30 Dic 2015

Cannabis terapeutica: intervista al dott. Bertolotto

Scritto da: Veronica Tarozzi

Il Dott. Marco Bertolotto racconta la sua esperienza con la canapa ed il suo progetto, all'avanguardia in Italia e nel mondo, per la formazione di medici e farmacisti sull'uso della cannabis a scopo terapeutico.

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Nella nostra rubrica Voci dall’Italia che Cambia non potevamo non dedicare uno spazio di riguardo ad una pianta dalle innumerevoli virtù, il cui nome però appare ancora strettamente legato ad una serie di pregiudizi, spesso indotti da un’informazione faziosa, se non del tutto carente. Ma l’Italia, così come ogni altro paese, cambia ed evolve anche grazie alla caduta dei tabù.

 

Lo scorso luglio vi avevamo informati  sulla proposta di legge per la legalizzazione e regolamentazione della cannabis che il 1º ottobre è stata formalmente calendarizzata dalla camera dei deputati: a breve ne conosceremo e diffonderemo gli esiti.
Oggi vi proponiamo l’intervista ad un medico del tutto fuori dall’ordinario: il Dott. Marco Bertolotto, direttore del Centro di Terapia del Dolore e Cure Palliative dell’Ospedale Santa Corona di Albenga e Pietra Ligure (SV) e co-fondatore insieme all’Ing. Lorenzo Cittera, al Dott. Alessandro Pastorino e al Dott. Giacomo Negro dell’associazione Medical Cannabis.

 

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Il Dott. Marco Bertolotto, direttore del Centro di Terapia del Dolore e Cure Palliative dell’Ospedale Santa Corona di Albenga e Pietra Ligure (SV)


 

Dott. Bertolotto, come e perché ha cominciato a somministrare la cannabis ai suoi pazienti?

Ho cominciato circa 5 anni fa con la somministrazione della cannabis sotto forma di THC sintetico, sostanzialmente perché ero insoddisfatto di molti dei farmaci comunemente prescritti per il dolore neuropatico e quello benigno. Quindi dopo un’attenta analisi della letteratura disponibile sul tema, ho scoperto quest’opportunità ed ho cominciato a somministrare cannabis ai miei pazienti. Con il THC sintetico però, ho avuto da subito molti problemi: a partire dall’approvvigionamento che era estremamente complesso, per poi seguire con problemi anche da parte dei pazienti, poiché gli effetti collaterali psicotropi erano notevoli ed i pazienti non riuscivano a superarli. Nonostante avessero dei buoni risultati a livello terapeutico, questi effetti collaterali li costringevano a sospendere la terapia.

 

Da un anno a questa parte invece ho cominciato a somministrare direttamente l’infiorescenza della cannabis, sottoforma di tisana o infuso, ed è cambiato tutto! Oltre al THC nella pianta è infatti presente un’intera e complessa sinergia di componenti che la rendono unica nel suo genere. Ora poi è più facile ottenerla anche da parte delle farmacie, che hanno un ruolo fondamentale nella somministrazione di questo prodotto. Sono poi proprio i pazienti ad esserne maggiormente soddisfatti. Il paziente, assumendo questo prodotto, deve imparare a capire profondamente il proprio corpo.

 

Quando si assume la cannabis a scopo terapeutico è un’esperienza radicalmente diversa da assumere un farmaco: il paziente deve imparare ad ascoltare il proprio corpo ed i messaggi che esso gli invia quando assume questo prodotto. Gli effetti su corpo e mente sono talmente tanti, che ci rendiamo conto che la cannabis esige un diverso rapporto medico-paziente e fra paziente e questo “pseudo-farmaco”. Questa pianta impone ai medici di cambiare il proprio approccio, utilizzando una visione più olistica e personalizzando la terapia sulla base dei risultati e delle esigenze del paziente.

 

Quali sono esattamente le malattie per le quali somministra la cannabis terapeutica e come mai proprio in Liguria?

Lavorando al Centro di Terapia del Dolore e Cure Palliative della Asl n°2 della provincia di Savona e dirigendo il dipartimento di riabilitazione, ho a che fare con pazienti con dolore, sia cronico benigno che di origine tumorale ed ogni tipo di dolore infiammatorio e reumatico, ma anche persone che soffrono di spasmo muscolare, lesione midollare, malattie neurodegenerative. Ad oggi con la cannabis abbiamo in cura 73 pazienti con ottimi risultati. Il perché mi trovo ad operare in Liguria è grazie al fatto che la Regione Liguria alcuni anni fa ha promulgato una legge che favorisce l’utilizzo della cannabis terapeutica, in modo molto avanzato e coordinato e la prescrive a carico del Servizio Sanitario Regionale e non del paziente. Altre regioni che si sono aperte in tal senso sono la Toscana, la Puglia, il Piemonte, la Lombardia, così come il Veneto (ma solo per un tipo di patologia) e la Sicilia (ma quest’ultima Regione lo fa a carico del paziente).

 

Il nostro problema rimane il fatto che i costi sono molto elevati (i più elevati d’Europa), quindi bisogna occuparsi seriamente ed adeguatamente della faccenda. Lo Stato Italiano è sicuramente quello più avanzato in questo momento, questo va detto. Seppur con tanti vincoli, perlomeno c’è una legge che dice che ci si può curare con la cannabis. E non solo: lo Stato Italiano stesso produce cannabis ed è il secondo produttore europeo, dopo un’azienda Olandese e questo mi pare un passo enorme.

 

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Ci sono pregiudizi della classe medica nei confronti di questa pianta e del suo uso a scopo terapeutico e/o rigidità da parte dell’industria farmaceutica?

I pregiudizi secondo me nascono dalla mancata conoscenza. Come sempre del resto. Il pregiudizio viene prima del giudizio (informato): non si conosce, ma si presume di sapere già tutto a riguardo. Noi medici abbiamo un po’ questo problema, abbiamo il mito del super-uomo. In questo caso però, oltre ad essere un limite, il pregiudizio costituisce anche un enorme problema, poiché pregiudica letteralmente la possibilità di un paziente di curarsi, o addirittura implica che questa persona si curi nel modo sbagliato. Quindi la prima cosa che va fatta è superare questo ostacolo: il paziente non può prescindere dal supporto medico.

 

In questi giorni mi arrivano telefonate da tutta Italia, da parte di persone che mi chiedono di essere prese in cura. In questo campo, spesso i pazienti sono più informati dei medici stessi, ma si tratta solo di un’informazione sommaria e superficiale, se non si hanno le competenze adeguate per filtrarla. Come spesso accade, le persone che stanno male ricercano possibili soluzioni per i loro problemi su internet. Bisogna evitare il più possibile che il paziente vada a trovare soluzioni senza avere qualcuno che lo segua e lo guidi (1) oggi nessuno se lo prende in carico.

 

Il medico è molto restio, poiché anche dopo aver superato il pregiudizio legato alla cannabis, deve cambiare il suo modo di lavorare, deve dare spazio alla formazione. La cosa richiede tempo e sicuramente oggi la classe medica non è pronta per questo. Il medico però deve tornare a prendersi in carico il paziente, con la cannabis bisogna farlo. Dobbiamo evitare che succeda ciò che gli americani chiamano la “cannabis cowboy”, dove il paziente trova di tutto su internet e gli viene proposta qualsiasi tipo di cura poiché dietro c’è la possibilità di ricavare grandi guadagni e la parte medica è del tutto assente. In Italia, per evitare questo, dovremo lavorare tantissimo sui medici e sui pazienti.

 

Un altro storico nemico della cannabis è l’industria farmaceutica, ma la natura, come spesso accade ci viene in aiuto: sarà difficile che le farmaceutiche riescano a sintetizzare in un solo farmaco tutte le componenti della pianta. Sono più di 500 e sintetizzarle tutte in un unico prodotto farmaceutico suppongo sia impossibile. Ciò che può essere sintetizzabile è il singolo principio attivo e questo avrà un effetto molto limitato rispetto a tutto l’insieme di principi attivi contenuti nell’intera pianta. Del resto ci hanno già provato a fare dei prodotti a base di cannabis con THC e/o CBD, come ad esempio il Sativex®, che viene utilizzato per alcune patologie. I pazienti però riferiscono di stare veramente meglio, solo dopo aver utilizzato la cannabis vera e propria.

 

Perché c’è quest’effetto multiplo: ci sono i terpeni, i flavonoidi, i cannabinoidi e tanti altri principi attivi che insieme interagiscono e lavorano sul nostro organismo e quindi è un effetto completamente diverso da quello che si ottiene con un semplice farmaco. Il Bedrocan® (come potrete vedere dal sito  stesso è in realtà l’infiorescenza stessa della cannabis) invece ha già dei livelli di qualità elevati, per questo l’azienda Olandese che lo produce sta chiedendo la certificazione della GMP (Good Manufactoring Practice) che è quella per le case farmaceutiche; quindi una volta ottenuta, si potrà dire che quest’erba è un “farmaco” e si potranno superare tante barriere. Di conseguenza anche in Italia potrà costare molto meno di quanto costa oggi.

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Ci parli del corso di formazione che ha appena terminato in Olanda e quali sono le altre terapie (a parte quelle del dolore) in cui la cannabis risulta di grande aiuto e in cui secondo lei la ricerca dovrebbe investire maggiormente?

Il 17 dicembre (u.s.) siamo andati in Olanda con un’équipe, formata dalla nostra associazione, di 11 medici e farmacisti, perché lì fabbricano appunto il Bedrocan, che è l’unico prodotto terapeutico autorizzato in questo momento in Europa da parte del Ministero della Sanità Olandese, con 15 anni di ricerche sulla cannabis terapeutica alle spalle.
Abbiamo fatto 3 giorni intensivi di master class in 2 aree distinte: una formazione a Leiden, con docenti univesitari di farmacologia e biochimica e poi a Veendam, dove c’è la sede dell’azienda Bedrocan. Lì abbiamo fatto approfondimenti con i ricercatori della Bedrocan circa la coltivazione e le linee guida per ottenere un prodotto di qualità. È stata una 3 giorni molto intensa e proficua, visto che abbiamo approfondito tante cose utili. È mancata però la parte clinica. Nessuno infatti ha dati clinici veri e propri, ma solo dati anneddotici. Ecco perché questa è una parte alla quale ci dovremo dedicare intensamente, con linee guida sulla buona pratica clinica.

 

Sappiamo che la cannabis funziona nel dolore cronico benigno nell’inappetenza, nel glaucoma, nella fibromealgia, nella sindrome di Tourette: non cura, ma riduce i sintomi. La malattia cronica purtroppo non la curi, ma la devi accompagnare. Sicuramente ci sarà da fare una ricerca sulle malattie neurodegenerative: Alzheimer, Parkinson, SLA, Sclerosi Multipla ed anche cancro. Poiché ci sono studi sia in vitro che in vivo che indicano che le cellule tumorali muoiono se entrano in contatto con la cannabis. Però anche lì bisogna cambiare l’approccio, perché l’impostazione scientifica che abbiamo nello studio delle malattie è strettamente legata al farmaco. Qui ci troviamo di fronte a una pianta, un fiore che non è un farmaco, ma bensì una sinfonia di farmaci, non saprei come altro definirla. Quindi avere i permessi per fare la ricerca, diventa complicato.

 

Un ulteriore problema è che un prodotto, quando viene somministrato, deve avere delle caratteristiche ben precise. Sono 4 i pilastri della buona pratica: dev’essere un prodotto sicuro, dev’essere efficace per la malattia per la quale lo si somministra, dev’essere standardizzato in modo che sia sempre lo stesso prodotto, e dev’essere accessibile: non si può pensare di fare una terapia per cui si possono curare 4 persone in tutto il mondo a causa del costo elevato. Quindi questi aspetti devono essere garantiti quando si effettua la ricerca. Ma bisogna partire. In Italia penso che siamo molto vicini.

 

Ci parli della sua associazione e dei vostri progetti futuri.
L’associazione Medical Cannabis  nasce dall’incontro con 3 ragazzi (citati all’inizio dell’articolo) che hanno costituito una startup (Farmalab) qui in Liguria per l’approvvigionamento sanitario e che hanno avuto l’intuizione di introdursi nel mondo della cannabis ed in seguito hanno avuto l’autorizzazione da parte del Ministero della Sanità ad importare la cannabis dall’unico produttore autorizzato in Europa: la Bedrocan (il ministero della Sanità Italiano ha individuato 5 importatori in Italia ed uno di questi è la startup di cui sopra). In seguito abbiamo deciso di costituire l’associazione che avesse come scopo principale la formazione dei medici e dei farmacisti e della divulgazione delle informazioni e degli studi clinici. Ecco perché abbiamo fatto una prima formazione. Adesso abbiamo fatto un primo incontro per mettere in piedi un gruppo di lavoro e partiremo entro febbraio/marzo del prossimo anno con la formazione a distanza per i medici di base.

 

Poi organizzeremo delle iniziative per la diffusione di una vera e propria “cultura della cannabis terapeutica” tra addetti ai lavori e non solo, anche con altre associazioni. Questa è la nostra ambizione, vedremo se ne saremo capaci. La volontà è forte. Ora tra l’altro abbiamo riscontrato un grande interesse, anche tramite la pagina Facebook , da parte di persone che vorrebbero partecipare o soltanto saperne di più. La formazione a distanza è il metodo che abbiamo scelto per coinvolgere il maggior numero di persone, poiché dando la possibilità ai nostri interlocutori di poterla seguire da casa è più facilmente accessibile. Per la parte specialistica si potranno invece organizzare dei convegni. Qui bisogna sgrossare molto, quindi bisogna andare dapprima sui grandi numeri. Speriamo che i medici di base siano interessati. Poi vorremmo costituire un vero e proprio centro specializzato nelle cure con sostanze cannabinoidi. Un centro con un’accezione molto moderna, dove dovrebbero essere i medici del centro ad andare a casa del paziente e non viceversa.

 

Quindi vorremmo entrare in una relazione diversa medico-paziente e questa pianta ce lo consente e anzi ce lo richiede. Noi crediamo in questa pianta perché è presente (ed utilizzata in varie forme) sulla terra da tempi immemorabili e ci batteremo per mantenere la naturalezza della terapia, pur sotto la guida e la tutela medica. L’ideale sarebbe creare questo centro in una città come Milano, poiché è sempre stata una città aperta alle innovazioni. Questa ambizione però è ancora in una fase REM (di sogno) del progetto. È un progetto che richiede anche un notevole investimento economico, ma da cosa nasce cosa: se vediamo che le cose si muovono, magari troviamo anche chi ci aiuta a realizzarlo.

 

1. Sia la coltivazione fai da te che, peggio ancora, il mercato nero per l’approvvigionamento di cannabis, risultano estremamente insidiosi per il consumatore, in quanto essendo prodotti non standardizzati e non controllati da un’istituzione autorevole, possono presentare e spesso presentano concentrazioni troppo alte o troppo basse dei principi attivi e non sortire l’effetto desiderato o addirittura dare effetti indesiderati; mentre nel caso del mercato nero da alcuni studi risultano presenti sostanze inquinanti, se non addirittura tossiche o cancerogene (oltre che seri rischi di ordine legale e non solo).

 

 

 

 

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