22 Feb 2024

Il governo sui voti a scuola? “Gravemente insufficiente” – #883

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Il governo vuole reintrodurre il sistema basato sui voti alle elementari, senza nemmeno aver valutato i risultati del sistema attuale, ancora piuttosto nuovo, basato sui livelli. Come mai? Parliamo anche dei problemi della sanità in tre paesi diversi, Italia, Regno Unito e Corea del Sud, del veto Usa sul cessate il fuoco a gaza e delle proteste degli agricoltori polacchi contro le importazioni di grano dall’Ucraina, prima di chiudere con la consueta rubrica la giornata di ICC. 

La notizia era nell’aria da diverse settimane, ma sta man mano prendendo corpo e forma. Il governo sembra proprio intenzionato a reintrodurre nelle scuole primarie o scuole elementari il sistema di voti che risale agli anni Settanta basato su giudizi come insufficiente, sufficiente, discreto, buono, ottimo. la notizia sta facendo molto discutere, sia perché ci sono diversi dubbi sul fatto che sia un sistema buono per i bambini/e, sia perché nel frattempo sono stati investiti milioni di euro e migliaia di ore di formazione per i docenti in nuovi metodi che vengono così accantonati senza nemmeno uno studio di valutazione. Ma ci arriviamo.

Partiamo come al solito dai fatti. Così raccontano le novità Gianna Fregonara e Orsola Riva sul Corriere: 

“Scuola elementare, indietro tutta. Dopo appena tre anni dall’ultima riforma, il governo ha deciso di tornare all’antico. Non ai voti in pagella, come pure era stato vagheggiato nei mesi scorsi, ma ai cosiddetti «giudizi sintetici»: insufficiente, sufficiente, discreto, buono e ottimo, che avevano fatto la loro comparsa nelle pagelle alla fine degli anni Settanta per essere poi sostituiti dai voti, dalle lettere (brevissimamente) e dai nuovi livelli «in via di apprendimento», «base», «intermedio», «avanzato», che oggi sono sotto accusa.

Queste novità sono previste da un emendamento al disegno di legge che inasprisce le norme sulla condotta in discussione al Senato presentato qualche giorno fa dal governo, e sulla cui approvazione sembrano esserci pochi dubbi.

Ma quali sono le motivazioni di questa scelta? Lo ha spiegato il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara che ha dichiarato: «Abbiamo deciso di tornare, dal prossimo anno scolastico, a formule comprensibili al posto di quelle astruse introdotte di recente. Come fa un genitore o un bambino a capire che “in via di prima acquisizione” vuol dire insufficiente? È una questione di chiarezza». E aggiunge: «Stiamo valutando se sia utile aggiungere la possibilità di mettere gravemente insufficiente». 

Questa riforma ha radici che risalgono a qualche anno fa, ovvero all’approvazione della riforma precedente, voluta e approvata dal Governo Conte 2, nel 2020, che appunto sostituiva i voti con i livelli di apprendimento. L’idea alla base era quella di sostituire un giudizio che poteva suonare granitico, sulle qualità dello studente, con l’idea di un percorso in cui ciascuno si posiziona su un livello diverso. 

Già ai tempi Salvini, fresco di siluramento dal precedente governo, non aveva mancato di far presente il suo disappunto in una diretta TikTok aveva detto: «Ho visto la pagella di mia figlia, quinta elementare. Per interpretarla e capirla ci vuole la laurea».

Insomma, la motivazione addotta dal Governo sarebbe la necessità di immediatezza. E in effetti ci sono a detta degli stessi insegnanti e genitori delle lacune nell’attuale sistema di valutazione. Che non ha il pregio dell’immediatezza: non tanto per i quattro livelli di apprendimento quanto per i lunghi e articolati giudizi descrittivi che risentivano di un linguaggio burocratico e standardizzato.

Esempio: «L’alunno/a acquisisce in modo “prolungato, attivo, efficace” un comportamento di ascolto attento e partecipativo». O all’opposto: «L’alunno/a acquisisce, ascolta in modo “discontinuo o per tempi brevi”».

Ma: ci sono diversi ma. Innanzitutto, come notano le autrici dell’articolo, “Formule queste che dovrebbero rimanere, secondo quanto sostengono al ministero”. Quindi scomparirebbe il sistema dei livelli, che è molto chiaro e immediato, mentre restano le formule burocratiche e poco comprensibili.

Poi (e questo è l’aspetto a mio avviso più grave): “non è stata condotta alcuna verifica scientifica sulla validità o meno del sistema dei livelli di apprendimento”. Cioè, si boccia una riforma senza verificare che effetti abbia avuto, se stava funzionando bene o male, se poteva essere migliorata. E ancora, senza considerare che nel frattempo gli insegnanti si erano rimboccati le maniche per apprendere le nuove modalità: 160 mila maestre/i coinvolte in webinar sulla nuova valutazione, 8.000 referenti per la valutazione in tutte le regioni e poi incontri e centinaia di pagine di pubblicazioni. 

Insomma, dopo ore ed ore e milioni di euro investiti nelle nuove modalità, il governo decide per un testacoda senza nemmeno fare una valutazione.

Come mai, verrebbe da chiedersi, un comportamento così irrazionale? La risposta credo che sia in realtà abbastanza semplice. Ovvero che per la destra, la questione dei voti non è una questione pratica, ma ideologica. Quindi non è importante capire se una cosa apporta benefici o no, se funziona o no, perché il giudizio ideologico non è basato sull’osservazione della realtà ma sull’ìaderenza a un set di valori predefinito. 

Nella visione educativa della destra di governo, soprattutto della Lega, il giudizio è giusto. Punto. Poco importa se un sacco di studi mostrano come il giudizio (soprattutto se negativo) possa diventare un pesante fardello per l’autostima e l’apprendimento di molti studenti. Poco importa vedere se il sistema attuale stava funzionando oppure no. Il voto è giusto e quindi va ripristinato, perché si è sempre fatto così, perché ci dà l’idea di un mondo ordinato dove ogni cosa ha una casella ed è facile da etichettare ed è il tipo di mondo che ha in mente questo governo.

Io però a questo punto uno sfizio me lo tolgo. La riforma del sistema di giudizio? Bè, manca uno studio approfondito, mancano le basi scientifiche, non posso che dargli un bell’insufficiente.  

Dall’istruzione, passiamo a parlare di un altro temino da nulla: la sanità. In particolare degli infermieri stranieri e di uno scandalo scoppiato nel Regno Unito ma che potrebbe riguardare anche l’Italia.

In Italia, gli addetti ai lavori lamentano da anni una carenza di personale infermieristico nelle strutture sanitarie, che paradossalmente è persino peggiorata dopo il covid. Il fatto è che anche se ci fosse la volontà di aumentare il personale (c’è? io non l’ho capito, perché a parole tutti i governi ce l’hanno, poi nei fatti pare di no), c’è il problema che non è che gli infermieri li formi in 10 minuti. Servono anni, e nel frattempo la carenza continua ad aggravarsi.

Perciò, l’unica soluzione immediata per tamponare la situazione è far venire personale dall’estero. Spesso da paesi extraeuropei. Alcune regioni, come l’Emilia Romagna e il Trentino, lo stanno facendo già da anni. La regione Lombardia ha stretto diversi accordi con l’India o paesi dell’America Latina.

Ed è probabile che la stessa direzione venga presa a livello nazionale. Qualche giorno il ministro della salute Schillaci ha ammesso apertamente che, al momento, non c’è altra soluzione, per sanare la cronica carenza di personale, che affidarsi ai professionisti stranieri provenienti da Paesi con cui stiamo chiudendo accordi da tempo. 

Ora, uno potrebbe dire: “chisseneimporta!” l’importante è che siano bravi. Ecco, il punto è proprio questo. Nelle scorse settimane è scoppiato uno scandalo nel Regno Unito, che ha le nostre stesse problematiche endemiche e che aveva rimediato facendo venire centinaia e centinaia di infermiere e ostetriche nigeriane. Solo che è emerso chje molte di loro, in mancanza di requisiti, avrebbero falsificato il risultato dell’esame di idoneità per equiparare il proprio titolo di studio a quello del paese di destinazione, e quindi avere la possibilità di emigrare. Una dinamica che potremmo vedere in atto, o forse è già in atto, anche nel nostro Paese.

Come riporta AgenPress “E’ doveroso soffermarci, come sempre per il bene della salute dei pazienti, sui criteri di controllo dei titoli di studio dei professionisti stranieri extracomunitari che vengono reclutati , in Italia, per “tappare le falle” del nostro personale”. 

Già oggi I dati rivelano un aumento significativo del numero di infermieri stranieri in Italia negli ultimi dieci anni, con una crescita del 10,4%, raggiungendo un totale di 22.232 professionisti, che rappresentano il 5% del personale infermieristico nel paese. La maggior parte di questi infermieri proviene dall’Europa orientale, ma vi sono anche significative presenze da India e Perù.

Questi scandali comunque, sono solo la scorza superficiale di un problema più profondo, strutturale, del nostro sistema sanitario (e non solo del nostro) vittima di anni e anni di tagli alla spesa pubblica e che subisce una fortissima concorrenza da parte del sistema privato, con cortocircuiti sempre più evidenti.

Un altro sistema sanitario in crisi è quello sudcoreano. La notizia di questi giorni è di un enorme sciopero dei medici che sta mettendo in ginocchio il paese, ritardando operazioni urgenti e portando il sistema vicino al collasso. Il motivo? Sembrerà assurdo, ma è la decisione del governo di aumentare il numero chiuso nelle università, quindi aumentare il numero di medici nel paese. 

Leggo dal Post: “Da giorni medici e tirocinanti della Corea del Sud stanno protestando contro il piano del governo per aumentare i posti disponibili nelle facoltà di medicina e rispondere così alla carenza di personale, un problema particolarmente rilevante soprattutto in alcune aree del paese. Tra lunedì e martedì, nonostante un ordine contrario del governo, più di 1.600 professionisti sanitari hanno organizzato uno sciopero assentandosi dal lavoro e circa 6.400 tirocinanti, impiegati nei cinque principali ospedali del paese, hanno presentato in massa le loro dimissioni”.

Il governo vuole portare i posti disponibili nelle facoltà di medicina dagli attuali 3mila a circa 5mila a partire dal prossimo anno accademico, e continuare ad aumentare gradualmente le ammissioni fino al 2035.

Il sistema sanitario della Corea del Sud è sostanzialmente privato e i medici che lavorano nel pubblico risultano ben pagati: secondo i dati del 2022 un medico impiegato in un ospedale pubblico riceve il corrispettivo di quasi 200mila dollari all’anno, uno stipendio di gran lunga superiore, dice BBC, alla retribuzione media nazionale. Nel 2022 la Corea del Sud aveva 52 milioni di abitanti ma solo 2,6 medici attivi ogni mille persone, un dato al di sotto della media di 3,7 dei paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE). In Italia i medici ogni mille abitanti sono 4.

Se la quota di medici non verrà aumentata si prevede che entro il 2035 il paese avrà circa 10mila medici in meno del necessario. Aumentando le ammissioni nelle facoltà di medicina il governo vuole quindi risolvere, o perlomeno migliorare, il problema della carenza di personale nelle aree più periferiche del paese e nei settori essenziali dell’assistenza sanitaria, una situazione aggravata anche dall’invecchiamento della popolazione.

E quindi qual è il problema? Ecco.. il problema è che, come spiega un esperto dell’Università di Seul, «Più medici (in un sistema privatizzato basato sulla concorrenza, aggiungo io) significa più concorrenza e riduzione del reddito, ecco perché i medici sono contrari alla proposta di aumentare l’offerta».

Lo sciopero dei medici, peraltro, non è una novità per il paese. L’ultimo si è verificato nel 2020 e sempre per le stesse motivazioni, cioè contro l’aumento dei posti disponibili nelle facoltà di medicina. Allora, lo sciopero si era concluso con il ritiro del piano da parte del governo a causa della preoccupazione per l’impatto delle proteste sulle prestazioni mediche durante la pandemia di Covid-19. Stavolta sembra intenzionato a proseguire.

Racconta Limes che “Per la terza volta, Gli Stati Uniti hanno posto il veto sulla risoluzione presentata dall’Algeria al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per un cessate-il-fuoco permanente nella Striscia di Gaza. Washington ha motivato l’affossamento dell’iniziativa algerina con il rischio dell’interruzione dei negoziati per il rilascio degli ostaggi. .

Intanto, il voto nel consiglio di 15 membri è stato di 13-1, con il Regno Unito che si è astenuto, e appunto gli Usa che hanno messo il veto. Tutti gli altri erano a favore del cessate il fuoco immediato, il che, come commenta Al Jazeera, “riflette il forte sostegno da parte dei paesi di tutto il mondo per porre fine al devastante conflitto che ha ucciso più di 29.000 palestinesi”.

La cosa ha sollevato forti reazione da parte di molti leader politici mondiali. E non parlo solo di Cina e Russia ma anche di Francia, Norvegia, Arabia Saudita, Qatar.

Nel frattempo, nel governo israeliano, va in onda uno scontro sulla questione ostaggi, tra massimi esponenti del gabinetto di guerra di Binyamin Netanyahu. Il ministro delle Finanze e leader del Partito sionista religioso Bezalel Smotrich ha affermato in una trasmissione radiofonica che la liberazione degli ostaggi “non è la massima priorità” e che “Hamas deve essere distrutta!”. Una affermazione che arrivando da parte di un ministro del governo ha suscitato indignazione nel paese e un grosso dibattito anche nel governo stesso.

Restiamo in tema geopolitica, ma cambiamo notizia. E andiamo precisamente in quel punto dell’agenda setting in cui due notizie che hanno tenuto banco nell’ultimo periodo si incontrano, tipo in un episodio crossover di una serie tv. Le notizie sono il conflitto in Ucraina e le proteste degli agricoltori.

In Polonia sono ricominciate le proteste degli agricoltori, che lamentano soprattutto una concorrenza considerata sleale da parte dei colleghi ucraini che a detta loro inondano il mercato europeo con derrate alimentari di scarsa qualità, a prezzi ribassati ed esentasse. 

Una situazione che mette in forte sofferenza il comparto agricolo del paese baltico ( ma anche di molte altre nazioni dell’Europa occidentale). File di trattori hanno bloccato circa 200 snodi stradali e diverse arterie al confine tra Polonia e Ucraina, creando non solo un impatto visivo ma anche economico significativo. Alcuni manifestanti hanno quindi bloccato i valichi di frontiera con il paese invaso dalla Russia e rovesciato il grano ucraino sui binari. Un gesto forte, che ha provocato reazioni politiche altrettanto forti in Ucraina. 

Queste proteste non sono un fenomeno nuovo, ma hanno guadagnato intensità nelle ultime settimane. Il cuore della questione per gli agricoltori polacchi è l’impatto delle importazioni a basso costo dall’Ucraina sul mercato polacco, che ha portato a un surplus e a una conseguente riduzione dei prezzi dei prodotti locali, erodendo il tenore di vita dei produttori.  Gli agricoltori chiedono quindi di bloccare le importazioni di grano e cereali ucraini e estendere il divieto ad altri prodotti come frutta, uova, e carne.

Il cuore della vicenda è che dopo l’invasione russa dell’Ucraina, l’Ue ha deciso, per aiutare l’economia ucraina, di eliminare i dazi sull’importazione di vari prodotti, inclusi quelli agricoli, per sostenere il paese in guerra. Tuttavia, questa misura si è rivelata difficile da sostenere per l’economia di diversi paesi e ha avuto un impatto molto alto sui produttori locali soprattutto in alcuni paesi dell’Europa orientale, compresa la Polonia. Il che ha fatto tornare l’Unione sui suoi passi e ha portato all’introduzione di divieti temporanei su alcune importazioni agricole dall’Ucraina. Nonostante queste misure, il problema persiste, con cereali destinati ad altri paesi europei che restano in Polonia, abbassando i prezzi dei prodotti locali.

In questa situazione il nuovo governo polacco, sotto la guida del primo ministro Donald Tusk, cerca un compromesso che possa proteggere gli interessi degli agricoltori locali senza compromettere gli sforzi dell’Ucraina. L’Unione Europea, a sua volta, sta considerando l’introduzione di un “meccanismo di tutela” per reintrodurre dazi qualora l’eccesso di prodotti ucraini possa destabilizzare i mercati europei.

Insomma, come si può osservare ormai abbastanza chiaramente, il mercato alimentare globale mostra delle enormi lacune ogni volta che, per vari motivi, sia la pandemia, sia la guerra in Europa, i confini delle nazioni tornano a chiudersi, e allora si rischia di restare senza cibo, o al contrario di dover introdurre distorsioni che poi a loro volta producono effetti a catena imprevedibili.

È chiaro che è difficile tenere assieme interessi economici, politici e sociali, e bilanciare solidarietà, autonomia economica e sicurezza geopolitica. Però, ecco, penso che potremmo iniziare a semplificare rilocalizzando il più possibile la produzione alimentare, senza escludere solidarietà e commercio, quando necessario.

Eccoci alla consueta rubrica in cui raccontiamo gli articoli più interessanti usciti oggi sul nostro giornale. Oggi il direttore Daniel Tarozzi ci presenta la nuova puntata di “Padre Mio”.

Audio disponibile nel video / podcast

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