16 Mar 2023

Scioperi e proteste in Europa, parliamone – #690

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In Francia continuano scioperi e agitazione sociale contro la riforma delle pensioni, mentre nei Paesi Bassi sono i contadini a protestare, contro una riforma che però prevede l’abbandono dei sussidi a chi utilizza fertilizzanti chimici. Passiamo anche in rassegna – è proprio il caso di dirlo – diversi articoli sulla transizione energetica nel mondo, parliamo dell’approvazione da parte di Biden del contestato progetto di trivellazioni in Alaska, dei danni del ciclone Freddy in Malawi e infine delle misure di conservazione del leone asiatico in India, che stanno funzionando molto bene.

Non ce ne siamo mai occupati fin qui, ma in Francia c’è un discreto caos sociale nelle ultime settimane, con scioperi a ripetizione e grosse manifestazioni per protestare contro l’annunciata riforma delle pensioni del governo Macron. Ieri c’è stata l’ennesima giornata di mobilitazione, con manifestazioni in decine di città e disagi soprattutto in settori come la scuola, il trasporto ferroviario e quello pubblico locale. Tutte queste iniziative stanno mettendo in ginocchio diversi settori. 

Leggo da un articolo del Post: “Le compagnie aeree hanno già cancellato diversi voli. Da giorni ci sono ritardi nella consegna del carburante alle stazioni di rifornimento e diverse città, tra cui Parigi, sono piene di rifiuti per gli scioperi dei lavoratori del settore: lunedì si è stimato che nelle strade della capitale ci fossero oltre 5.600 tonnellate di rifiuti in sacchi della spazzatura non raccolti dai netturbini”.

Se vi state chiedendo quanto sono 5600 tonnellate di rifiuti, la risposta è tanti. A spanne, mi sono fatto due calcoli, è come se prendeste una quindicina di piscine olimpioniche e le riempiste completamente fino all’orlo di rifiuti.

Ma contro cosa protestano esattamente i francesi? “Il punto principale della riforma e contro il quale si protesta maggiormente è l’innalzamento dell’età minima per la pensione da 62 a 64 anni”. 

Luigi Mastrodonato su Lifegate aggiunge qualche informazione in più sulla riforma: “In Francia da tempo si discute di cambiare questo sistema di pensioni, visto che la popolazione è in generale invecchiamento e la sua sostenibilità è sempre più a rischio. L’obiettivo del presidente Emmanuel Macron e del governo guidato da Elisabeth Borne è di alzare l’età pensionabile a 64 anni, così da ritardare di due anni il momento in cui lo stato deve pagare le pensioni e avere più persone che versano contributi e rimpinguano dunque le casse statali. Il rialzo non sarebbe immediato, ma progressivo di tre mesi ogni anno, fino ad arrivare a compimento nel 2030”.

Attualmente “Il sistema pensionistico francese funziona “a ripartizione”, con i contributi pagati dai lavoratori e dai datori di lavoro che vengono usati per elargire immediatamente le pensioni agli attuali pensionati. Un “patto di solidarietà tra diverse generazioni”, scrive il giornale britannico The Guardian, un sistema che viene descritto come costoso e anche molto complesso, dal momento che prevede 42 regimi diversi, ciascuno con le sue peculiarità. Oggi l’età pensionabile in Francia è di 62 anni, molto bassa per esempio rispetto all’Italia dove è di 66 anni e 7 mesi e in generale tra le più basse d’Europa”. 

Continuo a raccontarvi delle proteste sul Post: Quella di ieri è stata “l’ottava giornata di grandi manifestazioni dalla fine di gennaio, ma nonostante la mobilitazione eccezionale il governo in questo periodo si è mostrato piuttosto risoluto e poco intenzionato a cambiare idea sulla riforma. La nuova giornata di proteste avverrà mentre una commissione parlamentare composta da membri delle due camere dovrà redigere il testo finale del disegno di legge, che dovrebbe essere poi votato giovedì (oggi) da entrambe le camere.

Sembra comunque che il grande movimento di protesta di questi ultimi mesi abbia avuto qualche effetto, visto che secondo i giornali francesi alcuni membri della maggioranza non sarebbero più certi del proprio voto in vista di giovedì. Se al Senato il governo di Macron è sicuro di ottenere l’approvazione della legge, all’Assemblea nazionale (cioè la camera bassa), Macron non ha la maggioranza assoluta: per far passare la riforma il governo conta sull’appoggio dei Repubblicani, partito conservatore storicamente favorevole all’innalzamento dell’età pensionabile, ma che viene descritto come internamente piuttosto diviso sulla questione. All’Assemblea nazionale basteranno poche defezioni per non raggiungere l’obiettivo.

L’ultimo elemento su questa vicenda che mi sembra interessante, si fa per dire, è che “Nel caso in cui non dovesse farcela, i giornali francesi parlano da giorni della possibilità che si ricorra al comma 3 dell’articolo 49 della Costituzione francese, che consente a un primo ministro o a una prima ministra di approvare un testo di legge in materia finanziaria o di finanziamento al welfare senza passare da una votazione parlamentare (con l’approvazione del Consiglio dei ministri)”. Il che mi sembra un’azione piuttosto grave da parte del governo che rischierebbe di innalzare ulteriormente il livello di scontro sociale. Domani ne riparliamo.

Di protesta in protesta, ieri parlavamo delle manifestazioni degli agricoltori indiani, oggi parliamo di quelle degli agricoltori dei Paesi Bassi. 

Scrive Giorgia Audiello su L’Indipendente: “Nonostante la partecipazione di migliaia di manifestanti, sono passate piuttosto sotto silenzio le proteste degli agricoltori belgi e olandesi contro il cosiddetto “piano azoto” proposto da Bruxelles e dal governo olandese di Mark Rutte. Le proteste si sono svolte prima in Belgio, a Bruxelles e, successivamente, in Olanda: in entrambi i casi si è registrata la partecipazione di migliaia e migliaia di dimostranti. In Olanda si stima che l’11 marzo 10.000 persone abbiano sfilato per il centro de L’Aia, la città dove ha sede il governo olandese, per opporsi ad una misura che, qualora venisse approvata dal governo, prevederebbe l’acuirsi degli oneri finanziari per tutti gli agricoltori e allevatori che fanno ricorso a fertilizzanti e reflussi zootecnici contenenti azoto, quest’ultimo ritenuto tra i principali responsabili delle emissioni di gas serra”. 

Ora, qui bisogna fare qualche ragionamento, perché entriamo nel campo della complessità dei sistemi sociali umani. Ma prima lasciate che voi legga qualche informazione in più. ”La misura rientra nel piano più ampio sostenuto da Bruxelles di riduzione del 50% delle emissioni entro il 2030, come previsto dal Green Deal europeo. Tuttavia, i costi della cosiddetta transizione ecologica sono addossati interamente ai lavoratori, alle industrie e, in questo caso, agli agricoltori che hanno deciso di esprimere seccamente la loro contrarietà a una norma che potrebbe portare al collasso il settore agricolo.

Le proteste sono state organizzate dalle sigle sindacali Farmers Defence Force (Fdf) e Samen voor Nederland (Insieme per i Paesi Bassi) a pochi giorni dalle elezioni regionali: numerosi trattoristi hanno paralizzato il traffico al di fuori delle principali città del Paese, visto che i centri storici erano stati blindati dalle forze dell’ordine, per evitare gli ingorghi che iniziative simili avevano causato in Belgio. Per esprimere il loro dissenso i manifestanti si sono presentati con la bandiera nazionale capovolta e con scritte critiche esposte sui trattori e sui cartelloni, come ad esempio «niente agricoltori, niente cibo». Alcuni allevatori olandesi sono preoccupati dalla possibilità di incappare in espropri forzati di terreno, in seguito a misure che porterebbero alla riduzione delle mandrie in campo aperto e agli allevamenti nel Paese che è il primo esportatore di carne in Unione europea”.

Poi l’articolo passa ad analizzare una serie di potenziali conflitti di interessi della normativa europea e da la parola a un eurodeputato italiano che si oppone fermamente alla legge, cadendo a mio avviso in diversi bias cognitivi, che magari mi torneranno utili per un prossimo episodio di Trova il bias! Oggi però vorrei fare un po’ di ragionamenti con voi che ascoltare. 

Qui usciamo dal cliché dei manifestanti buoni contro un governo cattivo che fa cose solo per il suo interesse. Le misure volute da Rutte così come da Bruxelles in questo senso sono molto sensate. Lo abbiamo visto anche qualche giorno fa parlando del fosfogeddon o picco dei fosfati: è urgentissimo emanciparsi dall’utilizzo di fertilizzanti, pesticidi e tutti gli aiutini chimici che da diversi anni vengono utilizzati nell’agricoltura industriale. 

Il problema è il “come”. Come lo facciamo? C’è uno slogan utilizzato da diversi gruppi di attivisti climatici che recita “La transizione ecologica o è giusta, o non è”. Ecco questo slogan è più di una frase fatta o di una dichiarazione d’intenti etica. È una descrizione della realtà. Se pensiamo di compiere una transizione senza preoccuparci di cosa succede a tutte le persone che dovranno forzatamente cambiare la loro vita, i loro lavori, dopo che per decenni i governi di tutto il mondo hanno detto che quella era la cosa giusta da fare, ecco, semplicemente non succederà.

Per questo è così importante immaginare fin da subito dei modi perché i costi della transizione non vadano a cadere sull’ultimo anello della catena, i produttori in questo caso. Per questo, mi sento di aggiungere, è così importante adottare sistemi di governance collaborativi e partecipati in cui queste persone vengono coinvolte nelle decisioni che le riguardano. Chi meglio di loro può immaginare una soluzione?

Sono usciti diversi articoli che evidenziano da svariati punti di vista come sta procedendo la transizione energetica verso le rinnovabili nel mondo. Come spesso avviene in questi processi di portata globale, succedono allo stesso tempo tante cose che vanno in direzioni opposte. io ve ne riporto alcune e poi valuterete voi se e quanto complessivamente la risultante finale sta andando nella giusta direzione.

Partiamo con l’abbandono del carbone, la fonte fossile più inquinante in assoluto. Come sta andando? Un articolo su Rinnoivabili.it, che cita alcuni report di varie organizzazioni internazionali, afferma che tutte le regioni del mondo abbandonano il carbone, con le eccezioni parziali di India e Indonesia in Asia e soprattutto della Cina, in cui il boom di nuove centrali nel 2022 però sta fortemente frenando questo trend. I nuovi impianti cinesi in via di realizzazione rappresentano da soli il 72% del totale mondiale.

Al tempo stesso, scrive La Svolta, “Entro il 2025, secondo Ubs, la Repubblica popolare cinese arriverà a controllare circa 1/3 della produzione globale di litio (che estrae soprattutto all’estero, grazie ad attività in Cile, Australia e altri Paesi). Nello stesso arco di tempo è probabile che riesca a raggiungere la metà della produzione mondiale di cobalto, che attualmente si attesta attorno al 44%. Sia il litio sia il cobalto sono metalli impiegati per la costruire batterie per i veicoli elettrici e saranno fondamentali nella transizione energetica”. 

Ieri il Parlamento europeo ha approvato la direttiva sulle case green per l’efficienza energetica degli edifici in tutta Europa. Il testo sarà adesso oggetto del negoziato finale tra Consiglio e Commissione europea per poi di tornare alla votazione nella plenaria di Strasburgo. Vediamo in breve quali sono i punti chiave, da un articolo di la nuova ecologia:

  • Classe energetica E entro il 2030 e la classe energetica D entro il 2033 per gli edifici residenziali. Per l’Italia si tratterebbe di una svolta importante considerato che nel nostro Paese ci sono circa 1,8 milioni di edifici residenziali (su un totale di 12 milioni) appartenenti alla classe più energivora, ovvero la G;
  • Da gennaio 2026 obbligo di realizzare i cosiddetti Zeb (zero emission buildings) per i nuovi edifici occupati, gestiti o di proprietà di enti pubblici. Negli altri casi la scadenza è il 2028;
  • Impianti solari obbligatori in tutti i nuovi edifici pubblici e i nuovi edifici non residenziali;
  • Saltano gli incentivi per le caldaie a gas.

Ultima notizia a tema energia, ci spostiamo si GreenMe, che ci informa sul fatto che “Il Gruppo Enel ha deciso di tornare a investire nell’energia nucleare. Proprio nelle ultime ore è arrivata, infatti, la notizia relativa a un accordo di cooperazione siglato dalla multinazionale italiana con la società newcleo (il nome è bello, devo ammetterlo), che intende realizzare il suo primo impianto nucleare di quarta generazione. Enel sarà proprio il primo investitore nel progetto di costruzione del reattore che verrà costruito fuori dai confini italiani”.

Ecco, queste mi sembrano le principali novità sul fronte della transizione energetica. Scusate il commento stringato ma abbiamo tante cose di cui parlare oggi e dobbiamo correre un po’.

Spostiamoci negli Usa per una pessima notizia. Vi ricordate quel progetto di trivellazione in Alaska al vaglio dell’Amministrazione Biden di cui parlamao? Di cui dicevamo “sarà una cartina di tornasole di quanto siano reali e concreti i proclami green del Presidnete americano”? Ecco, la risposta è “poco”. 

Scrive GreenReport che “Il dipartimento degli interni Usa ha approvato il Willow project, una contestata concessione di licenze di trivellazione di idrocarburi avanzata da ConocoPhillip sul North Slope dell’Alaska. In base al piano approvato dall’amministrazione Biden, ConocoPhillips sarà autorizzata a sviluppare tre pozzi (ne aveva chiesti 5), in uno dei più grandi progetti di estrazione di petrolio e gas su terreni pubblici federali e potrebbe emettere circa 287 milioni di tonnellate di inquinamento da carbonio nei prossimi 30 anni, equivalenti alla riattivazione di un terzo di tutte le centrali a carbone negli Stati Uniti. 

La decisione arriva dopo che, il giorno prima. l’amministrazione Biden aveva annunciato nuove protezioni per le terre e le acque artiche, vietando le trivellazioni di petrolio e gas su milioni di acri della National Petroleum Reserve-Alaska e del Mare Artico.

Le associazioni ambientaliste, le comunità indigene e diversi parlamentari democratici si erano opposti al controverso progetto Willow, una “bomba di carbonio” che bloccherebbe per decenni gli sforzi Usa per uscire dai combustibili fossili.

L’articolo poi passa in rassegna le varie reazioni sconcertate del mondo ambientalista e non solo. Anche se, come avevamo visto ieri, c’è invece tutto un altro pezzo di società civile che faceva pressione a Biden perché approvasse il progetto. Ora, se posso dirvi la mia, penso che progetti come questo, totalmente anacronistici, non vedranno mai la luce. La crisi climatica sta battendo colpi sempre più potenti e nei prossimi anni questa cosa sarà sempre più drammaticamente chiara a tutte e tutti noi. Detto ciò, è comunque un pessimo segno. E vuol dire anche che plausibilmente alle prossime elezioni americane vedremo contrapporsi due candidati (uno è quasi sicuramente Biden, l’altro sarà probabilmente uno fra Trump e Ron Desantis) che non hanno nella lotta ai cambiamenti climatici la loro priorità, mettiamola così e con tutte le differenze del caso.

Spostiamoci in Africa, in Malawi per l’esattezza, ma continuiamo a parlare di crisi climatica. Perché nel paese è appena passato il ciclone Freddy, causando morti e devastazione. Leggo da un articolo su Nigrizia: “Il presidente del Malawi ha dichiarato lo stato di disastro nazionale per il passaggio del ciclone Freddy, una delle tempeste più potenti e durature mai registrate nell’emisfero australe, che per la seconda volta in un mese si è abbattuto su Mozambico e Malawi.

In quest’ultimo paese ha ucciso quasi 200 persone, un bilancio ancora provvisorio perché le piogge, che hanno causato inondazioni e smottamenti, continuano, complicando il lavoro dei soccorritori che lottano per trovare nel fango morti e sopravvissuti.

Oltre 19mila persone sono sfollate. Ingenti anche i danni alle infrastrutture (strade e ponti in particolare) e alle abitazioni, con la maggior parte delle regioni colpite che restano ancora inaccessibili. Elettricità e comunicazioni sono interrotte in molte aree, cosa che complica ulteriormente i soccorsi.

Il timore è anche per i sopravvissuti. Mancano tende, coperte, sapone, medicinali, cibo e soprattutto acqua pulita, fa sapere Medici senza Frontiere, avvertendo che gli ospedali, già sovraccarichi, sono “sopraffatti dall’afflusso di feriti”.

Su tutta la popolazione incombe ora la minaccia di un’ulteriore diffusione dell’epidemia di colera che da marzo 2022 ha provocato già oltre 1.500 morti con più di 50mila contagi: una media di oltre 500 nuovi casi ogni giorno (dati del 2 marzo)”.

Come spesso accade, la crisi climatica non è equa e colpisce di più le popolazioni più povere e il cosiddetto Sud del mondo. Anche per questo la transizione ecologica deve esserlo.

Concludiamo con una bella notizia che arriva dall’India, dove gli sforzi per la conservazione dei leoni nello stato indiano del Gujarat hanno avuto un tale successo che verrà aperto un nuovo santuario per ospitare il numero crescente di felini.

Scrive Amrit Dhillon sul Guardian: “Il parco nazionale di Gir ospita l’unica popolazione di leoni asiatici al mondo e l’unico luogo al di fuori dell’Africa in cui è possibile vedere un leone nel suo habitat naturale. Il numero di questi animali in via di estinzione è cresciuto così tanto – circa 400 a Gir e 300 in altre parti dello Stato – che Gir è stato sovraffollato per anni. La mancanza di spazio ha costretto i leoni ad allontanarsi nei villaggi e nelle aree costiere.

L’articolo spiega poi una serie di questioni per così dire politiche sullo spostamento dei leoni, ma il fatto più interessante mi sembra che la conservazione di questa specie stia funzionando molto bene. E mi sembra che in generale nel mondo si stia assistendo a un’inversione di tendenza nelle popolazioni di diverse specie.

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