Arte Migrante: davanti all’espressione artistica siamo tutti uguali
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Padova - Praticare l’inclusione attraverso l’arte. È questa l’idea diffusa dalla rete Arte Migrante, nata nel 2012 a Bologna dall’iniziativa di un giovane studente di antropologia Tommaso Carturan e diffusasi poi in molte altre città d’Italia e non solo: ad oggi conta trentaquattro gruppi sparsi per il mondo.
Nel 2017 si è formato il nucleo padovano, che ha deciso di non formalizzarsi in associazione ritenendo l’informalità il modello più aderente alla sua conformazione e natura. «Tra le caratteristiche che ci contraddistinguono – spiega Stephan, membro di Arte Migrante Padova – c’è la nostra composizione: siamo infatti per la maggior parte studenti, quindi per conformazione tendiamo ad andare e venire, c’è sempre un grande ricambio di persone. Ma ci appartiene anche la prerogativa di di essere itineranti e questo ci ha permesso di fare esperienza concreta del tessuto urbano con estrema libertà».
La principale attività di Arte Migrante è quella di proporre eventi culturali aperti a tutte e tutti. Il gruppo lo fa con una modalità particolare che ne determina anche il potenziale emotivo. Le iniziative si dividono infatti in due momenti: il primo è quello conviviale, in cui ognuno porta qualcosa da mangiare e da condividere con gli altri; in questo modo si rompe il ghiaccio e ci si accoglie a vicenda attraverso il mangiare insieme.
A questo segue una seconda fase, che è anche il fulcro dell’azione, ovvero il cerchio di condivisione in cui si è liberi – se lo si desidera – di condividere una qualsiasi forma espressiva, verbale e non verbale, partendo dal presupposto che lo scopo del cerchio è proprio quella di garantire una libertà d’espressione totale. Nessuno viene giudicato, ma solo ascoltato e viene meno la dicotomia attore-spettatore perché tutti partecipano con le modalità che preferiscono alla costruzione di un’esperienza artistica viva che si muove e respira tra le strade della città.
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Chi prende parte a queste iniziative sono spesso studenti, migranti, richiedenti asilo, e persone senza dimora. «Conosciamo abbastanza bene il quartiere Stazione – prosegue Stephan –, abbiamo organizzato un incontro durante l’estate del 2019 che è stato molto bello e partecipato, l’impatto è stato forte. Ci siamo messi proprio accanto alla stazione, dove c’è un maggiore passaggio di persone ed è stato anche strano perché all’inizio non tutti capivano cosa stesse accadendo, molti si avvicinavano ma non entravano nel cerchio, avevano paura di mettersi in gioco o forse avevano il timore di cambiare idea rispetto a certi stereotipi sui senza dimora e sui migranti che purtroppo a Padova sono abbastanza pervasivi».
L’arte ha già di per sé un forte potenziale comunicativo e usarla come strumento di liberazione e conoscenza può aprire infinite porte. Coinvolgere in questo processo chi vive in condizioni di marginalità estrema può capovolgere una narrazione decostruendo dal basso razzismi e pregiudizi. L’intero quartiere Stazione da questo punto di vista è un enorme scena a cielo aperto tutta da esplorare e da costruire.
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