9 Set 2024

La violenza nei centri d’accoglienza straordinaria in Sardegna, l’inchiesta – #977

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Un’inchiesta del nostro partner INDIP mette in luce la tremenda situazione in alcuni centri di accoglienza straordinaria della Sardegna. Parliamo anche delle dimissioni del ministro della cultura Sangiuliano e della nomina del suo successore, della situazione a Gaza e dintorni e delle elezioni in Algeria.

Oggi su Italia che Cambia pubblichiamo un’inchiesta realizzata dal nostro partner sardo INDIP che riguarda la situazione dei migranti in alcuni – uno in particolare – centri di accoglienza straordinaria in Sardegna.

I CAS sono dei luoghi, che possono essere appartamenti, alberghi o agriturismi messi a disposizione dai privati, che ricevono sostanziosi fondi in cambio, dove i migranti trascorrono un tempo in teoria breve, nella pratica non sempre, in attesa di asilo o di protezione internazionale. 

E dove capita, si apprende dall’inchiesta, che subiscano violenze fisiche e psicologiche da parte dei gestori. Vi consiglio davvero di leggere l’inchiesta, veramente ben fatta e dettagliata, anche se ovviamente molto penosa da leggere, in cui si citano video e testimonianze raccolte dai giornalisti di Indip che dimostrano episodi anche gravi di aggressioni e minacce. 

Ora, più che raccontarvelo io e oltre a raccmandarvi di leggere l’articolo, che trovate sotto FONTI e ARTICOLI qua in fondo, voglio dare la parola a Andrea Carboni. Andrea benvenuto, cosa hai scoperto?

Audio disponibile nel video / podcast

Proseguiamo con la saga di Sangiuliano, anche se piuttosto in breve. Perché la vicenda Sangiuliano ha avuto l’esito che giorno dopo giorno si iniziava ad intravedere e intuire. Anche se non era scontato, dopo anni di berlusconismo.

Ovvero, il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ha presentato venerdì le sue dimissioni irrevocabili alla premier Giorgia Meloni. Prima era successo che il ministro era andato in Tv in diretta sul Tg1, che ha stravolto i suoi palinsesti per mandare in onda appunto questa lunga intervista che in realtà è stato un monologo in cui il ministro ha ammesso di avere avuto una relazione amorosa con Maria Rosaria Boccia, che avrebbe voluto farla diventare sua assistente ma è stato dissuaso dal suo staff, in cui però ha negato di aver mai pagato alcunché con fondi pubblici dicendo aver sempre pagato di tasca sua, ha mostrato gli scontrini, e poi vabbé c’è stata la parte più personale, un po’ soap opera, del ministro che scoppia in lacrime, che chiede scusa alla moglie, alla famiglia e così via.

Ovviamente la cosa ha fatto impazzire tutti, e ognuno ha fatto il suo mestiere. I comici hanno fatto battute che evidenziavano l’ipocrisia della difesa della famiglia tradizionale che è sempre quella degli altri, i politici di opposizione hanno fatto più o meno la stessa cosa e i giornalisti in gran parte idem. E poi lentamente le cose stanno tornando all’equilibrio iniziale. O forse no.

Perché Boccia ha un calendario fittissimo di interviste e presenze tv in cui promette di rivelare altri segreti, chat private dell’ex ministro che, si dice, potrebbero far tremare altri membri del governo, forse la stessa premier. Allude alla presenza di altre donne, di uno scandalo molto più grande. Però, appunto, sono allusioni. 

Certo è che emerge uno spaccato di umanità un po’ decadente da questi quadretti, ovvero la politica parlamentare e buona parte di quel mondo che la circonda. Mi è piaciuto molto un commento di Alessandro Gilioli, ex vicedirettore dell’Espresso, ex direttore di Radio Popolare, che scrive:

“A me però invece viene in mente soprattutto il patetico e agitato  demi-monde dei tanti personaggi in cerca d’autore che ciondolano attorno ai palazzi della politica romani. 

Maschi e femmine, giovani e vecchi, belli e brutti, trilaureati e semianalfabeti, onesti e camorristi, e così via all’infinito: c’è la qualunque, in quei bar e in quelle piazze assolate; un’umanità disperata e affascinata dal potere o solo in cerca di un salario, in ogni caso a caccia di relazioni. I maschi stretti in cravatte sudate, le femmine col mascara che cola, tutti e tutte con l’auricolare bianco  nel padiglione destro, tutti e tutte con qualche cartella di fogli al braccio, forse finto, chissà, potrebbero essere anche A4 bianchi.

E’ un’umanità dolente e grottesca, attaccata come oche di Lorenz a un onorevole o a un sottosegretario, nei casi migliori a un capogruppo o a un ministro; un’umanità spesso abbandonata sotto il sole ad aspettare che il loro dio esca da una riunione”.

Intanto abbiamo però un nuovo ministro della Cultura scelto da Meloni. Chi è? Si chiama Alessandro Giuli, è un giornalista ex condirettore del Foglio e presidente della fondazione MAXXI (il MAXXI è il più importante museo di arte contemporanea di Roma). È  nato a Roma classe 1975, e apprendo dal Post che ha un passato un po’ torbido: ha una storia di militanza nell’estrema destra, ispirata dal nonno paterno, sostenitore del regime fascista. Durante l’adolescenza ha aderito al Fronte della Gioventù, che era l’organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano (MSI), e ha partecipato a movimenti neofascisti e neonazisti. 

Dal punto di vista professionale, dopo aver iniziato la carriera giornalistica nel quotidiano di centrosinistra *L’Umanità*, ha lavorato al *Foglio*, dove appunto è diventato condirettore e in seguito ha diretto la rivista conservatrice *Tempi*. Sempre secondo il Post durante il primo governo Conte, quello M5S-Lega, si è avvicinato alla Lega, ma ha mantenuto legami stretti con la destra romana e Giorgia Meloni. Al 2022 invece risale la sua nomina a presidente del MAXXI. 

Che ci dice questa nomina? Diciamo che è una figura simile a Sangiuliano, entrambi giornalisti, entrambi passati per il Foglio, diciamo che forse Giuli è più politico di Sangiuliano, probabilmente più di destra (anche se alcuni giornali parlano di una sua svolta più moderata e presentabile), è un personaggio comunque conosciuto e stimato nel mondo del giornalismo quello più istituzionale, diciamo, e sicuramente più vicino, più fedele alla premier, che suppongo stia cercando di circondarsi di persone fidate in un momento in cui per motivi diversi potrebbero saltare altre due pedine del suo governo, vale a dire Fitto che dovrebbe essere in partenza per Bruxelles con una sedia in Commissione e Santanché, per la quale invece si attendono gli sviluppi delle sue vicende giudiziarie. E questo e quanto, al momento.

Torniamo a parlare di Gaza e dintorni, che è uno dei tanti scenari su cui dobbiamo assolutamente aggiornarci. Anche qui, tenetevi forte, perché non sono storie belle. Mi dispiace. Ma immagino che possiate immaginarlo.

Prima di farvi il riassunto più generico della situazione voglio raccontarvi di una video inchiesta pubblicata dal NYT che ci racconta di una storia drammatica ma lo fa in maniera giornalisticamente impeccabile, senza nemmeno commentare, senza gridare – anche con mezzi incommensurabili a quelli a disposizione di qualsiasi giornale italiano, va ammesso – ma insomma un lavoro encomiabile. 

Comunque, la storia riguarda uno dei primi filmati che ha commosso il mondo e che ci ha reso consapevoli delle atrocità che stavano avvenendo a Gaza. Il filmato risale allo scorso dicembre e mostra 6 membri di una famiglia, ovvero padre madre e i 4 fratelli, riversi a terra, uccisi presumibilmente da dei cecchini.  

Un video che è circolato lo scorso dicembre e risalente a pochi giorni dopo l’invasione israeliana di Gaza, che ha davvero straziato mezzo mondo, anche per alcune caratteristiche, tipo il fatto che due dei 5 fratelli erano abbracciati alla madre, o altri dettagli che non si capivano ma che lasciavano intuire altro, come il fatto che il corpo del padre fosse riverso accanto a una barella arancione vuota, e accanto a una vanga.

Che ha fatto un gruppo di giornalisti/e del NYT? È partito dal video, ha rintracciato la zona in questione tramite immagini satellitari, ha rintracciato una sorella superstite, contattato l’esercito israeliano e ha iniziato un’indagine incrociata fatta di interviste, dati incrociati fra satellite, eventi di quei giorni e così via per capire la storia di quella famiglia, come mai era stata uccisa e la dinamica degli eventi.

Vi tralascio tutta la storia, ma se avete la forza vi consiglio di vedere il video, e vado alla conclusione. In pratica la zona era stata colpita da diversi bombardamenti che avevano distrutto la casa della famiglia, ma anche la scuola e l’ospedale della zona, che secondo l’IDF era una base di Hamas. La famiglia si era anche impegnata a fondo per ripulire e risistemare l’ospedale assieme ad altri volontari. Poi succede che l’ospedale viene nuovamente bombardato, i bombardamenti si susseguono tutte le notti. Poi, una notte le esplosioni si placano. Fuori sembrano scomparsi anche i carri armati.

La mattina dopo il nipote della famiglia, un bambino, esce di casa e viene ucciso da un cecchino appostato proprio nell’ospedale. Viene caricato su una barella e la famiglia va a seppellirlo. E mentre tornano a casa vengono uccisi tutti, sempre dai cecchini.

L’esercito israeliano, messo di fronte all’evidenza dai giornalisti, si è giustificato dicendo che purtroppo molti terroristi di Hamas giravano vestiti da civili e quindi ci sono stati molti errori. E qui finisce la storia. Anzi no, ci sono anche degli ultimi dettagli ma ve li risparmio. Ora, prendetevi un attimo per decomprimere, se ne avete bisogno perché è una storia davvero tremenda. E capisco che possa generare anche un forte sentimento di odio antiisraeliano, ma ecco, ricordiamoci Israele è un paese fatto da tante persone con idee anche molto diverse fra loro.

Comunque vi ho raccontato questa storia anche per mostrare come si possa arrivare a dei livelli di dettaglio e professionalità incredibili anche nel raccontare storie (belle o brutte che siano) piccole, che però portano con sé tanti significati. Quindi davvero tanti complimenti ai giornalisti del NYT. È vero che servono molti mezzi, persone e tanti soldi per fare un lavoro del genere, ma è anche vero che non è scontato che lo si faccia. 

Comunque, venendo alla situazione più generale a Gaza e dintorni, provo a farvi un riassunto degli avvenimenti principali. Il tanto atteso, sbandierato, temuto attacco iraniano contro Israele alla fine non c’è stato, sebbene i rapporti fra i due governi siano rimasti molto tesi.

Nel frattempo l’esercito israeliano ha intensificato le operazioni anche nella Cisgiordania occupata, non solo a Gaza, in particolare a Jenin, con raid che hanno lasciato decine di morti e numerosi arresti. Il 28 agosto, un raid su larga scala ha causato la morte di almeno 36 persone. Le autorità israeliane giustificano l’operazione come parte di una strategia contro Hamas e altri gruppi armati nella regione.

Il conflitto ha continuato a spostarsi anche verso il Libano, con attacchi reciproci tra Israele e Hezbollah. In particolare l’esercito israeliano ha lanciato dei consistenti raid aerei nel sud del Libano il 21 agosto, in risposta al lancio di razzi e droni da parte di Hezbollah. Gli attacchi hanno provocato l’evacuazione di migliaia di civili dalla zona.

Mentre si è un po’ allentata l’operazione militare su Gaza, principalmente per 3 ragioni. 1. Non c’è rimasto granché da bombardare e distruggere; 2. appunto un po’ di forze sono state spostare su altri obiettivi e 3. A Gaza, anche per via delle tremende condizioni sanitarie, è esplosa un’epidemia di Poliomelite, epidemia di cui anche il governo israeliano ha paura perché potrebbe arrivare anche oltre confine. 

E quindi è in corso una campagna di vaccinazione di massa contro la Polio da parte dell’Onu, per la quale sono previste 8 ore di tregua quotidiana. Campagna che però procede un po’ a rilento perché come immaginerete le strutture sanitarie sono distrutte e gli operatori a Gaza scarseggiano perché non è facile trovare persone disposte volontariamente a correre il rischio di venir ammazzate, come è successo ormai parecchie volte.

Poi c’è la situazione dei negoziati, su cui in realtà non ci sono onestamente grandi novità. Tante dichiarazioni d’intenti, tante promesse, tanti ultimatum non rispettati e pochi, davvero pochi fatti. Certo, è vero che le trattative di pace funzionano così, non è che siamo al corrente di tutti i passaggi, avvengono in stanze chiuse e quindi può anche essere che si siano fatti enormi passi in avanti, fatto sta che ci siamo lasciati con le dichiarazioni di Biden che non eravamo mai stati così vicini a un cessate il fuoco, e ci ritroviamo con Biden che afferma, 2-3 giorni fa, che siamo al 90% delle trattative. 

In tutto ciò, ci sono state e ci sono tutt’ora enormi contestazioni interne a Israele contro  Netanyahu e il suo governo. Contestazioni che riguardano soprattutto i civili israeliano ancora ostaggio di Hamas, scatenate anche dal fatto che pochi giorni fa i corpi di sei ostaggi sono stati recuperati dai tunnel di Rafah, e si teme che anche altri ostaggi possano essere stati uccisi nel frattempo. Ma i manifestanti, come riporta il quotidiano Middle East Eye, accusa il premier anche di ostacolare i negoziati per un cessate il fuoco. Proteste che a loro volta sono parte di una più ampia contestazione contro la gestione del conflitto e la sua leadership politica. Ovviamente questo è un riassunto mappazzone delle novità, ma vi lascio tutte le fonti se volete approfondire (molte sono in inglese).

Al volo, sabato si è votato per le elezioni presidenziali in Algeria e ieri sono stati trasmessi i risultati ufficiali. Come ampiamente previsto ha vinto di nuovo il Presidente in carica Abdelmadjid Tebboune (Abdelmagì Tabun), eletto per la prima volta nel 2019. 

Tebboune ha governato il paese con il sostegno dell’esercito e con un approccio sempre più autoritario anno dopo anno. E queste elezioni in realtà erano considerate importante non tanto per vedere chi avrebbe vinto, dato che era scontato che avrebbe vinto il Presidente anche perché solo due candidati, peraltro molto deboli, erano stati accettati fra i 15 che si erano presentati. 

Ma erano importanti per l’affluenza, perché era l’unica cosa che poteva eventualmente consacrare e legittimare il governo di Tebboune. 

Affluenza alle urne che è stata del 48,03%, quindi bassa, anche se maggiore di circa 10 punti rispetto al 2019. L’Algeria viene da anni travagliati con le grandi manifestazioni del 2019 e le tante speranze che avevano animato quelle piazze fino alla caduta del precedente presidente Bouteflika, che aveva governato per un ventennio, che però non si sono concretizzate in un reale miglioramento. Nonostante Tebboune avesse promesso riforme, il suo governo è stato segnato da una crescente repressione contro attivisti e oppositori. E la sua riconferma non può essere certo accolta come un trionfo di democrazia.

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