9 Apr 2024

Rete dei Santuari di Animali Liberi: un altro modo di relazionarci con loro è possibile

Scritto da: Daniel Tarozzi

Prendersi cura di tante vite di esseri non umani in pericolo e comunicare agli esseri umani che si può e si deve relazionarsi in maniera differente, più etica e rispettosa, con il mondo animale. Sono questi i due principali obiettivi della Rete dei Santuari di Animali Liberi italiana, che oggi conta 24 strutture in tutto il paese. Ne abbiamo parlato con la coordinatrice Sara D'Angelo.

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Dodici anni fa, durante il mio primo viaggio in camper nell’Italia che Cambia, feci tappa a Vallevegan e fui sorpreso ed emozionato nello scoprire un vero e proprio rifugio per animali salvati dalla morte o dalla sofferenza. Animali di tutti i tipi: maiali, galline, galli, pecore. «Se non son brutti non li vogliamo», mi disse nell’epica video-intervista Pietro Liberati – un cognome un programma. In quel momento storico i rifugi – oggi diremmo i santuari per animali – per gli animali erano un fenomeno quasi del tutto assente in Italia, se si escludono esperienze legate a cani e gatti.

Negli ultimi anni invece, con l’aumento della consapevolezza nelle persone e la voglia di sempre più individui di fare qualcosa di concreto per gli animali non umani, i santuari si sono moltiplicati ed è nata anche una rete che li mette insieme e li spinge a collaborare: la Rete dei Santuari di Animali Liberi in Italia. Ne ho parlato con la coordinatrice della rete, Sara D’Angelo che – oltre a svolgere questo ruolo – rappresenta l’associazione Vita da Cani nonché il santuario Porcikomodi, uno dei pochi già esistente ai tempi del mio incontro con Vallevegan.

santuari per animali5
Sara D’Angelo
I SANTUARI PER ANIMALI LIBERI

Oggi la rete dei santuari, il cui percorso comincia tra il 2010 e il 2014, comprende 24 luoghi/progetti. I santuari per animali in Italia sono di più, ma questi 24 sono gli aderenti. Sara ci tiene a precisare che non è un “marchio di esclusività”. Vallevegan, ad esempio, è un ottimo progetto ma per una serie di motivi ha scelto di non aderire alla rete, così come qualche altro progetto qua e là, ma il grosso di quelli oggi attivi in Italia è ricompreso in questa rete e lavora per costruire insieme relazioni, massa critica, divulgazione.

«Quando iniziammo – racconta Sara – non si parlava di rifugi o santuari per animali. Per noi le difficoltà erano molte. Oltre a quelle pratiche e di comunicazione, ci mancava anche un “contenitore” normato a livello legislativo. Fino a poco tempo fa, eravamo considerati dallo Stato italiano come allevatori con tutto ciò che comporta a livello legislativo e normativo. La rete nacque quindi anche per affermare la nostra identità giuridica e per confrontarci su temi per noi fondamentali».

Il nome “santuario” fu scelto per avere un forte riferimento verso le realtà internazionali, in particolare anglosassoni, che si definivano in questo modo: «Da qui santuari e non rifugi, anche sé questo nome in Italia a volte ci ha creato problemi considerando che di solito è un termine con implicazioni religiose. Ma se ci pensi, i nostri sono davvero santuari laici: luoghi in cui ogni singola vita è sacra», fa notare Sara.

Santuari per animali
Santuari Porcikomodi

Il punto fondamentale era distinguersi a livello legislativo dagli allevamenti, dalle fattorie didattiche e anche dagli accumulatori compulsivi di animali. «È stato un lungo percorso, durato oltre dieci anni, con un primo riconoscimento ufficiale tra il 2022 e il marzo 2023, quando i nostri progetti vengono indicati in un decreto ministeriale come “rifugi permanenti”», ricorda Sara. Addirittura, nel decreto comprare la parola santuario! Qualcosa che sembrava impossibile.

Nonostante quel riconoscimento sia pieno di limiti, come visto a settembre con l’episodio drammatico di Cuori Liberi, riteniamo che sia importantissimo perché sancisce per la prima volta che questi animali – residenti nei santuari – non sono destinabili all’alimentazione umana. Questo è un elemento rivoluzionario. Gli ospiti dei santuari per animali non sono più commestibili o trasformabili in un prodotto! Diventano quindi “non DPA”, non destinabili alla produzione di alimenti per consumo umano». La base per questo riconoscimento giuridico era il doppio riconoscimento di cui già godevano gli equini – cavalli, asini –, che in base al contesto possono risultare DPA o non DPA.

Nella nostra rete gli obiettivi sono due: prenderci cura e salvare concretamente delle vite e comunicare un altro modo di relazionarci con gli animali

I VALORI ALLA BASE DELLA RETE

Nove articoli normano la “carta dei valori” dei santuari aderenti alla rete. Gli enti che li gestiscono non devono essere a fini di lucro, gli animali non vanno acquistati, vanno sterilizzati e non possono essere fatti riprodurre oltre che uccisi e macellati ovviamente. «In generale – chiarisce Sara – gli animali non devono essere “usati” e le esigenze “specie-specifiche” devono essere soddisfatte».

Oltre a salvare gli animali, bisogna accogliere – gratuitamente – visitatori e sensibilizzare sul tema del vero benessere degli animali. Inoltre, molto spazio è dato all’approccio e alla comunicazione non violenta. Tra le altre cose si legge che “non sono minimamente accettati atteggiamenti discriminatori di qualsiasi genere verso le altre persone umane, né atteggiamenti violenti”. In sintesi, conclude Sara, «cerchiamo di essere orizzontali e non gerarchici, antispecisti».

Santuari per animali
Santuari Porcikomodi

I santuari per animali, oltre che dagli allevamenti, si distinguono anche dalle fattorie didattiche: «Alcune fanno un buon lavoro, rispettando davvero gli animali, altre meno, ma tutte sono secondo noi – in qualche modo – una mistificazione e una falange del capitalismo: da un lato invitano i bambini a visitare gli “animaletti”, ma dall’altra gli raccontano bugie, costruiscono una narrazione basata sull’inganno, non svelano cosa si nasconde dietro l’industria produttiva. Se non scardiniamo la visione degli animali visti come “strumento di produzione”, come merce, non cambieremo le cose. Ecco perché nella nostra rete gli obiettivi sono due: prenderci cura e salvare concretamente delle vite e comunicare un altro modo di relazionarci con gli animali».

SALVARE GLI ANIMALI DENTRO E FUORI I SANTUARI

È interessante infatti sottolineare che – riprendendo le parole di Sara – «i santuari salvano qualche centinaio di animali ma migliaia, milioni, sono là fuori. E allora, per noi è fondamentale non solo salvare i singoli animali ma anche e con altrettanta forza, fare divulgazione, sensibilizzazione, promozione del nostro lavoro».

L’approccio è non giudicante e non violento. Mi colpisce nella bella intervista che ho il piacere di condurre con Sara, come «in base a chi viene a trovare moduliamo la comunicazione. Non vogliamo sconvolgere, angosciare, ma sensibilizzare. Cerchiamo di raccontare attraverso la gentilezza e la parte “bella”. Evitiamo di dire cose truculente. Molto spesso la delicatezza viene apprezzata dai visitatori e noi siamo convinti che chi passa da qui, quando torna a casa inizia un percorso diverso, trasformativo, che magari non porta dove vogliamo noi, ma è comunque un processo in atto. Non dico che non possa essere utile anche una comunicazione più dura, incentrata sul dolore, ma noi abbiamo scelto un’altra via».

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Chewbecca del Rifugio Hope

Tra i loro visitatori spesso troviamo i bambini, particolarmente sensibili al mondo animale. «Anche e soprattutto in questo caso, vogliamo raccontare la verità ma senza traumatizzare i bambini. Quando un animale “libero” va incontro a un bambino, gli raccontiamo la sua storia di libertà e attraverso di essa tutto ciò che c’è dietro. Facciamo sperimentare un grande livello di empatia ai nostri visitatori. In questo modo si abbattono tantissimi pregiudizi con cui la persona è arrivata – come che il maiale puzza, mentre invece è profumato. Cerchiamo di far mettere i ragazzi nella testa, nella pancia e nei piedi di quel singolo animale in modo che si immedesimino».

Sara mi spiega anche che gli animali che interagiscono con i bambini o più in generale con i visitatori non sono “obbligati” a farlo. «Ci sono animali più socievoli e sociali per questi incontri, ma può capitare che anche loro non abbiano voglia di relazioni. E magari a volte vieni a fare una visita in un santuario per animali ed essi non ti considerano. Per noi fa parte del gioco, e in quel caso spieghiamo ai visitatori che può succedere ed è un modo per sensibilizzare sui bisogni degli animali in questione».

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