24 Dic 2019

Gino, il treno verde a righe blu

Scritto da: Emanuela Sabidussi
Illustrazioni di: Silverio Edel

Esiste il destino? E se sì, chi ha deciso per noi quale sarà? Ed è possibile cambiare vita, modificando quello che sin dalla nascita sembra essere il nostro “disegno”? Nella nuova storia che vi proponiamo quest’oggi, un trenino sperimenta sulla propria pelle ciò che viene chiamato libero arbitrio, ovvero la possibilità di noi tutti di poter scegliere se accettare o meno eventi a noi esterni, e la libertà che abbiamo di decidere come reagire.

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Carletto era seduto a cavalcioni sulla sedia in cucina, chinato sulla tovaglia a quadretti bianchi e rossi. Disegnava: un’attività che amava da quando era piccolo, o meglio da quando era un po’ più piccolo, perché come gli ricordava spesso la sua mamma, Carletto non era ancora proprio grande, anche se aveva da poco spento ben sei candeline!
Amava molto anche i treni, in generale tutti i mezzi lo affascinavano: bus, auto, moto, camion. Carletto era quello che si potrebbe definire un vero e proprio appassionato di motori: era in grado di distinguere persino la differenza tra una betoniera e una ruspa solo dal loro suono in lontananza!

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Quella mattina, preso da un insolito desiderio di creare, aveva deciso di disegnare il treno più bello del mondo. E ora era proprio lì, concentrato a dar vita a quella magnificenza, dotata di locomotiva, carrozze per passeggeri, carro merci. Aveva persino deciso di creare una fantastica carrozza ristorante.

“Almeno loro potranno far colazione”, pensò tra sé e sé con la pancia che brontolava dalla fame.

Ma la creazione non gli venne bene al primo colpo: dovette passare attraverso dodici tentativi, prima di riuscire a dar vita al treno così come lo vedeva nella sua mente. “Ti farò blu. Anzi no verde. Verde a righe blu. E… ti chiamerò Gino! Come il mio nonnino, che mi porta sempre con lui a vedere i treni in stazione”, pensò Carletto apprestandosi a dar vita al suo nuovo amico sulle rotaie. Stava inserendo anche i più piccoli particolari che gli venivano via via in mente: come il colore dei finestrini, le maniglie delle porte, le sfumature delle carrozze.

Una volta soddisfatto della buona riuscita estetica e funzionale dell’amico, si dedicò ai dettagli della sua casa, aggiungendo via via elementi di contorno al treno, per far sì che Gino si sentisse incuriosito e felice nell’attraversare il percorso sulle rotaie che Carletto stava creando per lui.

“Vedrai, sarà bellissimo il luogo in cui vivrai!”. Si apprestò così dicendo, a disegnare e colorare qualche albero sempre verde qua e là, qualche cespuglio, alcuni fiori sparsi, un laghetto ai piedi di montagne dalle vette arrotondate e qualche casetta dai comignoli fumanti.

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“Te l’ho già detto mille volte. Per quanto te lo devo ancora ripetere?”.
Le urla dalla stanza di fianco fecero uscire Carletto dalla bolla in cui era totalmente assorto: erano mamma e papà e stavano litigando. Di nuovo! Carletto non sopportava quando accadeva, e nelle ultime settimane erano sempre più frequenti i loro litigi in casa. Non capiva perché non potessero volersi bene e basta. Era ingiusto che non riuscissero ad andare d’accordo. Una rabbia calda come il fumo del camino, e agitata come una tempesta iniziò a farsi largo dentro di lui: partì dalla sua pancia e salì in pochi attimi. La sentì arrivare sino alla testa.

E senza neanche accorgersene Carletto impugnò una matita rossa e disegnò a fine della rotaia LUI: era tozzo, goffo e dalle fauci aperte e le braccia a tentacoli alzati verso l’alto. I tratti della matita che ne delineavano la forma erano netti, incisi sul foglio.

Ad ogni tratto Carletto, come sotto ad un effetto psicomagico, si sentiva via via meglio: la grande tempesta di rabbia iniziò il suo percorso di discesa spostandosi dalla testa, al collo, all’addome e scivolando attraverso il braccio del bambino, sino a trovare la via d’uscita nella sua mano destra.
“Alzati, stiamo uscendo. Prendi la tua giacca e mettiti le scarpe Carletto!”, si sentì ordinare alle spalle. Era la mamma e senza pensarci si alzò e corse all’ingresso per prepararsi ad uscire, lasciando tutto com’era. Intonso sul tavolo.

Passarono alcuni minuti di totale silenzio: Carletto con la madre erano usciti, il padre era dall’altra parte della casa, chiuso in camera. Tutto era fermo, sospeso in un silenzio totale. Sino a che…

“Uaaau. Mamma mia che sonno! Lasciami stirare un po’ che a forza di stare fermo immobile ho tutti i ferri irrigiditi!”. Era Gino che aveva preso vita, come svegliandosi da un lungo letargo. Si stava stiracchiando tutto, almeno per quanto gli era possibile fare: era pur sempre un treno lui! E che treno!
“Ma che bello sono? No, ma ci rendiamo conto? Aveva proprio ragione Carletto. Ma… che corpo stupendo mi ha fatto? Oh oh, guarda che carrozzeria mi ha messo: mai vista una cosa così!”.

Si contemplò tutto, da cima a fondo, sopra e sotto. Notò ogni più piccolo dettaglio di cui era stato rifornito con ammirazione per il suo creatore, ma anche con molto orgoglio di poter essere così: bello nei più piccoli dettagli. “Verde come l’erba e a righe blu, come il cielo! Totalmente intonato al mio contesto: meraviglioso! Quasi commosso. Ha pensato proprio a tutto quello là eh!”.

“E che bello questo luogo dove mi ha dato vita: non potevo sperare di meglio! Un luogo campestre, forse un po’ semplice, ma assolutamente non scontato. Sembra di vedere quelle cartoline di montagna! Grandi alberi verdi intensi, montagne alte che avvolgono, campi quasi immensi… Si respira proprio un’aria di pace, di serenità! Proprio quello che mi ci voleva!
Ben fatto ragazzo: devo ricordarmi di farti i miei complimenti al tuo ritorno!”.

Ad un certo punto però, durante la lunga e attenta esplorazione del suo nuovo corpo e del contesto armonioso che aveva creato per lui Carletto, Gino si rese conto che in fondo alle rotaie qualcosa di meno sereno lo attendeva. Si scrollò, si strofinò gli occhi sperando che non funzionassero ancora bene. Aveva dormito molto, sarebbe stato del tutto normale non vedere ancora benissimo. Ma, nulla: era ancora lì, in fondo fermo. Allora Gino chiuse gli occhi e provò a ripetere tra sé: “Sto sognando, sto solo sognando”.

Ma neanche quello funzionò: appena riaprì gli occhi LUI era ancora lì, al suo posto ad attenderlo. Tutta la sua gioia scomparve, sparì. Al suo posto un grande batticuore iniziò a riempire i suoi lunghi vagoni.

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Gino guardando LUI ne rimase sorpreso ed impaurito al tempo stesso. Contemplò il destino che lo aspettava: “No no, la faccenda qui si fa bella tosta: come farò a sopravvivere a quel coso dalle fauci aperte? Le mie rotaie finiscono proprio dentro alla sua bocca! E perché mai Carletto, che nel disegnarmi mi aveva promesso un percorso meraviglioso, mi avrebbe inserito in fondo quell’essere così terrificante e dalle intenzioni assai poco benigne? Non capisco!”.

Gino era solo, non aveva nessuno a cui chiedere aiuto, nemmeno un trenino a cui confidare che gli stavano tremando le ruote dalla paura. Non aveva via di scampo: un destino crudele quanto spaventoso lo attendeva. Forse Gino non si poteva muovere, ma perché fargli vivere una vita di terrore allora? Chi mai avrebbe scelto di vivere con la paura del proprio destino, della propria fine?

Ma una parte di lui, non voleva rassegnarsi. Allora pensò che forse LUI aveva sbagliato luogo: era capitato anche a Gino di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. “Ma certo! Glielo farò notare e tutto si sistemerà!”.

Provò a rivolgergli la parola, allora, per capire se poteva in qualche modo mediare, cercare un dialogo pacifico ed evitare l’inevitabile. Tirò fuori tutte le sue doti da treno belloccio, brillante e perché no? Anche affascinante. Alla fine aveva preso vita da poco, era come si suol dire un treno nuovo di zecca. Perché non sfruttare le sue capacità per provare a salvarsi la pelle?
E così senza avvicinarsi, ma solo alzando il tono della sua voce, sfoggiando un sorriso smagliante sotto cui nascose tutta la sua paura, disse: “Hei ciao magnifico! Hai ragione ad essere arrabbiato, sai? Sono un vero maleducato. Sono qui da qualche ora e non mi sono ancora presentato: io sono Gino. Tu sei?”.

Ma nulla. nessuno si mosse, né tanto meno parlò. Gino si lasciò andare alla tristezza. Era pienamente immerso in piagnistei e lamentele sul senso della propria esistenza, quando LUI si mosse. Inizialmente furono solo qualche piccolo tentacolo a spostarsi di poco, ma con il passare del tempo anche il resto del corpo riuscì a svegliarsi dal sonno profondo che lo avvolgeva… e poco a poco si riprese.

Gino se ne accorse solo quando LUI fu totalmente vigile: era un tipo brillante ma certamente non troppo sveglio! “Uauauauaaaaaaaaa”. Ad ogni ruggito, urlo, suono emesso dall’essere con i tentacoli Gino tremava, sempre di più.

Sino a che ad un certo punto pensò di lasciarsi andare e abbandonarsi al proprio destino: se Carletto l’aveva scelto per lui, forse c’era un motivo. “Ok, sono pronto. Non ho neanche paura io, sai? Mi lascerò mangiare da te, non ti preoccupare. Non c’è più bisogno che fai tutto sto rumore. Ho capito. Dammi solo un attimo di raccoglimento tra me e me, per poter riflettere sulla vita vissuta, anche se breve. Poi vorrei salutare… hem ok non ho cari, ma ho comunque dei sentimenti! Almeno vorrei avere del tempo per salutare quelli!”.

LUI vedendolo piagnucolare da lontano sul destino che lo attendeva, alzò le spalle: “Non so se possa consolarti o meno, ma io non ho mai voluto mangiarti”. “Ah no? Evviva non mi mangerà, non mi mangerà!”. Gino iniziò a saltellare sulle proprie rotaie, dalla felicità di averla scampata. “No! Io ti mangerò, ti dovrò mangiare perché quello è il destino che ti attende, ma io non ho mai pensato di farlo. Sono stato disegnato anche io, come te, così come sono. Senza possibilità di scelta. La forma, la posizione e il ruolo che mi sono stati assegnati dal mio creatore, che poi è anche il tuo, hanno deciso per me chi essere e cosa fare. Non mi è permesso spostarmi da questa posizione e non mi è possibile chiudere la bocca”.

Gino ripiombò nella malinconia, ma i piagnistei avevano perso un po’ di amarezza dopo che il suo aguzzino gli aveva parlato. Capiamoci: il fatto che LUI non avesse scelto il proprio destino, proprio quanto Gino, non lo consolava per nulla, ma toglieva un po’ della drammaticità al fatidico momento che tanto temeva.

Sentiva il tempo trascorrere e la sua fine avvicinarsi. Ma anche se non voleva sfidare la sorte, Gino non voleva rassegnarsi. “È ingiusto che la mia vita sia così breve. Me l’aveva descritta così armoniosa, ma nella realtà è così spaventosa: una vera fregatura!”.

Respirò profondamente e si concentrò: “Ci sarà un modo per uscire dal mio percorso, o per far scappare LUI” pensò Gino. “Bravo sì, se lo trovi fammelo sapere! Non ho proprio voglia di mangiarti io. Con tutto quel ferro chissà fra quanto tempo ti digerirò!”, si sentì rispondere da Mister fauci aperte.

Allora Gino vagliò tutte le possibilità. Una ad una, velocemente. Alcune gli parvero più complicate, altre le escluse a priori, sino a che… un’idea appena affiorata si illuminò dentro alla sua locomotiva d’improvviso! “Geniale!”.
Qualcosa gli diceva essere l’unico modo per salvarsi e sottrarsi al destino che lo stava attendendo.

E così, piano piano, tratto a tratto, iniziò. Provò a lasciarsi cadere, abbandonandosi a se stesso, colmo di fiducia e speranza per un futuro più roseo, ma terrorizzato dal salto nel buio che si apprestava a fare: era infatti un’idea per quanto geniale, anche pericolosa. Non aveva mai sentito di nessuno che era riuscito in quest’impresa. Ma era anche vero che aveva vissuto poco: cosa ne poteva sapere lui? E, forte della sua incoscienza, libera da paure troppo limitanti, ad un tratto iniziò a scivolare, o forse filtrare. Aveva capito infatti che essendo composto di acquarello, per definizione fisica non era qualcosa di assolutamente definito, almeno non fino a che non fosse stato totalmente asciutto! Era composto da acqua, sostanza dalla forma adattabile, filtrabile appunto.

E come abbandonato alla corrente di un ruscello, si fece trasportare. Lasciò andare tutte le ancore che lo tenevano legato a quanto conosceva della sua breve vita, per abbracciare qualcosa di nuovo. Ogni tanto qualche parte di sé, certo, provava a fare ritorno, aggrappandosi con tutta la sua forza al pezzo di carta in cui era stato concepito.

Ma alla fine anche le ultime resistenze cessarono e, d’un tratto, comprese di avercela fatta: si trovava nel foglio sotto il suo, era riuscito a scivolare da un disegno all’altro, ma soprattutto era uscito dal proprio destino originario per provare a crearne uno nuovo, di cui ancora non sapeva nulla. E infatti il foglio in cui si trovava ora era bianco, ancora totalmente intonso.

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“Uai ce l’ho fatta!” Gino era incredulo. La gioia era alle stelle, ma non ebbe molto tempo per comprenderlo, perché proprio poco dopo Carletto rientrò in casa e corse subito verso il tavolo della cucina. Rimase a bocca aperta: “Ma, ma… non è possibile, qui non c’è! Come ha fatto a cancellarsi?”, si chiese tra sé. Pensò inizialmente che era stato il papà a fargli un dispetto, ma non vi erano tracce e poi perché mai avrebbe dovuto farlo? Poi ricordò gli ultimi attimi prima della sua uscita da casa. Comprese quanta paura doveva aver avuto il suo amico sulle rotaie.

Carletto capì che se nessuno aveva cancellato Gino, forse si era cancellato da solo, o forse…. e d’impulso alzò il foglio davanti a lui e abbozzò un sorriso facendo sporgere tutti i denti che aveva: “Eccoti! Scusa, non so come tu abbia fatto, ma hai fatto bene a svignartela. Ci avrei provato anche io al tuo posto!”.

E così dicendo, si mise di tutto impegno a creare il più bello e colorato dei percorsi che un treno avesse mai attraversato. Ci mise diverso tempo, ma il risultato finale lo soddisfò molto… e dall’occhiolino che gli era sembrato per un attimo di cogliere, anche Gino doveva essere ora parecchio contento nel suo nuovo disegno di vita!

Carletto, terminato il disegno, lo piegò e se lo mise in tasca, con molta cura.
Da quel giorno Gino e Carletto non furono mai più soli. Un’insolita amicizia era nata tra di loro: un creatore distratto, ma dalle buone intenzioni, e un treno pauroso, ma capace di scegliere il proprio destino. Era di certo un’amicizia destinata a durare per sempre.

The End

Immagini in acquarello di Silverio Edel

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