6 Mag 2022

Alla radice delle cause scientifiche di Vaia, la tempesta che ha devastato il nord-est d’Italia

Ci sono delle correlazioni fra la tempesta Vaia del 2018 e i cambiamenti climatici? È possibile analizzare scientificamente eventi climatici estremi come questo? Sono le domande che si sono poste i ragazzi e le ragazze di The Climate Route, che hanno visitato i luoghi colpiti da Vaia. Camilla Tuccillo e Stefano Cisternino ci raccontano gli esiti di questa indagine.

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Trento, Trentino Alto Adige - Vaia. Da quasi quattro anni ormai, per gli abitanti delle Alpi centro-orientali questo nome è diventato un monito. Il ricordo della tempesta Vaia, una catastrofe che si è abbattuta sui boschi di questa zona d’Italia alla fine dell’ottobre 2018, porta il significato della responsabilità. È stata colpa nostra? O meglio: è stata colpa del cambiamento climatico di cui l’uomo è responsabile? Il team dell’associazione The Climate Route ha scoperto che la risposta a questo interrogativo non è per nulla scontata.

SPEDIZIONE SULLE TRACCE DI VAIA

Nell’estate del 2021, The Climate Route APS si è recata in Trentino Alto-Adige, uno dei luoghi più colpiti dalla tempesta, per comprendere più a fondo cos’è stata Vaia in termini di cause, danni e anche nuove possibilità. Per investigarne le cause scientifiche ha ascoltato il parere di diversi studiosi, tra cui Lorenzo Giannini, ricercatore dell’Università di Trento. «Si è trattato di evento estremo per il nostro territorio – inizia a spiegare Giannini – sia come precipitazioni cumulate sui tre giorni dell’evento che come intensità del vento».

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Tra il 28 e il 30 ottobre infatti, sulle aree montane del Veneto e del Trentino, si sono rovesciati fino a 715,8 mm di pioggia – secondo i dati raccolti nella stazione di rilevamento a Soffranco, Longarone – e le raffiche di scirocco hanno superato i 200 km/h in alcune stazioni in quota.

Con oltre 42.000 ettari di bosco colpiti, la tempesta Vaia in poche ore ha fatto cadere a terra circa il quintuplo del legname che normalmente viene tagliato ogni anno nell’area colpita – si legge sul report redatto da varie istituzioni e associazioni forestali tra cui la Compagnia delle Foreste, la Società Italiana di Selvicoltura ed Ecologia Forestale e l’Ente Regionale per i Servizi all’Agricoltura e alle Foreste.

PERCHÈ È ARRIVATA VAIA?

Le cause specifiche della tempesta Vaia sono abbastanza chiare a chi occupa di foreste: «L’evento è stato causato da una saccatura, cioè un’incursione di aria fredda che dall’Oceano Atlantico è arrivata in Europa Occidentale», spiega Giannini, che continua: «Questo ha causato la formazione di una profonda zona di bassa pressione sul Tirreno, che poi si è spostata verso Nord. Forti differenze di pressione hanno causato i venti che sono stati registrati».

Nonostante la conoscenza approfondita del fenomeno dal punto di vista fisico e meteorologico, spiegarne le cause a monte rimane una questione aperta: cosa lega un singolo evento come Vaia ai mutamenti ambientali in corso? «È difficile dire che questa tempesta è stata causata dai cambiamenti climatici – confessa il giovane ricercatore – e lo è ancora di più dire cosa sarebbe successo se il clima fosse stato diverso».

Una cosa però è certa: i cosiddetti eventi estremi si verificano sempre più spesso. E si tratta di cambiamenti molto rapidi: secondo il Sesto Rapporto di Valutazione dell’IPCC, redatto proprio negli scorsi mesi, la loro frequenza è aumentata anche solo rispetto al 2014, anno in cui era stato pubblicato Quinto Rapporto.

CLIMA E SISTEMI COMPLESSI

Per approfondire la complessità dell’argomento, i volontari e le volontarie di The Climate Route si sono recati al MUSE, Museo delle Scienze di Trento, e hanno incontrato il glaciologo Christian Casarotto, che da anni studia proprio i mutamenti in atto sul ghiacciaio della Marmolada, punto di partenza della prossima spedizione dell’associazione.

Siamo parte del sistema Terra, della natura e del suo corso e in quanto tali dovremmo (re)imparare ad agire e soprattutto a pensare

«Il cambiamento climatico è un sistema molto complesso, dove mille variabili interagiscono tra di loro in mille modi diversi e di conseguenza la sua descrizione matematica non è facile», spiega mentre alle sue spalle è proiettata un’immagine del “suo” ghiacciaio.

Nonostante incertezza ed errori siano sempre da tenere in considerazione, «tutti i modelli descrivono lo stesso futuro: prevedono un innalzamento delle temperature entro il 2100 […] e che il Trentino entro il 2070 avrà pochissimi ghiacciai». Temperatura e stato dei ghiacciai sono due fattori intimamente correlati, e spesso non è possibile stabilire una differenza effettiva tra causa e conseguenze.

GHIACCIO E TEMPERATURA

Lo scioglimento dei ghiacciai è una delle prove più visibili e tristi della crisi climatica in atto: secondo l’ultimo rapporto dell’IPCC infatti, la riduzione del ghiaccio artico registrato nel decennio 2011-2020 non ha eguali negli ultimi 2000 anni. Come però sottolinea spesso Casarotto, i ghiacciai stessi sono una componente fondamentale per la regolazione globale del clima.

La spiegazione è da ricercare in un fenomeno noto come effetto albedo, termine che descrive il potere riflettente di una superficie: l’albedo massima è 1, quando tutta la luce incidente viene riflessa; l’albedo minima è 0, quando nessuna frazione della luce viene riflessa. In termini di luce visibile, il primo caso è quello di un oggetto perfettamente bianco, l’altro di un oggetto perfettamente nero. Valori intermedi significano situazioni intermedie.

Quello della neve e del ghiaccio è molto alto, compreso tra lo 0,7 e lo 0,9: «I raggi del sole colpiscono la superficie chiara e in gran parte vengono riflessi; senza le superfici chiare il terreno assorbirebbe più calore». Nella pratica: se un’area coperta di ghiaccio si riscalda il ghiaccio si fonde e l’albedo si abbassa e questo porta a una fusione ancora maggiore.

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ESSERE ESSERI RESPONSABILI

Il ghiacciaio della Marmolada, la cui superficie a partire dal 1980 si riduce con un tasso annuo medio del 2% – rispetto allo 0,3% del periodo 1850-1980 –, rischia di scomparire a causa del cambiamento climatico. La sua superficie si è ridotta del 75% in 130 anni: passando da circa 500 ettari nel 1888 a soli 123 nel 2018.

È colpa nostra? Come insegna Vaia, è difficile – se non impossibile – puntare il dito contro una causa certa. Di fronte a situazioni così complesse però, è altrettanto irresponsabile lavarsene le mani. Siamo parte del sistema Terra, della natura e del suo corso e in quanto tali dovremmo (re)imparare ad agire e soprattutto a pensare.

Perché, come suggeriscono le ultime parole di Christian Casarotto, «quello che facciamo oggi si trasferisce alle generazioni che verranno. Se non altre [n.d.A.], la nostra responsabilità deve essere questa».

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