7 Ott 2022

Decreto risparmi, tetto al prezzo del gas e taglio al greggio – #595

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Cosa prevede il decreto taglia consumi approvato ieri dal governo? E come mai ci sono di nuovo timori di restare senza gas questo inverno? Intanto l’Europa sembra aver ripreso in considerazione l’ipotesi di un tetto al prezzo del gas, mentre l’Opec taglia la produzione di greggio, facendo infuriare Biden. Infine parliamo delle elezioni in Bosnia e della situazione – un po’ caotica – che ne è seguita.

ARRIVATO IL DECRETO TAGLIA CONSUMI

È arrivato il tanto atteso e preannunciato decreto taglia consumi, a firma del Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani, e oggi tanti giornali cartacei aprono proprio con questa notizia. Vediamo come al solito che cosa prevede e poi commentiamo. 

In realtà ricalca abbastanza fedelmente il piano pubblicato a inizio settembre dallo stesso Mite, pieno di errori marchiani e inesattezze, che già avevamo commentato ai tempi, e di cui questo decreto rende attuativo un pezzetto, quello relativo ai consumi di gas degli edifici. Il primo fatto è che il periodo di accensione degli impianti è ridotto di un’ora al giorno e che il periodo di funzionamento della stagione è accorciato di 15 giorni, posticipando di 8 giorni la data di inizio e anticipando di 7 la data di fine esercizio. Non ci sono delle date precise per tutto il territorio nazionale perché queste dipendono dalle sei zone in cui è diviso il nostro territorio a seconda delle fasce climatiche.

Il decreto garantisce comunque una forma di flessibilità ai Comuni. Si legge: “In presenza di situazioni climatiche particolarmente severe, le autorità comunali, con proprio provvedimento motivato, possono autorizzare l’accensione degli impianti termici alimentati a gas anche al di fuori dei periodi indicati dal decreto, purché per una durata giornaliera ridotta”.

Inoltre ci sono delle esenzioni per quanto riguarda le strutture coinvolte. Il provvedimento non si applica a luoghi di cura, scuole materne e asili nido, piscine, saune e assimilabili, agli edifici adibiti ad attività industriali, artigianali e simili per i quali le autorità comunali abbiano già concesso deroghe ai limiti di temperatura dell’aria, oltre che agli edifici che sono dotati di impianti alimentati prevalentemente a energie rinnovabili”.

Per quel che riguarda la temperatura, il decreto prevede la riduzione di un grado rispetto alle norme attualmente vigenti. I valori di riferimento erano 18 gradi (con 2 di tolleranza) per le attività industriali e artigianali e 20 gradi (sempre con 2 di tolleranza) per gli altri edifici. Si scende quindi a 17 e 19 gradi. Poi c’è questa cosa dei due gradi di tolleranza, questa sì abbastanza tipicamente italiana, che è abbastanza incomprensibile. Ovvero il fatto che le leggi prevedano che si possano sforare i limiti che esse stesse impongono. Cioè, ti dico che la temperatura massima che puoi avere in casa è di 19 gradi, ma se fai 21 va bene uguale eh.

Comunque, il Mite stima i possibili risparmi in termini di metri cubi di gas consumati in 2,7 miliardi.

Questo decreto fra l’altro arriva in un momento piuttosto complicato, in cui nessuno sembra sapere esattamente cosa sta succedendo con il gas, se ne abbiamo o non ne abbiamo a sufficienza, se ci basterà per l’inverno oppure no e così via. Fino alla settimana scorsa Coingolani rassicurava tutti sul fatto che abbiamo gas a sufficienza per superare l’inverno, magari lo pagheremo molto, a c’è. poi tre giorni fa, quando improvvisamente si è fermato completamente il flusso di gas che arriva dalla Russia in Italia attraverso il gasdotto del Tarvisio, in molti hanno iniziato a sollevare nuovamente dubbi a riguardo. 

Ora il flusso è ripreso, e l’arcano è stato svelato: l’arcano è che c’era stata una diatriba, tenuta nascosta, fra Russia e Austria sul metodo di pagamento del gas e la Russia aveva interrotto i flussi per quella ragione. Comunque fatto sta che la questione di quanto gas avremo a disposizione per l’inverno resta abbastanza un mistero. 

Ah, se vi state chiedendo come fa ad arrivare il gas russo dopo l’esplosione di Nord Stream… andatevi a cercare su google mappa gasdotti Europa e vedete che, ecco, non c’è solo Nord Stream.

PRICE CAP SUL GAS, L’EUROPA CI RIPENSA?

In mezzo a questo gran casino la commissione europea sembra aver assunto una posizione più morbida sull’eventualità di imporre un tetto europe al prezzo del gas, il cosiddetto price cap. È stata la stessa presidente della commissione Ursula Von Der Leyen a fare una proposta, che in realtà prevede persino due tetti.

Questo perché il prezzo altissimo del gas comporta due distinti problemi. Un primo problema è il fatto, banalmente, che il gas costa tanto. Il secondo problema è che essendo l’elettricità legata al prezzo del gas (per un meccanismo che fa sì che, anche se l’elettricità prodotta col gas è una percentuale abbastanza marginale, il prezzo viene fatto sulla base della fonte di elettricità più cara in un determinato momento) anche l’elettricità costa tantissimo.

Quindi si interverrebbe separatamente con due misure. Da una parte si introdurrebbe un primo tetto massimo al prezzo del gas utilizzato per la produzione di energia elettrica” con l’obiettivo di “ridurre i prezzi” dell’elettricità. Questo in vista “di una riforma strutturale del mercato” che vada finalmente a sganciare il costo dell’elettricità dal gas stesso (riforma che sarà presentata secondo la stessa Von Der leyen entro la fine dell’anno).

Dall’altra si introdurrebbe anche un tetto al TTF, il controverso mercato olandese, molto piccolo e volatile, che attualmente determina il prezzo del gas in tutta Europa. Anche qui si tratterebbe di una misura tampone momentanea in vista di una riforma pi+ strutturale che affranchi il prezzo del gas dal mercato azionario olandese. Anche in questo caso “la Commissione ha avviato i lavori su un indice dei prezzi dell’Ue complementare per riflettere meglio la realtà energetica europea di oggi e garantire un mercato più funzionante che favorisca prezzi più bassi”. 

Insomma, tutto bene, a parte che continuo a notare un preoccupante scollamento dalla realtà nella misura in cui nessuno parla di emanciparsi dal gas e da tutti gli altri combustibili fossili. Non c’è mai un “momentaneamente” o un “in attesa di smettere di utilizzare il gas” in questi discorsi. Niente che faccia pensare ad un più ampio respiro. Capisco l’emergenza, capisco la crisi, ma dobbiamo iniziare a mettere un po’ più di “e” nei nostri discorsi, altrimenti c’è una crisi ben più grande che ci aspetta. Dobbiamo sopravvivere e non morire di freddo nell’immediato, ed evitare di peggiorare la crisi climatica, e smettere di bruciare qualsiasi cosa. 

L’OPEC ABBASSA LA PRODUZIONE DI PETROLIO

A proposito di scollamento dalla realtà ecco un’altra notizia interessante a un’altra notizia interessante. Quasi tutti i giornali presentano con parole tragiche la decisione dell’Opec di diminuire la produzione di petrolio. L’Opec è l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio, un’organizzazione che include 13 paesi fra i principali produttori di petrolio al mondo e che era nata per contrastare quello che allora (parliamo della fine degli anni Cinquanta) era il predominio assoluto delle compagnie petrolifere, le famose sette sorelle, che lasciavano le briciole agli stati dove estraevano. 

L’Opec negli anni è diventato un cartello potentissimo e adesso decide con una certa autonomia quanto petrolio estrarre e a che prezzo venderlo. Premesso ciò, vi dico brevemente la notizia, con le parole di Mauro Del Corno sul Fatto Quotidiano: “L’ Opec+ (versione allargata dell’Opec) ha deciso di tagliare la produzione di petrolio di 2 milioni di barili al giorno (il consumo medio quotidiano globale è di circa 100 milioni di barili, ndr). La sforbiciata è stata voluta dal più importante membro del cartello e primo esportatore al mondo, l’Arabia Saudita, che spera in questo modo di spingere al rialzo le quotazioni, dopo il calo di circa il 20% accusato negli ultimi 3 mesi. 

A favore del taglio alla produzione si erano espressi anche gli Emirati Arabi Uniti e la Russia. Si tratta della riduzione più forte dal 2020. La mossa è destinata a inasprire i rapporti di Riyad con gli Stati Uniti e l’Europa. Biden ha commentato molto infastidito: “non era necessario”. 

Su questo fatto molti giornali hanno costruito storie drammatiche sul voltafaccia dell’Arabia Saudita agli Stati Uniti, nonostante la visita di Biden, e sul dramma che questo taglio comporterà. Ora, giusto per capirci, i motivi dell’enfasi sono semplici: a) meno petrolio in circolazione significa un prezzo più alto del petrolio e dei suoi lavorati (benzina, ecc). b) Soprattutto, un petrolio più caro significa arricchire di più la Russia e la sua macchian da guerra e questo vanifica buona parte delle sanzioni, perché fa sì che anche vendendo meno petrolio, l’economia russa si arricchisca ugualmente, o persino di più.

Quest’ultima era anche la ragione per cui Biden aveva girato mezzo mondo per convincere i principali produttori a inondare il mercato di petrolio, in modo da far crollare il prezzo e quindi affossare l’economia russa.

Ora, tutto chiaro, tutto comprensibile. Ma. Non possiamo permetterci – proprio no – di fare la guerra alla Russia estraendo più petrolio. Perché è un ragionamento autodistruttivo. Forse farò un paragone improprio, ma non è poi così diverso dall’utilizzo delle armi nucleari. Vogliamo così tanto far male all’avversario che poco importa se facciamo male a tutto il mondo, noi inclusi. Il petrolio dobbiamo smettere di estrarlo, di lavorarlo, di bruciarlo. Dobbiamo farlo ieri. Non c’è ragionamento geopolitico che tenga. Dovrebbe essere la premessa di qualsiasi azione. Quindi ben venga se l’Opec, anche per ragioni che non c’entrano nulla con il clima, decide che vuole estrarre meno petrolio. 

COME SONO ANDATE LE ELEZIONI IN BOSNIA-ERZEGOVINA?

Ci sono state le elezioni in Bosnia Erzegovina. Prima cosa: nella puntata di martedì dicevo che le elezioni sarebbero state domenica, cosa vera, ma col tempo verbale sbagliato. Erano già state domenica. Scusate per il refuso.

Comunque guardiamo un po’ come sono andate e più in generale approfittiamone per dare uno sguardo alla situazione della Bosnia Erzegovina, a quasi trent’anni dalla fine del conflitto, sempre nell’ottica di portare l’attenzione anche su luoghi e paesi che raramente occupano le prime pagine dei nostri giornali.

Partiamo dalla fine, dalle elezioni di domenica. La notizia è che per la prima volta la Bosnia-Erzegovina ha due presidenti su tre che non appartengono a dei partiti etno-nazionalisti. In che senso due presidenti su tre? Nel senso che sì, la Bosnia Erzegovina ha tre presidenti, per garantire rappresentanza ai tre principali gruppi etnici del paese.

Questo sistema istituzionale, molto complicato, è frutto dell’accordo di Dayton, che nel 1995 mise fine alla guerra più sanguinosa per l’Europa dopo la seconda guerra mondiale ovvero quella che seguì la fine della Jugoslavia e che vide combattersi i tre gruppi etnici del paese, con il coinvolgimento della Croazia e soprattutto della Serbia, responsabile dei più gravi episodi di pulizia etnica, violenze e stupri.

Gli accordi di Dayton prevedono la divisione del paese in due entità, la Federazione di Bosnia ed Erzegovina e la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina. A livello istituzionale succede che la Federazione esprime due membri della presidenza tripartita – uno che rappresenta l’etnia dei bosgnacchi, in prevalenza musulmani, e l’altro che rappresenta i bosniaci croati, in prevalenza cattolici – mentre la Repubblica Serba esprime il terzo membro, che rappresenta i bosniaci serbi, in prevalenza ortodossi. Oltre a ciò ci sono tutta una serie di parlamenti locali – sono 12 in totale – e in più c’è un alto rappresentante per la Bosnia ed Erzegovina che è una figura esterna, in genere proveniente da un paese europeo, e un suo vice in genere statunitense, che vigilano sull’attuazione e il rispetto degli accordi di Dayton.

Si capisce che è un sistema molto ingessato, che ha reso il paese difficile da governare per tutti questi anni, e che adesso sembra sempre più fragile. Come dicevamo infatti per la prima volta due presidenti su tre sono moderati e non nazionalisti. parliamo del posto bosgnacco della presidenza, vinto da Denis Bećirović del Partito socialdemocratico (SDP), di centrosinistra e moderato, che sostiene un approccio meno etnocentrico alla politica nazionale, che ha interrotto un dominio di quasi trent’anni del partito nazionalista bosgnacco, e del seggio dei croati bosniaci, vinto dal presidente uscente Željko Komšić, centrista, pur fra molte contestazioni. Perché, come si può immaginare, è difficile determinare a monte chi ha il diritto di votare chi, all’interno di un unico paese, e quindi molti croati bosniaci sostengono che in realtà il candidato che spetterebbe a loro sia stato eletto con i voti dei bosgnacchi.

Il terzo seggio della presidenza (quello assegnato alla Repubblica Serba e che rappresenta i bosniaci serbi), è invece andato a Željka Cvijanovic, candidata del più forte partito nazionalista serbo, l’Alleanza dei socialdemocratici indipendenti (SNSD), secessionista e fermamente filo-russo. 

Le attuali elezioni erano considerate particolarmente importanti perché – spiega il Post – negli ultimi due anni le spinte nazionaliste e separatiste in Bosnia hanno raggiunto livelli inediti, principalmente a causa del presidente che ha rappresentato i serbi negli ultimi anni, Milorad Dodik, e del suo partito SNSD, molto vicino e sostenuto apertamente da Vladimir Putin.

Dodik a sorpresa non si è ripresentato per il seggio serbo della presidenza tripartita, ma è stato eletto come presidente della entità serba. In tutto questo casino, in cui come potrete immaginare svolgono un peso anche le tensioni internazionali, visto che le diverse rappresentanze sono appoggiate da diversi paesi, Russia, Stati Uniti, Ue. 

In tutto questo casino, a complicare ulteriormente le cose, ci si è messo proprio l’Alto Rappresentante per la Bosnia ed Erzegovina, che al momento è il tedesco Christian Schmidt, che all’indomani delle elezioni, mentre era ancora in corso lo spoglio dei voti, ha annunciato un cambiamento nella legge elettorale e imposto modifiche costituzionali a una delle due entità. Il che, se da un lato rientra nei suoi poteri, dall’altro è stato letto come un’ingerenza eccessiva e un disconoscimento della sovranità del paese.   

«L’imposizione delle modifiche alla legge elettorale e alla costituzione da parte dell’Alto rappresentante è un atto ingiusto e autoritario. Un’ombra sulla festa democratica che hanno rappresentato le elezioni di domenica», afferma Adnan Ćerimagić, senior analyst all’European Stability Initiative sul manifesto.

Anche ISPI online, il sito di geopolitica critica aspramente questa modifica, che secondo molti cerca di accontentare i croati bosniaci che si sentono sottorappresentati nell’attuale sistema, ma che al di là del merito risulta, anche per le tempistiche, abbastanza inopportuna. 

Tutto ciò, fra l’altro, avviene in un contesto di collettiva disaffezione dalla vita politica del paese, perlomeno partitica, con solo il 50% degli aventi diritto che ha votato e l’alktro 50% che si è astenuto, una percentuale molto bassa anche per un paese che tradizionalmente non ha affluenze altissime. 

Che succede adesso? Vi leggo qualche riflessione di Giorgio Fruscione sul sito di Geopolitica Ispi online. “Se il record di due presidenti civici su tre si può leggere come un castigo elettorale contro i nazionalismi, dall’altro lato questi resteranno dominanti in tutti i livelli inferiori dello stato bosniaco. In particolare, c’è da aspettarsi che Cvijanovic segua le orme del suo predecessore Dodik e continui il boicottaggio con cui vuole riportare a livello dell’entità alcune della già poche prerogative chiave delle istituzioni centrali. 

Per la Bosnia-Erzegovina, il filorussismo di metà del suo territorio sarà quindi un ulteriore elemento di instabilità sia interna che regionale. E se nell’altra metà i rapporti tra leader bosgnacchi e croati sono stati compromessi per la disputa sulla riforma elettorale con l’intercessione univoca dell’Alto rappresentante, il quadro che ne esce è quello di un paese che al netto di sussulti dei suoi rappresentanti più riformisti, rimane ancora ostaggio di un sistema che si autoalimenta con le proprie divisioni interne”.

FONTI E ARTICOLI

#decreto risparmi
la Repubblica – Riscaldamenti, ecco il decreto Mite per tagliare i consumi: un grado e quindici giorni in meno di accensione dei termosifoni

#tetto prezzo del gas
Ansa – Von der Leyen: ‘Pronti a price cap sul gas per l’elettricità’
Open – Gazprom riapre i rubinetti: torna il gas russo dal metanodotto del Tarvisio

#petrolio
il Fatto Quotidiano – Opec e Russia decidono taglio di due milioni di barili alla produzione del petrolio. Usa: “Organizzazione è allineata con Mosca”

#Bosnia
il Post – I riformisti hanno vinto due seggi su tre alla presidenza della Bosnia
Domani – La Bosnia vuole cambiare ma è finita in trappola
il manifesto – Elezioni in Bosnia-Erzegovina, si stempera il nazionalismo
ISPI – Bosnia: il sussulto dei riformisti e l’imboscata dell’Alto rappresentante

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