24 Mar 2014

Apicoltura urbana: allevare api e produrre miele fra i tetti di Torino

Scritto da: Laura Pavesi

Fra i balconi e i tetti di Torino si nasconde qualcosa che non t’aspetteresti mai di trovare in un ambiente […]

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Fra i balconi e i tetti di Torino si nasconde qualcosa che non t’aspetteresti mai di trovare in un ambiente urbano: arnie che producono miele e che vengono costruite per aiutare le api a trasferirsi dalla campagna alla città e salvarle così dalla moria provocata dall’uso intensivo di pesticidi chimici in agricoltura. Produrre miele sui tetti dei palazzi può sembrare paradossale, eppure le “api di città” producono un miele sano e l’apicoltura urbana è ormai una realtà consolidata in metropoli come New York, Londra e Tokyo.

Le città, infatti, rispetto alle zone agricole coltivate a monocoltura o agricoltura intensiva, offrono alle api molte aree nettarifere e pollinifere ricche di piante e fiori che non sono trattati con agenti chimici aggressivi e nocivi: giardini pubblici e privati, aiuole, balconi e terrazze.
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Un interessante esperimento di apicoltura urbana esiste anche in Italia: si chiama UrBees ed è stato ideato da tre ragazzi di Torino, capitanati da Antonio Barletta. I ragazzi di UrBees non installano solo arnie per fare il miele, ma promuovono una forma di “apicoltura urbana partecipata” che ha lo scopo di coinvolgere esperti e cittadini intorno al tema della salvaguardia delle api.

Le api – è sempre bene ricordarlo – svolgono un ruolo essenziale nell’equilibrio degli ecosistemi: un terzo del cibo che mangiamo e fino al 90% delle piante selvatiche, dipendono dal servizio di impollinazione delle api e di altri insetti impollinatori. Inoltre, 71 delle 100 colture più importanti per l’alimentazione umana sono impollinate dalle api e, senza di loro, alcune produzioni quali pomodori, mele, fragole e mandorle, subirebbero un tracollo. E si stima che, a causa del declino progressivo delle api, l’offerta di cibo a livello globale sia destinata a diminuire e i prezzi delle derrate alimentari ad aumentare.

Il progetto UrBees di Torino nasce con l’obiettivo di fermare questa grave moria, aiutando gli sciami di api a “traslocare” dalla campagna alla città e sensibilizzando l’opinione pubblica su questo importante tema. Il termine UrBees è l’abbreviazione delle parole “urban bees” (“api di città”) ma suona anche come “your bees”, “le vostre api” o meglio – come sottolinea Antonio – “le api di tutti”.
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“Le api”, spiega Antonio, “non sopravvivono nelle campagne, sia a causa della monocultura industriale e di coltivazioni intensive, sia a causa dei pesticidi che le uccidono. Le città, invece, stanno assistendo ad un trionfo della biodiversità: nei parchi e sui nostri balconi ci sono molti tipi di piante e fiori ed è questo che cercano le api. Io sono apicoltore da circa otto anni. Avevo le api in Val Chiusella, ma cercavo postazioni più vicine a Torino, dove vivo. All’inizio concentravo le ricerche in zone periferiche, ma poi mi sono detto: perché, invece della periferia, non portiamo le api in città? Ho cominciato ad informarmi ed ho scoperto l’apicoltura urbana e le esperienze di Londra, Parigi, New York, Hong Kong, Tokyo. Ho cercato di capire se ci fossero realtà simili in Italia, ma non ne esistevano e ho deciso di provarci io. Prima di tutto, ho cercato di capire se a Torino ci fossero divieti contro l’apicoltura urbana e ho visto che non c’erano”.

Le prime arnie di UrBees sono apparse a Torino nel 2010 e oggi vengono installate anche nei luoghi più vari ed imprevedibili: dai piccoli balconi privati, dalla copertura della “fabbrica del Bunker (ex-Enel)”, dal tetto della “casa nel Parco” di Via Artom al museo d’arte contemporanea del PAV (Parco d’Arte Vivente). Il miele urbano “made in Torino” non si trova nei negozi, ma solo nelle librerie, nei musei e nei centri sociali e, tra qualche settimana, sarà disponibile anche presso la sede di UrBees, in Piazza Guala. Qui, però, non verrà aperto un tradizionale punto-vendita di miele, cera d’api e propoli, perché – precisa Antonio – “UrBees è un progetto sociale. Sarà un punto di incontro dove i cittadini possono ricevere informazioni sull’apicoltura urbana e, magari, decidere di “adottare” una famiglia di api. Nelle nostre intenzioni c’è anche la funzione ludico-didattica. Le scolaresche potrebbero visitare l’apiario vicino alla scuola, osservarle e appassionarsi alla natura e all’ambiente”.

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Antonio ci tranquillizza sulla bontà del miele e sottolinea che “il miele urbano è buono, sano e sostenibile perché è un prodotto tracciabile e a km zero. Abbiamo analizzato il miele prodotto a Torino misurando la presenza di piombo, nichel, cromo e benzene – cosa che i produttori tradizionali non fanno. Questi metalli pesanti sono presenti in minime tracce, completamente irrilevanti dal punto di vista della commestibilità e della salute. Ma queste tracce sono importanti per fare un monitoraggio della qualità ambientale della città. Le api”, continua, “sono sentinelle, sono bio-indicatori, come muschi e licheni: ci dicono come cambia l’ambiente. Possiamo scoprire come varia la presenza botanica spontanea in città, possiamo creare una mappatura della vegetazione urbana utile anche per chi ha allergie (tra l’altro il miele è anche ipoallergenico), possiamo ripristinare le piante necessarie all’ecosistema. La natura in città dev’essere funzionale, non solo estetica. Per ridurre l’inquinamento non basta evitare di usare l’auto, bisogna anche reintrodurre la natura in città, per esempio attraverso gli orti urbani, i giardini verticali e le api. Le api si conoscono perché pungono, ma sono vegetariane: non pungono (quelle sono le vespe, che sono carnivore). L’ape esce dall’alveare e si dirige subito sul fiore”.

“Chiunque può aderire al progetto UrBees, non bisogna diventare apicoltori”, spiega Antonio. “Per chi intraprende l’avventura non ci sono costi: in cambio avrà i prodotti dell’alveare e ci darà la possibilità di creare una “centralina di monitoraggio. Spesso le api spesso arrivano spontaneamente in città, “scappando” dall’inquinamento della campagna. Sembra un paradosso, ma l’inquinamento cittadino non causa la moria di api, come invece fanno i pesticidi e i fertilizzanti chimici usati nelle campagne. A New York successe proprio questo: si decise di aprire la città alle api per aiutarle a sopravvivere e di investire sulla produzione di miele urbano. Idem a Parigi, dove sono state le istituzioni pubbliche ad incentivare l’apicoltura urbana. In Italia, invece, c’è molto scetticismo, non si riesce a vedere l’innovazione in un mercato che importa il 40% del miele dall’estero: perché dobbiamo importarlo quando possiamo produrlo in Italia?”

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“Nessun regolamento condominiale”, conclude Antonio, “vieta l’installazione di un alveare sul balcone. In Italia, in assenza di una regolamentazione dell’apicoltura urbana, ci si rifà alla Legge nazionale, che dice che le api possono stare ovunque, purché rispettino le distanze di sicurezza. Basta che ci sia una barriera o un dislivello di due metri che separa l’arnia dalla proprietà adiacente e non ci sono problemi. Certo, qualche vicino potrà brontolare, ma bisogna far capire alla gente che avere le api sul balcone accanto è un ottimo indicatore di qualità ambientale. E’ un buon segno: vuol dire che lì si vive bene”.

Laura Pavesi

Per saperne di più leggi:

 

io-faccio-cosi-libro-70810Daniel Tarozzi

Io faccio così
Viaggio in camper alla scoperta dell’Italia che cambia

 

 

 

apiMatthias K. Thun
Apicoltura

 

 

 

apicoAbate Warrè
L’Apicoltura per Tutti – Libro

 

 

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