29 Apr 2022

È davvero il Primo Maggio per chi lavora nel mondo della cultura e dello spettacolo?

Scritto da: Susanna Piccin

Da troppo tempo cultura e spettacolo non sono più una priorità per l'agenda politica italiana. Fra le tante conseguenze di questa negligenza c'è anche la condizione precaria di chi lavora in questi settori, specialmente dopo due anni di lockdown e restrizioni, che hanno colpito – spesso in maniera ingiustificata – il mondo dell'arte.

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Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte.
Leo De Berardinis

La pandemia ha colpito (quasi) tutti i settori, che stanno ancora cercando di riprendersi. Ma sicuramente i lavoratori e le lavoratrici della cultura e dello spettacolo sono stati tra i primi a subire le conseguenze del lockdown e tra gli ultimi a rivedere la luce. Si tratta di un comparto enorme che nel 2019 dava lavoro a più di un milione e mezzo di persone, vale a dire il 5,9% dei lavoratori italiani. La Comunità Europea li definisce “salariati atipici” perché il 40% di loro è stipendiato – a intermittenza – ma con partita iva o regime forfettario.

Tra i vari punti su cui mi trovo a riflettere, ce n’è uno che credo sia fondamentale. Io stessa ho fatto per anni l’organizzatrice culturale e ho girato all’infinito gli uffici fisici e le caselle mail degli assessori comunali alla cultura. Forse avrei dovuto rivolgermi all’assessorato al lavoro, anziché alla cultura, almeno per il reperimento dei fondi?

filippo tognazzo spettacolo
Filippo Tognazzo

Credo che sarebbe un grande cambio di paradigma riconoscersi prima di tutto nella categoria “lavoratori”, sia nel pretendere i propri diritti che nell’adempiere ai propri doveri. Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola – Unioncamere ha detto: «Se l’Italia produce valore e lavoro puntando sulla cultura, sulla bellezza e sulla coesione, favorisce un’economia più a misura d’uomo e, anche per questo, più competitiva e più capace di futuro».

Ma oggi a che punto è la situazione? Come sono stati vissuti gli ultimi due anni? Cosa è cambiato? Lo abbiamo chiesto a un esponente del settore delle performing arts, tra i più colpiti dalla crisi in termini occupazionali. Filippo Tognazzo è direttore artistico di Zelda Teatro, compagnia teatrale indipendente veneta, e Presidente di RES – Rete Spettacolo dal Vivo, una rete nata nel 2020 per dare voce e rappresentanza a moltissime realtà (compagnie, spazi, organizzatori, formatori) del settore dello spettacolo dal vivo in Veneto.

Ci aiuti a descrivere, a beneficio di chi non ne fa parte, com’è strutturato il mondo del lavoro culturale e dello spettacolo?

Parliamo di un sistema molto complesso. In Italia abbiamo i grandi teatri pubblici, gli enti lirici, le Fondazioni: enti storicamente molto strutturati che spesso vengono sostenuti con importanti fondi pubblici. Sono realtà che impiegano decine di persone, con allestimenti complessi e un ruolo riconosciuto. Poi abbiamo i FUS, compagnie ed enti finanziati dal Fondo Unico per lo Spettacolo che ne riconosce il valore e le sostiene.

Quando si parla di cultura si dovrebbe parlare prima di tutto di lavoro, di tutela dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori

Infine abbiamo una moltitudine di altre realtà che non possono contare su aiuti pubblici o li ricevono sporadicamente o in base a singoli progetti. Sono realtà anche piccolissime che svolgono un prezioso lavoro di comunità, incontrando il pubblico e offrendo occasioni di crescita per tutta la cittadinanza.

Nel rapporto Bes (rapporto sul Benessere equo e sostenibile) dell’Istat troviamo scritto che “l’occupazione culturale e creativa è stata colpita dalla crisi da Covid-19 già nel 2020 e non mostra segni di ripresa nel 2021”.

La pandemia ha reso evidente un aspetto del mondo del lavoro della cultura: da una parte abbiamo un sistema finanziato, con tutele e diritti. Dall’altro una moltitudine di strutture e lavoratori che spesso, pur di lavorare, accettano sfruttamento e lavoro nero. Io credo che questo sia dovuto a due fattori principali. Il primo è la scarsità delle risorse. Il Veneto, per esempio, investe 3,5 € a cittadino sulla cultura ed è la penultima regione in Italia, subito prima della Liguria, che ne investe 3,44. Molte amministrazioni pensano di fare cultura senza investimenti. Già ora riceviamo proposte da parte di assessorati che chiedono agli artisti di esibirsi gratis.

Il secondo fattore è la mancanza di controlli: le norme e le leggi ci sono, basterebbe verificare le attestazioni che devono essere prodotte per dimostrare che i lavoratori siano regolarmente assunti. Se non viene fatto è perché non c’è la volontà e la volontà non c’è perché altrimenti bisognerebbe investire molti più soldi. Ma senza risorse non puoi fare investimenti e creare posti di lavoro, precarizzi il sistema, perdi professionalità importanti, disperdi le energie, non offri ricambio generazionale.

spettacolo
Cosa è successo in questi due anni di pandemia? Cosa è cambiato tra prima e dopo?

Sento spesso dire: “Speriamo di tornare presto a com’eravamo prima del Covid”. Io rispondo: no, quello non era l’eldorado, quella era una zattera alla deriva e qualcuno si credeva pure in crociera. Il sistema va invece rivisto in profondità. In questi ultimi mesi sono stati fatti grandi passi avanti.

Il 10 giugno del 2021 l’Ufficio Stampa del Ministero della Cultura ha annunciato che il Governo avrebbe avuto 12 mesi per adottare una serie di misure per riformare il settore dello spettacolo, fra cui il Sostegno Economico Temporaneo, una nuova sezione del portale INPS dedicata ai lavoratori dello spettacolo e un riordino degli enti. Nel dicembre del 2021 la Regione Veneto ha approvato la nuova legge per la Cultura e il primo programma triennale che da anni aspettavamo.

Le domande da porsi però sono: perché sono necessarie questa riforma e questa legge? E come mai sono necessarie adesso? Perché quando si parla di cultura si dovrebbe parlare prima di tutto di lavoro, di tutela dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori. Si dovrebbe pensare che quegli artisti, quei tecnici, quegli organizzatori sono prima di tutto persone che cercano di contribuire alla società con i loro talenti. Si dovrebbe ritornare a leggere gli Art.1 e 4 della Costituzione, in particolare proprio il 4: La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. La riforma è necessaria adesso per rendere effettivo per tutti quel diritto.

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