17 Mar 2023

Appennino Futuro Remoto, il festival che diventa un progetto di rigenerazione culturale e sociale

Scritto da: Valentina D'Amora

Immaginate un festival di musiche e tradizioni locali che cambia veste e diventa un progetto per ripopolare e destagionalizzare una valle. Parliamo di Appennino Futuro Remoto, in alta val Borbera: ci siamo fatti raccontare questa evoluzione da Laura Parodi, ricercatrice e direttrice artistico-organizzativa del festival.

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Alessandria - Futuro remoto, un tempo verbale ma per certi versi un ossimoro, un filo che si tende in due direzioni opposte: il passato, il più lontano, e il futuro. Nell’appennino delle Quattro Province Futuro Remoto è una sfida da vincere: da una parte mantenere la propria identità culturale e storica, proiettandola allo stesso tempo nel futuro, dall’altra generare un confronto con chi è rimasto, secondo il fil rouge di entrare con delicatezza e in punta di piedi nei luoghi più remoti della val Borbera.

LA STORIA

«Appennino Futuro Remoto nasce nel 2021 come un festival che intreccia musiche, luoghi e tradizioni dell’alta val Borbera, per raccontarne il territorio e dar voce alla sua identità», mi racconta Laura Parodi, cantante, organizzatrice di eventi, ricercatrice e direttrice artistico-organizzativa della manifestazione, che in poco più di un anno e mezzo è diventata un vero e proprio progetto.

«Dal 2021 a fine estate allestiamo dal nulla tre prati, con stand di liutai ed editori indipendenti, produttori locali di vino, miele, birra, zafferano e dolci; nel frattempo curiamo laboratori di ceramica, presentazioni di libri, appuntamenti artistici, concerti e incontri per bambini». Lo scorso anno, per esempio, è stato organizzato un laboratorio di preparazione del formaggio, per mostrarne la filiera e insegnare ai più piccoli che non esce incellofanato dai supermercati ed è andato benissimo. «Partecipa all’evento anche l’ente parco dell’appennino piemontese, che si occupa di letture di libri per bambini, e nell’edizione di quest’anno collaboriamo con il Sarvego Festival».

«Il simbolo di questo festival è un ramoscello di ginkgo biloba, una pianta dalla forte valenza affidataci dalla Green Legacy Hiroshima, che ogni anno assegna giovani alberi a dieci progetti in tutto il mondo». La fondazione è nata per salvaguardare e diffondere in tutto il mondo i semi e le piante sopravvissuti alla bomba atomica di Hiroshima. «Il significato di questo albero quindi è rinascita. Ora la comunità di Carrega ha in affidamento questo alberello, che è piccolo ma resiste, custodendo il suo messaggio di pace e la sua eredità verde».

Inaspettatamente poi il festival si trasforma in un progetto, ampio e sfaccettato. «Una sera mi ha chiamato il sindaco di Carrega per propormi di partecipare a Borghi Storici, il bando finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del PNRR e dal Ministero della Cultura, rivolto a piccoli borghi al di sotto dei 5000 abitanti. Non ci ho pensato due volte e ci siamo buttati in questa nuova avventura, ampliando e sviluppando in varie direzioni il progetto originario di Appennino Futuro Remoto, più legato alla musica e alla cultura, declinandolo da diverse prospettive di rigenerazione culturale e sociale: dalle officine creative alle passeggiate didattiche, passando per alberghi e musei diffusi, lo sviluppo di percorsi per biker e molto altro».

L’ISOLAMENTO DI CARREGA E LE SUE CONSEGUENZE

«Certo, la frana del 1° maggio scorso ci sta ancora condizionando ed è un disastro per tutti coloro che vivono al di là». Carrega infatti da quasi un anno a questa parte non è raggiungibile dal Piemonte, ma solo dal versante ligure. E questo inevitabilmente ha conseguenze disastrose sugli abitanti: «La scorsa settimana una signora di più di novant’anni che doveva sottoporsi a una visita medica ha impiegato più di tre ore e mezza per arrivare in ambulatorio».

Vivere qui aiuta a mitigare l’ansia quotidiana e tutte le dislessie che ci condizionano in città

Oltre alle difficoltà quotidiane dei residenti, anche il circondario inizia a subire gli effetti della frana: «Cabella ne sta risentendo molto dal punto di vista umano e commerciale. Qui le persone parlano, si fermano nei negozi, chiacchierano, è una condizione di calma che in città si è persa ma che qui invece rimane». E con l’isolamento di Carrega e delle sue frazioni questa socialità si è molto ridotta. «Nel frattempo il 21 giugno scorso mi ha telefonato un mio collega per congratularsi per l’esito del bando: con grande soddisfazione ho scoperto così che Appennino Futuro Remoto è arrivato sesto, con un punteggio di 85 su 91! Le domande sono state 1800 in tutta Italia, il che ci rende ulteriormente orgogliosi».

APPENNINO FUTURO REMOTO: IL PROGETTO

Da alcuni mesi Laura e il resto dello staff sono al lavoro per portare avanti tutte le azioni di rigenerazione che hanno pianificato: a Carrega alcuni immobili di proprietà comunale sono in ristrutturazione, pronti a trasformarsi in alberghi diffusi che diventeranno a loro volta anche residenze artistiche. «La fase di affidamento dei lavori è già stata avviata», conferma Laura.

L’obiettivo primario di Appennino Futuro in questa veste progettuale è il ripopolamento e la destagionalizzazione della valle, coinvolgendo allo stesso tempo anche i veri protagonisti del territorio, i residenti, che in questo comune sono 87. «Proprio in virtù di questo principio pubblicheremo alcuni libretti che approfondiscono alcuni aspetti della cultura locale. Stiamo intervistando gli abitanti per raccogliere storie e testimonianze popolari: uno sarà di ricette, soprattutto a base di erbe locali, uno sui canti delle Quattro Province – proprio in questi giorni una ragazza di un agriturismo di Capanne di Carrega sta facendo un approfondito lavoro di ricerca e ne ha già raccolti una novantina –, e infine uno sul dialetto locale».

Il progetto poi ha puntato molto sulla necessità di colmare l’enorme carenza della banda larga in quest’area, quindi l’intento è coprire questa zona quasi totalmente priva di connessione: «Dopo il lockdown abbiamo capito che è possibile lavorare dappertutto, quindi creeremo diverse postazioni smartworking in giro per Carrega, un primo spazio potrebbe essere proprio all’interno del Municipio. In questo modo permetteremo a chi desidera rimanere a Carrega di farlo».

Appennino futuro remoto Pasta
Uno scatto durante la scorsa edizione del festival

«Stiamo lavorando molto anche sulla telemedicina e teleassistenza, anche se purtroppo la frana ci sta facendo rimandare alcune cose, ma la consideriamo una nuova forma di resistenza». Secondo Laura, la frequentazione di questi luoghi, non solo in estate, ma nell’avvicendarsi delle quattro stagioni, insegna un diverso modus vivendi, in una dimensione più lenta, con tempi più dilatati. «Vivere qui aiuta a mitigare l’ansia quotidiana e tutte le pressioni che ci condizionano in città».

 LA PERCEZIONE DEL CONFINE

Qui il senso di appartenenza a questa valle è molto forte, si sente e si respira. Per questo chiedo a Laura di raccontarmi qual è la percezione di confine in quest’area che, da quasi un anno, ha anche una barriera fisica che isola ulteriormente un contesto già molto remoto dell’Appennino. «Questo confine è sentito, anche se la maggior parte delle persone nate a Carrega è emigrata in città».

«Poi parliamo di un territorio che è sempre stato ligure, anche se oggi è piemontese, e questa caratteristica nella toponomastica è chiara. Da Carrega in tanti sono emigrati a Genova, c’è proprio una dicotomia: sono piemontesi sì, ma con dentro un po’ di Liguria. E il risultato è anche un dialetto a sé, con influenze liguri mescolate al piemontese. Questo è un posto dove le persone sono nate e sono cresciute – conclude Laura – quindi è conosciuto, sia nel bene che nel male. D’altronde la maggior parte delle persone ora sono lì perché hanno scelto di rimanerci».

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