10 Lug 2023

We Are Nature Expedition: le Americhe in van per parlare di biodiversità

Un anno in van, decine di migliaia di chilometri lungo la celebre Panamericana, dall'Alaska all'Argentina. È We Are Nature Expedition, l'avventura che stanno vivendo Valeria e Davide, con un obiettivo fondamentale: parlare degli effetti dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi e soprattutto sulla biodiversità. Giunti alla metà esatta del loro viaggio, ci hanno raccontato com'è nata l'idea, com'è stata l'esperienza sino a questo punto e quali sono le prospettive future.

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We Are Nature Expedition, ovvero la spedizione “noi siamo natura”. Già, perché come insegna l’ecologia profonda noi non siamo salvatori né guardiani del mondo naturale, ma parte integrante di esso. Il titolo della loro impresa dunque chiarisce subito qual è l’approccio di Valeria Barbi e Davide Agati, partiti dal Canada e diretti prima in Alaska e poi in Argentina inseguendo l’orizzonte inafferrabile lungo la Panamericana, il tracciato che attraversa da nord a sud le Americhe.

Raggiungo – purtroppo solo telefonicamente! – Valeria a Bogotà, in Colombia. L’ingresso in Sud America ha segnato la metà esatta del loro percorso, che si concluderà a gennaio 2024. Al di là del gusto selvaggio dell’avventura on the road – «che però a volte distoglie l’attenzione dal nostro vero intento», mi confessa – lo scopo della spedizione è documentare gli effetti della crisi climatica e la perdita di biodiversità in questa fetta di mondo. La nostra chiacchierata parte da lei e dalle motivazioni che l’hanno spinta a concepire e mettere in atto questa impresa.

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Valeria, qual è il tuo percorso di vita e professionale?

Sono politologa e naturalista e questo mi fornisce l’opportunità di avere un duplice punto di vista, quello delle scienze umane e quello delle scienze naturali, anche se devo ammettere che quest’ultima parte è quella che mi coinvolge di più. Nella vita lavoro come docente, consulente e comunicatrice, ho scritto un libro e ho lavorato per molti anni dietro a una scrivania come project manager.

Come nasce We Are Nature Expedition?

Nasce tutto tra la scrittura del libro e il periodo della pandemia, a livello sia cronologico che di motivazioni. Nella vita mi occupo principalmente di biodiversità e cambiamenti climatici, e negli ultimi anni mi sono resa conto che l’attuale attenzione nei confronti della crisi climatica sta offuscando un’emergenza ancora più allarmante e che riguarda la diversità biologica. Uno dei motivi è che non siamo ancora stati sufficientemente capaci di spiegare l’importanza della biodiversità per la nostra esistenza.

Tra le domande ricorrenti che mi ponevo durante il Covid era: “Che tipo di rapporto ci porterà ad avere con la natura la fine della pandemia?” e “come possiamo spiegare efficacemente che cos’è la biodiversità?” We Are Nature Expedition nasce come tentativo di dare una risposta a queste domande, a rendere accattivanti i dati e a suscitare l’empatia delle persone nei confronti delle altre specie.

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Come dice il nome stesso, è un’iniziativa per dimostrare che noi siamo natura. È un reportage giornalistico e l’idea di farlo nelle Americhe ha origini scientifiche: la Panamericana attraversa la maggior parte degli ecosistemi esistenti al mondo, oltre ad essere in crocevia di culture e tradizioni con una grande componente indigena, e questo ci dà la possibilità di parlare del principio di interconnessione, che insieme all’empatia è uno dei due principi chiave di We Are Nature Expedition.

In che modo cercate di comunicare il vostro messaggio?

Noi parliamo di persone che lottano per la biodiversità e cerchiamo di spiegare perché se, ad esempio, sparisce lo squalo martello dal mare di Cortez è un problema anche per chi vive a Milano. In ogni paese intervistiamo associazioni, cittadini, rappresentanti delle popolazioni indigene poi organizziamo, montiamo e diffondiamo il materiale raccolto. Per ora lo facciamo attraverso i social, i nostri media partner, le interviste e i servizi in radio e TV – siamo stati ospiti fissi di tutta la scorsa stagione di GEO su Rai3. Al ritorno realizzeremo una mostra multimediale, un documentario e io scriverò un secondo libro.

Cosa ti sta dando questo viaggio a livello personale?

Siamo appena arrivati a metà della spedizione e una delle cose su cui ho riflettuto a lungo è che quando ti trovi a lavorare dietro a una scrivania sai che la situazione è grave e complessa perché studi i dati, ma vederla con i tuoi occhi è un’altra cosa. Toccare con mano la devastazione causata dalle monocolture di palma da olio in Guatemala, parlare con i bracconieri di uova di tartaruga in Nicaragua, incontrare gli ultimi esemplari di una specie quasi estinta sono le esperienze più forti che abbia fatto nella mia vita. È difficile mantenere un distacco, non arrabbiarti e capire com’è possibile che tutto ciò non sia ancora in cima alle priorità non solo politiche ma anche personali.

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Come fai a parlare della biodiversità, quale linguaggio utilizzi per rendere efficace il messaggio?

È importante usare l’empatia per far capire alle persone cosa sta succedendo. La strategia che sto usando è la verità: quando faccio le mie lezioni o le conferenze, quando spiego le tecniche di comunicazione, dico sempre che non bisogna ricorrere all’allarmismo. Adesso però ho smesso di indorare la pillola: le persone devono sapere esattamente cosa sta succedendo.

Per farlo chiaramente usiamo foto e video accattivanti per fare leva sull’empatia, cerco di far capire che ci sono luoghi che tutti abbiamo sognato di vedere nella vita ma se continua così non sarà possibile. Spiego il motivo per cui è necessario che determinate specie continuino a esistere, non solo perché è giusto, ma anche perché svolgono fondamentali servizi ecosistemici. Portiamo le persone con noi in viaggio. Poi ci sono le storie umane, che hanno ancora un valore profondo per le altre persone e sentire le parole di chi racconta la propria esperienza nell’ambito della crisi ambientale ha un valore diverso.

Noi parliamo di persone che lottano per la biodiversità e cerchiamo di spiegare perché se, ad esempio, sparisce lo squalo martello dal mare di Cortez è un problema anche per chi vive a Milano

Qual è il riscontro?

Io ho la percezione di star smuovendo qualcosa. In Canada, Alaska e USA, ma anche in centro e sud America il nostro viaggio sta avendo un gran successo, siamo stati intervistati dalla TV, la gente ci ferma per strada perché ha voglia di sapere, di capire. In Italia il mondo social è un caso particolare: la piccola community che abbiamo creato è molto affezionata e ci ringrazia continuamente per questo progetto ma se allargo lo spettro, mi rendo conto che, purtroppo, in molti sono più interessati alla nostra vita privata o alla cosiddetta “van life” che alla crisi ecologica che raccontiamo.

Dal punto di vista giornalistico e televisivo sta funzionando molto di più: io sono stata intervistata da praticamente tutti i principali quotidiani italiani, e intervengo regolarmente a conferenze nazionali e internazionali dove We Are Nature Expedition è riconosciuto come un caso studio visto che unisce la componente della spedizione con quella della natura selvaggia, che è ancora una leva importante. 

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We Are Nature Expedition ha l’obiettivo di diventare anche un progetto che coinvolge le aziende e le scuole. A tal proposito siamo stati co-finanziati dalla UE, nell’ambito di un progetto coordinato dal Cifa, e sto personalmente gestendo un percorso di coinvolgimento di una classe di un liceo di Torino con l’obiettivo di “trasformare” studenti e studentesse in giovani giornalisti ed esploratori.  

Cosa pensi che succederà quando tornerete in Italia?

Il rientro è fissato per fine gennaio e sarà una bella scommessa. Ci sarà tutta la parte di elaborazione del materiale e poi valuteremo una serie di cose. Personalmente continuerò con le mie attività di consulente e docente, e ho tutta una serie di progetti a cui sto lavorando e che potrebbero nascere il prossimo anno. Ma stiamo anche pensando di organizzare un’altra spedizione in Europa o in Africa. C’è poi la questione dottorato, a cui penso da un po’, e che vorrei collegare al progetto We Are Nature Expedition. 

Credo, infatti, che in Italia oggi ci sia un enorme bisogno di occuparsi di alcuni temi, come quello della coesistenza con le altre specie – un esempio molto attuale è quello che riguarda orsi e lupi – e temo che quest’anno avremo un’estate in cui si parlerà molto della presenza degli squali. Sto pensando di approfondire questo argomento per portarlo alla ribalta.

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