22 Nov 2022

Leila: l’amore, il dolore e la speranza dietro a un trapianto storico per la medicina

Scritto da: Brunella Bonetti

Il 12 luglio del 2019 Leila subisce il primo trapianto di fegato dopo le metastasi per cancro tumore al seno al mondo. In questa nuova puntata di Moderne Persefone, ci racconta la sua storia e le sue emozioni, dall'angoscia maturata in anni di terapie non risolutive alla gratitudine per i medici che le hanno salvato la vita e per la sua famiglia che non l'ha lasciata mai sola.

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Roma, Lazio - Nei momenti di grande sofferenza ci vengono addosso le paure più grandi e recondite. Tutto sembra nero e si scende a candela in fondo al mare fino a toccare il fondo. BB lo sa bene, lo ha vissuto sulla sua testa e ogni volta che incontra una Moderne Persefone che ha vissuto esperienze simili alla sua, ne resta stupefatta: quasi una comunanza di vite. Un forte legame di sorellanza che tiene unite tutte le donne, soprattutto quelle che hanno visto la luce in fondo al tunnel.

Così è per Leila, una donna dalla corazza forte, ma dal cuore tenero. Una miracolata che ha ricevuto in dono una missione, invece che la morte. La tiene in vita, ogni giorno, l’amore per la sua famiglia, per i colleghi e i medici che l’hanno salvata. E per questo immenso amore e gratitudine lei è riuscita a sopravvivere, a piegare le gambe, una volta toccato il fondo, e rimbalzare in alto verso la luce. Vediamo come.

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Cara Leila, raccontaci un po’ di te.

Sono Leila, una donna di 53 anni, sempre stata timida e insicura, ma organizzata e gioviale. Abito a Roma, che amo: la mia città ideale piena di arte bella da vedere e vivere. Vengo da una famiglia unita e forte. I miei genitori sono i cosiddetti ossi duri di una volta, sognatori risoluti con un grande senso della famiglia. Purtroppo io e mio fratello non li abbiamo resi nonni, sarebbero stati bravissimi anche in quello.

Proprio questo amore ho respirato da subito, la loro voglia di far star bene le persone attorno a loro e la grande generosità di tempo. Non sono mai stata una donna ambiziosa, ma ho sempre avuto bisogno di essere riconosciuta per le mie capacità. Mi impegno molto nell’organizzazione di qualsiasi cosa e questo mi porta a essere di aiuto agli altri: per loro trovo sempre il tempo e il modo. Nella mia vita ho sempre tenuto a cuore l’equilibrio degli affetti e dei progetti giornalieri.

Cosa succede che ti cambia la vita?

Improvvisamente, ancora non trentenne, mi hanno portata in sala operatoria per un nodulo. Non ho voluto una operazione invasiva e ho accettato l’idea di lunghe cure chemioterapiche. Non ricordo molto di quel periodo, ho una memoria selettiva che tende a conservare le immagini felici e lasciare andare quelle sofferenti. Rammento solo che in quei giorni cominciava il Grande Fratello e che tutti ne parlavano e il mio ex fidanzato che mi ha portato il nostro orso Bin in ospedale.

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Da lì la sofferenza del mio corpo, la debolezza e il rigetto dei farmaci. Una volta ero nella casa dove sono cresciuta, la casa di famiglia, nell’ambiente a me caro. Mamma era uscita per la spesa e io pensai: “Perché non salgo sul davanzale e non mi lascio cadere?”. Per loro, per mia mamma, mio papà e mio fratello che piangevano per me durante la notte, per loro non l’ho fatto, per loro ho pensato di resistere, che prima o poi sarebbe finito questo strazio.

Dopo quel momento quale impatto ha avuto su di te la tua caduta psicologica fisica?

Dopo una pausa di cinque anni ho rivissuto varie ricadute sul fegato, tanto che questo si è ridotto, dopo tanti interventi, a non farcela più e quando ero appena cinquantenne mi hanno diagnosticato pochi mesi di vita. Ho pensato che avevo ancora tanto da fare, sistemare, organizzare. Volevo lasciare il mio mondo in ordine, un ordine dove gli altri non avrebbero dovuto dire “dove lo avrà messo?”. Che strana convinzione!

Durante il ricovero finale non pensavo a nulla se non a far passare le giornate nel miglior modo possibile, senza troppo dolore per la mia famiglia. Mi parlarono di trapianto. Che paura! Dover contare sulla morte improvvisa di qualcuno per vivere la mia vita, perché? Non sapevo se desiderarlo. Vedevo la sofferenza negli occhi della mia famiglia impotente e l’entusiasmo dei miei medici che in cordata tentavano ogni via per farmi accedere al programma di trapianto. Inaspettatamente, sul filo del rasoio, con un corpo filiforme, sono stata portata in sala operatoria. Ricordo gli occhi blu della mia anestesista: «Pensa qualcosa di bello», mi disse.

Cosa è successo dopo l’intervento?

Il risveglio: un uomo coperto da mascherina e cuffia che mi diceva: «sono Danilo!». Era mio fratello. Ero viva in sala di recupero. La ripresa mi è sembrata velocissima. Ho rivisto i volti amici, i miei medici strafelici e la mia famiglia provata dalla paura infinita. Avevo creato una chat di gruppo di quasi 60 persone che chiedevano mie notizie. Ero impegnata a riemergere e ne ero strafelice. Potevo ricominciare a programmare. Improvvisamente, dopo una conferenza stampa organizzata dal mio ospedale, ero anche in TV, al Tg1, che impressione!

Quel momento si può intendere come una svolta?

Ora mi era chiaro: avevo perso molti anni di vita, bloccata nei recuperi e nella convalescenza. Al lavoro avevo perso la possibilità di farmi conoscere per quello che valevo, per il mio impegno e la mia professionalità. In questi anni ero stata un parafulmine. Inconsapevolmente sin dalla prima diagnosi ho pensato che era un bene fosse accaduto a me e non a mia mamma, perché io potevo essere assistita da lei, ma non sarei stata brava ad assistere qualcuno che amo mentre soffre.

Io che desideravo amore, ho avuto tutto l’amore possibile dai miei cari e da medici straordinari che nel tempo mi hanno reso parte della loro famiglia. Ho voluto organizzare una festa, una sorta di matrimonio con la mia vita: c’era la torta a due piani, c’erano i miei amici e colleghi, i miei splendidi medici, tutti pilastri della mia vita, c’era la bomboniera, i palloncini a forma di cuore e mio fratello sempre presente. Ho potuto tagliare la torta con il medico che ha voluto e costruito il trapianto. Sono rientrata in ufficio ed è stata la mia gioia più grande riprendere la vita normale della quotidianità.

Cosa è cambiato? Quali sono diventati i tuoi nuovi obiettivi?

Non ho cambiato i miei obiettivi, non c’è stato il tempo: è subentrato il Covid, la pandemia che tiene lontane le persone. Per me resta importante l’equilibrio degli affetti e dei programmi. La mia famiglia è qui accanto a me, questo mi basta. L’amore c’è! «Sei una miracolata», mi ripete mamma. Ha ragione: è così. E visto che io ho bisogno di dare un senso a ogni cosa, ho subito pensato che se Dio mi ha permesso di restare al mondo un motivo ci sarà. Per ora voglio essere serena e continuare a vivere dei momenti unici nella natura, i momenti di solitudine, necessari per vivere le sensazioni felici e anche quelle tristi.

Mi parlarono di trapianto. Che paura! Dover contare sulla morte improvvisa di qualcuno per vivere la mia vita, perché?

Cosa pensi oggi di tutto quanto è successo?

Continuo a pensare che in ogni vita gioia e tristezza bilanciate debbano essere bilanciate per avere una simile serenità, che possa far navigare a vista in accordo con gli altri e con la natura che ci circonda.

Cosa consiglieresti alle moderne Persefone soprattutto a quelle che, come te, riemergono da un forte trauma ?

Nei momenti di grande sofferenza mi veniva in mente la mia paura più grande: vedermi scendere a candela in fondo al mare, ma poi mi vedevo toccare il fondo, piegare le gambe e rimbalzare in alto verso la luce. Un po’ come quando faccio la tac con grande tensione, minuti che sembrano ore, nei quali mi passa tutto il mondo davanti, vedo mia zia morta per tumore, sola e senza la sua famiglia, con cure che ai tempi erano ancora agli inizi. Sono certa che mi vede e mi protegge sapendo quanto sia dolorosa la sofferenza. Ma ora c’è il sole, la mia primavera.

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