1 Mar 2024

A Jenin sotto le bombe la voglia di normalità dei giovani palestinesi

L'invasione di Gaza da parte del governo israeliano ha sconfinato anche in Cisgiordania, dove il pretesto della "guerra contro Hamas" non trova riscontro. Abbiamo sentito Yousef Awad, fondatore di un'associazione culturale che opera a Jenin, nel nord della Cisgiordania, per farci raccontare la situazione in quei territori, dove ci si batte quotidianamente per riconquistare una parvenza di normalità. Le armi di questa lotta? Arte, cultura e solidarietà.

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Non solo Gaza, anche Jenin. La ONG Action Aid si dice “profondamente preoccupata per l’escalation della situazione in Cisgiordania, dove gli episodi di violenza sono aumentati e la vita quotidiana sta diventando sempre più invivibile per i palestinesi, poiché la loro libertà di movimento è limitata. Le incursioni delle forze israeliane hanno luogo in tutto il territorio su base quasi quotidiana”. L’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari riporta dati allarmanti: più di 500 episodi di violenza che hanno provocato 400 morti e 4500 feriti fra i palestinesi in quest’area.

Personalmente non posso che confermare le drammatiche notizie che arrivano dalla Cisgiordania, dove sono stato per circa un mese qualche anno fa per partecipare a un progetto di volontariato a Jenin. Un’esperienza tanto gioiosa quanto inquietante, che mi ha permesso di calarmi personalmente negli anfratti di un conflitto che ha radici ben più profonde di quelle degli ulivi secolari che ornano queste terre e che è di difficile, difficilissima, risoluzione.

jenin
Yousef (di spalle) durante un incontro con alcune donne di Jenin

In quell’occasione – era la primavera del 2015 – conobbi Yousef, fondatore e anima dell’associazione Jenin Creative Cultural Centre, che da anni e con pochi mezzi a disposizione svolge un’intensa attività di animazione culturale, educazione e formazione rivolta in particolare ai giovani e ai bambini della città. Leggendo alcune recenti e inquietanti notizie provenienti proprio da Jenin – come l’incursione nell’ospedale di alcuni militari dell’IDF travestiti da medici che ha provocato tre morti e il bombardamento con droni che ha ucciso altre tre persone venerdì 23 febbraio – ho deciso di sentire Yousef per farmi raccontare la situazione.

«Quello che sta accadendo in questo momento rappresenta una seria minaccia all’esistenza stessa del popolo palestinese», mi ha detto. «Adesso non possiamo viaggiare liberamente da e per Nablus o Ramallah, distanti solo poche decine di chilometri, e persino nel centro di Jenin si susseguono attacchi armati di giorno e di notte. La vita quotidiana è impossibile, non si può neanche andare a lavorare. Nessun posto è sicuro».

Jenin è peculiare anche per la voglia di rivalsa, la disperata ricerca di un futuro oltre il conflitto permanente, in particolar modo attraverso arte e cultura

Va ricordato che quella che viene pretestuosamente chiamata “guerra fra Israele e Hamas” non dovrebbe riguardare la zona della Cisgiordania, dove il governo è in mano a Fatah – che pure sta perdendo molti consensi negli ultimi tempi – e Hamas non è rappresentata e non gode di simpatie diffuse o almeno non ne godeva fino a pochi mesi fa, contrariamente al territorio di Gaza dove è ben radicata.

Jenin tuttavia è sempre stato un luogo particolare: decentrata rispetto ai circuiti tradizionali del turismo sacro – nonostante ospiti la terza chiesa più antica della cristianità, quella di Burqin –, una parte non trascurabile dell’area di questa città situata nel nord della Cisgiordania è costituita da uno dei più grandi campi profughi del Medio Oriente. Nato nel 1948, oggi è parte integrante del tessuto urbano e ospita più di 15000 abitanti.

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Ma Jenin è peculiare anche per la voglia di rivalsa, la disperata ricerca di un futuro oltre il conflitto permanente, in particolar modo attraverso arte e cultura. «In questi giorni stiamo facendo del nostro meglio per aiutare la nostra gente», racconta Yousef confermando questo spirito resistente. «Abbiamo organizzato una serie di attività per bambini e donne finalizzate a fornire loro supporto sociale e psicologico».

Un presidio sociale e di resistenza culturale fondamentale a Jenin era il Freedom Theatre, un teatro che ospitava artisti da tutto il mondo e si era erto a epicentro dell’arte per la pace e la libertà, trattando tematiche anche innovative in quel contesto come femminismo e crisi climatica. Parlo al passato perché lo scorso 13 dicembre il teatro è stato distrutto dall’esercito israeliano, le attrezzature rubate o rese inservibili e il produttore artistico Mustafa Sheta arrestato.

In casi come questi la diffusione delle informazioni è un’azione fondamentale. «Abbiamo organizzato diverse interviste con giornalisti internazionali – spiega ancora Youssef – per parlare della situazione nell’area di Jenin. Stiamo anche progettando di lanciare una scuola di giornalismo rivolta ai giovani che frequentano la nostra università». Proprio per supportare gli studenti universitari, il Creative Cultural Centre ha lanciato una raccolta fondi, poiché «il governo isrealiano ha attuato un blocco dei tributi e dei salari e non riusciamo più a pagare le lezioni», conclude.

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