Maestri di strada per la “scuola di tutti”. Costruire
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Tre settimane sono volate e ciò che ho vissuto anche solo in questi giorni è qualcosa che mi ci vorrà molto tempo per poter comprendere fino in fondo. La voglia di narrare è tanta e ogni giorno appunto un’immagine indelebile che mi servirà in un futuro per raccontare questa incredibile esperienza di vita. Tutta l’intensità che stiamo vivendo ha bisogno di una pausa di riflessione e quale migliore luogo per riposarsi durante una camminata se non una panchina?
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Uno dei nostri ragazzi vorrebbe fare il muratore e abbiamo colto l’occasione per realizzare un’opera all’interno della scuola. Grazie al maestro Pietro che ha messo a disposizione il suo talento manuale e il dono meraviglioso della sua pace interiore eccoci intenti nella costruzione con calce e mattoni di una panchina. Solo un valutatore distratto e approssimativo rimarrebbe stupefatto nel vedere ragazzi che in matematica erano prossimi allo zero, riescano a fare a mente un preventivo di diversi materiali “sbagliando” di pochissimo. Abbiamo disegnato, preso misure, fatto calcoli, disegnato piantine esercitando matematica, geometria, disegno.
Scaricando la merce abbiamo fatto educazione motoria: quando si prende un oggetto pesante si piegano le ginocchia! Con gli strumenti di lavoro abbiamo dato cenni di storia e potremmo continuare ancora a lungo ponendo l’accento sugli aspetti legati all’autostima e al lavoro sul gruppo… Ma vi assicuro che una delle scene più belle è stata quando i piccoli si sono avvicinati con sentimento di venerazione per quello che i grandi stavano facendo: vedere quei ragazzi riempirsi d’orgoglio e riuscire a trattenere qualche parola di troppo davanti ai bambini è stato emozionante.
I ragazzi tengono un diario e dopo il secondo giorno di lavoro quando la panchina stava prendendo forma, abbiamo fatto il nostro esercizio poetico. I nostri esercizi consistono nel trovare insieme delle parole da associare al nostro punto di partenza e poi da lì individualmente ognuno scrive qualcosa.
“In Autuno cadono le fogli ma noi dalla panchina non cadremo mai”
“Poro Barbone non cia na casa ed e costretto a dormire sulle panchine”
Alla fine, prima di uscire a camminare tra le strade del quartiere ho letto quello che qualcun altro prima di loro aveva scritto. Qualcuno ha detto “bello!”, altri “è matta come na zucchina”, ma le parole attraversando un inaspettato e profondo silenzio, si sono sedute sui cuori di chi aspettava solo qualcuno che credesse che i loro pensieri e le loro emozioni fossero non soggette a giudizio ma degne di essere condivise a prescindere.
“Le panchine non assorbono il sudore di nessuno, su di esse non si dovrebbe mai andare a morire. Eppure il mio ultimo amore è morto là, trascurato da tutti. Su di lui si è riversato l’odio dell’uomo. Il mio amore è morto solo.
L’uomo è un orrendo composto di appetiti malsani e di egoismi sdruciti, ciò che Spagnoletti definiva la considerazione del privato. La carità fatta a Titano non era soltanto per lui, perchè in lui è nella sua povertà cadeva la mano divina . Questa non l’ha capita nessuno. Baciare un povero significa baciare Dio, lo diceva anche padre Davide.
Ma Dio è presente anche nel ricco, anche la richezza è un dono divino e allora perchè gli uomini bestemmiano uno contro l’altro? La panchina è un pezzo di legno e in una panchina può inaspettatamente trasformarsi l’eterno Pinocchio che vi dorme sopa. Pinocchio non avrà mai una carne, nè un diavolo in corpo perchè non ha una casa e per questo non potrà essere considerato un civile. Ma nessuno pensa che la vera casa dell’ uomo è il mondo”.
Alda Merini
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