28 Feb 2022

Russia-Ucraina, i possibili negoziati e la minaccia nucleare – #472

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Le ultime novità sulla guerra in Ucraina, che continua a monopolizzare i mezzi d’informazione. Dai possibili negoziati, alla minaccia nucleare di Putin, alle nuove sanzioni. E ancora il ruolo dei social, il rapporto di Putin – forse incrinato – con i suoi generali, la parabola del presidente russo, la reale posizione della Cina, il nuovo stato d’emergenza in Italia e la proposta di tornare al carbone. Tante cose, e concitate, nella puntata di oggi.

Le notizie continuano ad essere monopolizzate dalla guerra in Ucraina e da tutte le sue conseguenze sul resto d’Europa e del mondo. Difficile quindi non parlarne. Però, fatto un doveroso aggiornamento sulla situazione, vorrei soffermarmi su alcuni aspetti più particolari.

Comunque, partiamo con l’aggiornamento. L’offensiva lampo, che secondo i media occidentali era il piano iniziale di Putin, non sta funzionando granché e la capitale ucraina Kyiv ha opposto più resistenza di quanto previsto dalla strategia russa. Il piano B di Putin sembrerebbe prevedere un attacco in contemporanea su vari fronti, in varie città. Secondo funzionari del Pentagono, Mosca avrebbe inviato decine di migliaia di truppe in Ucraina nelle ultime 48 ore; il presidente Vladimir Putin avrebbe chiamato anche i riservisti per l’invasione. 

Ieri sono arrivate due notizie di segno opposto. La prima è che le delegazioni di Russia e Ucraina dovrebbero incontrarsi oggi al confine tra Ucraina e Bielorussia, per provare la via dei negoziati. Nelle stesse ore però il Cremlino ha fatto sapere di avere ordinato l’allerta del sistema difensivo nucleare russo, il cosiddetto sistema di deterrenza nucleare, che include appunto parte dell’arsenale nucleare russo. In realtà, le due notizie sono meno contraddittorie di come sembra, e il fatto di ventilare la minaccia di un conflitto nucleare potrebbe a ben vedere essere un modo per mettere pressione sulla delegazione ucraina in vista del colloquio. 

Putin ha motivato l’attivazione del sistema difensivo nucleare con la necessità di rispondere all’atteggiamento a sua detta aggressivo della Nato e dei suoi leader, che hanno imposto e stanno imponendo sanzioni ostili.

Le sanzioni e i blocchi, nel frattempo si moltiplicano. Molti paesi europei, Italia inclusa, hanno chiuso il proprio spazio aereo a Mosca. Intanto sembra crescere iul consenso sull’esclusione della Russia dal sistema Swift, una sanzione che praticamente consiste nell’isolare il sistema finanziario russo, le sue banche, dal reso del mondo, ed è considerato l’equivalente della bomba atomica delle sanzioni. Che ovviamente, come dicevamo qualche giorno fa, avrebbe ripercussioni enormi anche su tantissimi altri paesi, compresi i sanzionanti. Basti pensare che il sistema Swift è anche quello con cui viene pagato il gas russo.

Ad ogni modo, voglio focalizzarmi su alcuni aspetti particolari di questo conflitto, che come tanti pezzetti di un mosaico ci aiutano a scorgere l’immagine più grande, che ancora non riusciamo a distinguere del tutto.

Primo aspetto, il ruolo dei social. Mi sono accorto che molte delle notizie, dei filmati, delle analisi più interessanti della situazione le sto trovando proprio sui social, su Twitter e Facebook in particolare. E i social hanno un ruolo sempre più attivo nel conflitto stesso.

Sabato il vice primo ministro ucraino Mykhailo Fedorov ha lanciato su Twitter un appello a Elon Musk: visto che ci sono problemi di connessione e comunicazione in Ucraina, per via del conflitto, Fedorov ha taggato Musk in un tweet in cui chiedeva sostanzialmente al miliardario di attivare il servizio di connettività satellitare Starlink. Dopo circa 12 ore Musk ha risposto in un altro tweet, “Il servizio Starlink è ora attivo in Ucraina. Altri terminal sono in arrivo”. Ora i cittadini avranno la possibilità di comunicare tra loro e la Russia non dovrebbe essere più in grado di impedirlo.

E a proposito di social, in molti stanno facendo notare il tipo di comunicazione assunto da Zelensky, parla al suo popolo, ma anche i leader mondiali, dalle strade di Kyiv riprendendosi con lo smartphone. Posizionandosi agli antipodi di Putin, che parla dal Cremlino, in stanze enormi e con atmosfere sempre solenni e celebrative, spesso tese. Putin che, secondo diverse voci, potrebbe aver preregistrato molti dei suoi messaggi giorni fa, per poi rilasciarli a tempo debito, tipo Hari Seldon nel ciclo della Fondazione.

Sempre dai social prendo alcune letture che ho trovato molto interessanti. La prima riguarda un possibile disallineamento fra la volontà di Putin e quella dei suoi generali. È un’ipotesi che leggo sul profilo di Pietro Cambi, un blogger, geologo, esperti di energia e di un sacco di altre cose, che fa analisi sempre piuttosto eretiche ma spesso azzeccandoci. Ecco la sua ipotesi, avvalorata anche da fonti di diversi insider, è che i generali non stiano aggredendo il nemico ucraino con la violenza voluta dal loro leader.

Ci sono vari dettagli tecnici e strategici che fanno ipotizzare questa cosa, ma fatto sta che il succo generale è che se l’esercito russo avesse voluto avrebbe preso Kyiv in poche ore, e invece questo non sta accadendo. E le strategie usate dai generali, il tipo di forze dispiegate e il come sono state dispiegate somigliano un po’ a un tentativo di sabotaggio interno, forse per solidarietà con il popolo ucraino, che è sempre stato vicino a quello russo.

Questa ipotesi coincide con la parabola di Putin descritta da molti analisti, che mi segna il collega Filippo Bozotti. Il presidente russo è alle prese con un Pil che è uguale a quello di 15 anni fa, deve fronteggiare un’opposizione interna crescente che prova a reprimere in maniera sempre più autoritaria, e sembra attanagliato da una crescente nostalgia verso l’Unione sovietica. E questa mossa potrebbe essere una sorta di all-in per risolvere tutti i suoi problemi in un sol colpo. O crollare definitivamente. Ma potrebbe essere solo, con pochi fedelissimi che lo seguono, e un’opinione pubblica e persino i suoi generali che non sono così convinti.

È un’ipotesi realistica? Non lo so, ma guardatevi il video del summit tra Vladimir Putin e il capo dell’intelligence russa Sergei Naryshkin, in cui Naryshkin, terrorizzato, prova a dire che dovrebbero dare più tempo ai “partner occidentali”, li chiama così, e Putin lo divora e lo rimanda a sedere come uno scolaretto. 

Un’altra ipotesi interessante la prendo invece da Gabriele Battaglia, giornalista fra i maggiori esperti di  Cina che abbiamo in Italia, secondo cui la tanto ventilata alleanza Cina-Russia sarebbe stata ingigantita dai media, e la Cina in realtà non avrebbe nessun interesse a mettere bocca o schierarsi in un conflitto da cui avrebbe solo da perdere. Anzi, i vertici cinesi potrebbero persino essere stati all’oscuro di tutto, esattamente come il resto del mondo. 

Queste due ipotesi messe assieme, fanno emergere un quadro un po’ diverso, ridimensionato, del conflitto. Un conflitto che potrebbe essere quasi una questione personale di Putin. Questo, ovviamente, senza negare le cause storiche, che ci sono eccome e tirano in ballo molte responsabilità occidentali, come analizza molto lucidamente Barbara Spinelli sul Fatto Quotidiano, che in 6 punti inchioda la Nato alle sue responsabilità. Vi cito un solo dato su tutti: “Nel ’93 Clinton promise a Eltsin una “Partnership per la Pace” al posto dell’espansione Nato: parola data e non mantenuta, se è vero che tra il 2004 e il 2020, la Nato passò da 16 a 30 Paesi membri, schierando armamenti offensivi in Polonia, Romania e nei Paesi Baltici ai confini con la Russia. E nel vertice Nato del 2008 a Bucarest, gli Alleati dichiararono che Georgia e Ucraina sarebbero in futuro entrate nella Nato.

Prima di chiudere, alcuni “effetti collaterali” del conflitto. Sabato notte i missili russi hanno colpito un deposito petrolifero a Vasylkiv, a circa 40 chilometri a sud-ovest da Kyiv. Le forze russe hanno fatto saltare in aria anche un gasdotto a Kharkiv, la seconda città più grande del paese, e un sito di smaltimento di rifiuti radioattivi a Kiev, causando vari possibili disastri ambientali, che si sommano alle vittime della guerra e aggravano ulteriormente la situazione.

Venendo in Italia, il governo ha dichiarato un nuovo stato di emergenza, che diventa un prolungamento del precedente, questa volta per via della crisi internazionale. E contestualmente Draghi annuncia anche l’ipotesi di riaprire temporaneamente alcune centrali a carbone per sopperire alle mancanze di gas russo. 

Il che è persino comprensibile, in questo momento. Ed è il motivo per cui la transizione ecologica è meglio farla quando tutto va bene, non quando tutto precipita. Perché mentre tutto precipita devi pensare a non restare con le chiappe al ghiaccio e allora qualsiasi soluzione va bene. Salvo il fatto che spesso le soluzioni temporanee e emergenziali come questa vanno a peggiorare i problemi strutturali, e il sistema diventa ancora più instabile.

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