicono alcuni giornali. Capisco che riportare le interpretazioni di Repubblica e del Corriere possa sembrare un po’ di parte, ma non ho trovato altre letture interessanti o diverse dell’accaduto. Anzi, se ne avete segnalatemele.

LO STRANO TRAFFICO D’ARMI VERSO L’ARABIA SAUDITA

Restando in tema bellico, segnalo un interessante articolo con video di Pietro Barabino sul Fatto Quotidiano che raccoglie una testimonianza abbastanza inquietante dei portuali di Genova. Che dicono di osservare, da qualche mese, un aumento importante nella quantità di armamenti, carri armati ed elicotteri da guerra che transitano dal porto di Genova verso l’Arabia Saudita. 

Che è oggettivamente strano. La denuncia, nello specifico, arriva dal Collettivo Autonomo dei Lavoratori Portuali, ed è correlata di foto e documenti che mostrano appunto l’aumento del traffico di armamenti gestito dalla flotta saudita Bahri. Si tratta, a quanto riferiscono, di carichi di armi che arrivano dagli Stati Uniti.

Il timore è che questo aumento sia legato alla preparazione di un conflitto tra i sauditi di Mohammad bin Salman Al Sa’ud e l’Iran: “Non abbiamo ovviamente alcuna competenza geopolitica particolare – ci tiene a precisare Riccardo Rudino, uno dei delegati sindacali che il Calp esprime nelle principali società che operano in porto – ci limitiamo a osservare un’impressionante crescita del traffico di armamenti, e non vogliamo essere complici di questa logica di guerra”.

Mentre il referente USB Navi e Porti Josè Nivoi dichiara sempore al Fatto: “Non è possibile, come fanno per interessi economici, sostenere che materiale esplosivo possa essere paragonabile a normali ‘merci’ – continua Nivoi – quello che chiediamo è il pieno rispetto dalla legge 185/90 che vieta anche il transito di armamenti verso Paesi in guerra e le norme di sicurezza sul lavoro”. 

Insomma ci sono due questioni in ballo: una etica, ricorrente, che è relativa al fatto che i portuali di Genova non vogliono aver niente a che fare né rendersi complici dei conflitti (ci siamo occupati di questo tema mesi fa quando la nostra Valentina D’Amora è stata ad una manifestazione a intervistare alcuni di loro). L’altra geopolitica, che emerge fra le pieghe di questa vicenda e ci porta a chiederci, cosa c’è sotto? Perché l’Arabia Saudita sta acquistando tutti questi armamenti?

ANCORA SULLE ELEZIONI DI MIDTERM

Va bene, ancora, brevemente sulle elezioni di metà mandato americane. Ieri ne abbiamo parlato molto diffusamente quindi non sto a ripetere cose già dette ma mi limito a darvi i risultati definitivi e poi a leggervi un commento che ho trovato interessante.

RISULTATI

Il commento invece l’ho trovato su Global Times, il principale quotidiano cinese in lingua inglese. Ci ero andato per vedere un po’ di letture diverse sulla ritirata russa da Kherson ma ho fatto la scoperta che il conflitto in Ucraina è scomparso completamente dai radar dei media cinesi. 

E invece mi sono imbattuto in un editoriale che fatte tutte le dovute tare, ho trovato interessante perché mostra la visione cinese sulla democrazia americana: “Essere altamente sensibili, capricciosi, nevrotici e aggressivi sono tutti sintomi recenti della democrazia americana. Poiché gli Stati Uniti sono una superpotenza con un’influenza globale, quando il loro sistema si ammala, tutto il mondo ne viene contagiato. 

Dalla rivolta del Campidoglio, che ha scioccato il mondo, alle elezioni di midterm, le turbolenze politiche interne degli Stati Uniti sono ancora in corso dopo due anni. Il rischio di violenza politica cresce, anziché diminuire. Il tasso di criminalità è in aumento. I post su Twitter che menzionano la “guerra civile” sono aumentati di quasi il 3.000%. I politici fanno a gara a chi è più aggressivo. Non solo gli americani comuni sono frustrati e ansiosi per la situazione, ma anche il mondo è preoccupato per gli Stati Uniti. Un media francese si è chiesto di recente: La polveriera americana rischia di esplodere? Questo dimostra il sentimento comune del mondo esterno. Tutto il mondo è d’accordo: l’ambiente politico statunitense si deteriorerà ulteriormente dopo le elezioni di metà mandato. 

Il sistema democratico statunitense è in funzione da oltre 200 anni. Oggettivamente, questo dato può essere considerato notevole. Tuttavia, la pratica dimostra che la società umana non ha ancora progettato un sistema politico perfetto che possa essere applicato ovunque una volta per tutte. In altre parole, non è mai esistito il “mito della democrazia”, né si dovrebbe divinizzare il sistema politico americano”. 

L’articolo è molto più lungo, vi ho letto solo un estratto, ma ecco, parliamone. Perché se da un lato è ovvio che l’obiettivo dell’editoriale è: “guardate come siete messi, non potete certo venire a farci lezioni di democrazia”, ma tutto sommato le cose che dice sono sensate. Quello che per anni abbiamo preso come modello democratico è in crisi profonda, e questa crisi si riverbera su tanti altri attori. E possiamo dirci, serenamente, che gli Usa non sono certo da soli in questa crisi. È la crisi di un modello.

Ora, a questo punto io in genere parto con il mio solito pippone sui modelli di governance ma questa volta invece vi dico un’altra cosa. 

COP 27

Veniamo ai consueti aggiornamenti da COP 27, la conferenza sul clima che si sta svolgendo a Sharm El Sheik. 

IL PROBLEMA DELL’EFFICIENZA

A proposito di clima, uno delle soluzioni che più spesso ci vengono in mente quando parliamo di emergenza climatica e della necessità di tagliare le emissioni di CO2 sono legate all’efficienza energetica. Tipo elettrodomestici che consumano meno, isolamento termico degli edifici e così via. 

Il che va bene ma… se non è inquadrato all’interno di un discorso più ampio rischia di essere del tutto o quasi del tutto inefficace. Lo spiega, dati alla mano, un articolo scientifico pubblicato su Energy Economics, che mostra che da un’analisi delle politiche di risparmio energetico di paesi come Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Stati Uniti emerge che in due anni il risparmio di energia è stato del tutto o quasi del tutto vanificato dal cosiddetto effetto rebound. 

Che vuol dire? Vuol dire che, sostanzialmente, al calare della domanda di energia, il mercato fa sì che anche il prezzo dell’energia cali e quindi una diminuzione dei consumi è in realtà un grosso stimolo all’aumento dei consumi stessi. D’altronde il mercato funziona proprio così.

Quindi dati alla mano, il valore di questo effetto rebound sarebbe compreso in una forbice fra il 78% e il 101% del risparmio, dopo due anni. Significa che tutti quei grandi investimenti sono stati poco utili se va bene, o del tutto inutili se va male. D’altronde lo stesso meccanismo è spiegato molto bene dal cosiddetto Paradosso di Jevons.

Ora, questo vuol dire che abbiamo fatto male a fare il cappotto termico alla nostra abitazione o a spegnere la luce quando non è necessaria? Assolutamente no. Sono tutte cose sensate, di per sé (e che fra l’altro ci fanno pure risparmiare). Il problema – o il punto – è che se però continuiamo a illuderci di poter affidare al mercato la gestione del disegno più grande, tutte queste cose rischiano di diventare inutili. Noi dovremmo piuttosto decidere di darci dei limiti, come stato, ma ancor meglio come comunità internazionale (visto che il mercato energetico è globale) al consumo di energia. Partire da quanta energia pulita riusciamo a produrre, in base a quella fare il conto di quanta ne possiamo consumare e sulla base di quello fare un piano di transizione. 

Vi faccio un esempio per spiegare meglio il concetto. Io mi accorgo di essere sovrappeso. Vado a vedere come assumo le calorie e mi accorgo che assumo un sacco di calorie con il cioccolato. Allora mi dico, ok basta che elimino il cioccolato ed è fatta. Solo che se mi limito a eliminare il cioccolato, senza inserire questa cosa all’interno di un cambiamento più sistematico di stile di vita, alimentazione, ecc, la cosa più probabile è che la sostituisca con qualcosa di analogo. 

Quindi ecco, serve un piano di riduzione dei consumi energetici e serve una clutura del limite diffusa a tutti i livelli della società.

FONTI E ARTICOLI

#Ucraina
la Repubblica – Il ritiro da Kherson è una svolta nella guerra
la Repubblica – I motivi del ritiro russo da Kherson
il Corriere della Sera – La Russia annuncia il ritiro da Kherson. Ma gli ucraini temono una trappola: «Avanzeremo lentamente»

#Usa #schiavitù
il Post – Perché cinque stati americani hanno votato sull’abolizione della schiavitù
Global Times – US dysfunctional politics makes the world sweat: Global Times editorial

#traffico d’armi
il Fatto Quotidiano – “Ecco i blindati e gli elicotteri da guerra”, i portuali mostrano le foto degli armamenti che transitano da Genova: “E Meloni cosa dice?”

#rebound
Enegy Economics – Do energy efficiency improvements reduce energy use? Empirical evidence on the economy-wide rebound effect in Europe and the United States

#Cop 27
il T Quotidiano – Cose di Cop27 – Il diario da Sharm el-Sheikh https://www.iltquotidiano.it/articoli/cose-di-cop27-il-diario-da-sharm-el-sheikh/
L’Indipendente – COP27, tutte le contraddizioni della ventisettesima conferenza sul clima

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