19 Ott 2021

Persefone di ieri e di oggi… storie di miti moderni

Scritto da: Brunella Bonetti

Dopo aver raccontato sé stessa, BB si rivolge a tutte le donne che hanno una storia di morte e rinascita simile alla sua invitandole a raccontarsi. Sarà questo il filo rosso che legherà le puntate di questa nuova rubrica di vicende di vita reale ispirata al mito di Persefone. Minimo comune denominatore: il potere taumaturgico della scrittura.

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Persefone

Ci fu un tempo in cui sul mondo governavano gli dei e gli eroi. Beati, sul monte Olimpo, decidevano le sorti di tutti gli esseri viventi. Tra loro c’era una fanciulla dal nome Persefone, detta anche Kore, ovvero giovinetta. Persefone era figlia di Demetra, signora del raccolto e delle stagioni, e di Zeus, padre degli dei.

La leggenda narra che la giovane si divertiva con le amiche ad andare nei prati a cogliere i fiori. Un giorno però, mentre Persefone ammirava la straordinaria bellezza di un narciso, comparve su un carro d’oro trainato da cavalle immortali Ade (Plutone), il dio signore degli inferi, fratello di Zeus (Giove) e Posidone (Nettuno). E quando ella protese le mani per raccogliere il meraviglioso fiore, dalla base del narciso si aprì una voragine da cui emerse il re dei morti, che la trascinò via con sé negli inferi. Ade la rapì per farla sua sposa. Una volta negli inferi, a Persefone venne offerto un melograno: ella ne mangiò senza appetito solo sei semi. Ignorava però che chi mangia i frutti degli inferi è costretto a rimanervi per l’eternità.

Intanto Demetra, sua madre, disperata vagò per nove giorni e nove notti alla ricerca della figlia. Al decimo giorno, finalmente, ricevette la rivelazione della verità. In preda al dolore e alla disperazione per aver perso per sempre la sua amatissima figlia, la dea reagì al rapimento, impedì la crescita dei raccolti e scatenò un inverno durissimo che sembrava non avere mai fine. Dovette intervenire Zeus per arrivare a un accordo in base al quale, visto che non aveva mangiato un frutto intero, Persefone sarebbe rimasta nell’oltretomba solo per un numero di mesi equivalente al numero di semi di melagrana da lei inghiottiti, potendo così trascorrere con la madre il resto dell’anno.

Così da quel momento Persefone avrebbe vissuto sei mesi con il marito Ade negli inferi e altri sei mesi con la madre sulla terra. Durante il tempo trascorso nell’Ade, sulla terra si affliggevano il freddo e gli stenti dell’autunno e dell’inverno, mentre con al periodico ritorno di Persefone sulla terra, Demetra faceva rifiorire la natura con la fecondità della primavera e dell’estate.

Demetra infatti era così felice di aver ritrovato sua figlia che dopo mesi di freddo, neve, tempeste, stenti e dolore per la sua perdita, quandò la potè riabbracciare decise di fare un dono agli uomini e regalò loro l’agricoltura. Incaricò il suo mandriano di andare in giro per il mondo a insegnarla agli esseri umani e di donare un albero ciascuno, una pianta da frutto intorno alla quale la terra rifioriva. Ritornarono le stagioni e tutti gli uomini diventavano operativi, seminavano e speravano in un futuro fecondo.

persefone 2

Ieri come oggi…


Questo mito meraviglioso simboleggia il mistero della vita e la bellezza della natura che rifiorisce dopo la stagione invernale nel rigoglio della primavera e dell’estate. È un mito di morte, ma anche di rinascita. Ed è una storia che conosco molto bene. Sapete tutti la mia storia recente, ne siete stati testimoni. Con le preghiere e l’affetto avete contribuito anche voi al miracolo della mia rinascita. Io, come Persefone, ho vissuto sulla mia pelle – anzi, sulla mia testa – cosa significa sprofondare nelle tenebre dell’Inferno e poi, con tenacia e pazienza, con forza e resilienza, rinascere per godere di una nuova primavera. Ancora più fertile e feconda.

Non posso, dunque, non farmi portavoce di speranza. Della speranza che tutto può rinascere dalle proprie ceneri, dalle radici, specie se il terreno è fertile. Soprattutto, ho imparato quanto sia catartico raccontarsi. E quanto sia taumaturgico per sé stessi e per gli altri. La scrittura permette di rielaborare tutto quanto e di viverlo come spettatrice sorridente e soddisfatta di sé. L’arte del raccontare e del raccontarsi è l’àncora a cui ci si aggrappa nel lungo e faticoso viaggio. Medicina dall’inesauribile efficacia terapeutica e dal sapore miracoloso. Tutto passa. Tutto scorre. Arriva la primavera e poi l’estate. Persefone torna sulla terra e la Natura esplode, di nuovo, generosa.

Raccontarsi scrivendo permette di mettere in luce la pluralità del sé e di recuperare dalla memoria conscia e inconscia stati d’animo e figure emotive della propria molteplicità. Ma per me ha rappresentato ben altro: scrivere è stato lo strumento più efficace per curare le ferite aperte dopo l’incidente. Ferite profonde nel corpo e nell’animo. Lesioni che la scrittura ha saputo guarire: medicina efficace, fatta di emozioni e parole.

Raccontare e raccontarsi fa bene. Lo sostengono molti grandi studiosi. Lo narrano i miti di ogni epoca e cultura. Lo scrivono autori prestigiosi e lo provano tante storie di chi, come me, è sopravvissuto al naufragio anche grazie a quest’arte. Perché è proprio attraverso il racconto autobiografico che si riesce a consacrare il ricordo di ciò che è stato rendendo il trauma una risorsa per andare avanti e costruendo le fondamenta di ciò che sarà.

Narrarsi è un diritto dell’esistere e un dovere del testimoniare. Un farmaco potente che permette di dare libero sfogo alle più profonde emozioni e di guardarsi dall’esterno riconoscendo tutti i propri sé. E proprio di ciò voglio farmi testimone: di quanto la scrittura della propria, unica, storia permetta una rinascita senza eguali e una riscoperta sorprendente. Pari solo al risvegliarsi primaverile della natura, assopita e in letargo dopo il gelo e le tempeste invernali.

C’è stupore, quasi incredulità, nell’autobiografia, quando l’idea di essere “una storia” unica e speciale e di avere diritto di narrarla si fa spazio nel sé. In momenti come questo ho compreso il miracolo che avviene attraverso il racconto di sé agli altri: uno straordinario rito di scambio di doni. Io ti offro la mia storia, tu mi regali la tua compassione. Tu mi offri il tuo ascolto e io ti dedico la testimonianza della mia forza.

“Dare dignità alle storie delle persone, significa dar loro la possibilità di comprendere che non si conosce mai il valore di un momento fino a quando questo non diventa memoria. Ed è dalle tracce recuperate dalla memoria, quindi, che si può arrivare a riconoscere il valore della propria storia”, scrive Roberto Scanarotti.

macchina da scrivere prima volta

E allora, raccontatevi!

Raccontarmi è diventato a tal punto un aspetto fondamentale del mio essere da aver permesso di dare sfogo a tutte le mie paure più inconsce permettendomi di plasmarle in forma autobiografica e taumaturgica. E ciò è ancora più vero nella mia storia recente di morte e rinascita: un racconto che si manifesta, oggi, a capitolo chiuso, come una sorprendente favola scritta con la penna della tenacia e l’inchiostro della memoria. Una memoria che si fa testimonianza di quanto la scrittura possa essere terapeutica per un sé alla berlina, ferito nel corpo e nell’animo.

Perciò, se anche voi avete vissuto un momento di arresto forzato e di eroica ripresa, è arrivato il momento di raccontarvi. Avreste voglia di condividere la vostra storia? Avreste voglia di dialogare con BB? Lo sapete che raccontare storie è un atto catartico e taumaturgico?

Se anche voi siete donne resilienti, ribelli e resistenti, scrivetemi la vostra storia… sarà un filo in più nella rete delle Storie di BB, un altro dei moderni miti di morte e rinascita. Una, tante, tutte Storie resilienti per testimoniare l’importanza e il valore del raccontare e del raccontarsi : un miracolo pari solo al risvegliarsi della natura dopo il gelo e le piogge invernali.

Se vuoi raccontarti e segnalare la tua storia, se hai una proposta, un’idea o se vuoi saperne di più scrivi a: brunella.bonetti@gmail.com.

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