30 Ago 2019

Quando un borgo in abbandono è il posto giusto dove vivere

“Glori: the place to be” è il nome scelto per il progetto di rinascita e ripopolamento dell'antico borgo di Glori, in Liguria. Tra i tanti piccoli centri montani a rischio abbandono, questo borghetto tra le montagne ospita oggi un gruppo di persone che qui hanno scelto di vivere insieme e collaborare. L'obiettivo è ora quello di allargare questa comunità creando una rete sociale e riattivando l'economia locale.

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Imperia - Avvolto dai boschi e dagli uliveti delle Alpi Liguri, Glori sembrava fino a qualche anno fa l’ennesimo borghetto italiano destinato a svuotarsi. A dare il via ad una piccola ma importante controtendenza è stato Luca, ex abitante dell’associazione Basilico divenuta l’ecovillaggio Coricelli che, non appena visto il borgo, se n’è talmente innamorato da iniziare a viverci.

 

Se gli abitanti successivi sono arrivati in modo più casuale, Luca era fin dall’inizio mosso dal desiderio di ripopolare i borghi montani, di farli tornare a vivere e, come racconta Matteo, suo amico e abitante di Glori, “il destino lo ha premiato poco dopo con il passaggio di una prima coppia che, una volta avuto un figlio, ha deciso di fermarsi”. Molto spontaneamente, anche grazie alle relazioni intessute da Luca e al grande lavoro catastale svolto, nel borgo, già popolato da una ventina di autoctoni, si sono passo a passo aggiunti nuovi abitanti: una coppia proveniente dall’Olanda e stufa della vita in città, una coppia in viaggio fra un lavoro stagionale e l’altro, un ragazzo francese con un figlio piccolo…

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«Quando ci siamo ritrovati tutti qui, ci siamo resi conto che stavamo bene insieme. Avevamo interessi in comune, quindi abbiamo dato vita a varie attività e feste, mercatini del gratuito e dello scambio. Facciamo tante cose insieme, dovrò rifare il tetto di una cantina e gli uomini del paese verranno ad aiutarmi. E viceversa, anche per passaggi. Non abbiamo grandi mezzi pubblici qui in montagna, quindi abbiamo fatto un gruppo su whatsapp e ci diamo una mano. Sono nate cose di questo tipo, semplice collaborazione umana per noi. Non abbiamo avuto grande ambizione. È nato tutto in modo poco strutturato», racconta Matteo.

 

Spinti dal voler vivere bene e collaborare, complice la tosta vita di montagna, gli abitanti di Glori si dedicano a varie professioni e attività. Alcuni degli autoctoni fanno da pendolari da Sanremo, la città più vicina, mentre altri sono pensionati che continuano a dedicarsi all’agricoltura. Nella zona ci sono migliaia di olivi, da cui un po’ tutti traggono i propri frutti in maniera professionale o sporadica. Elisa è artigiana, e valorizza l’olio d’oliva traendone vari prodotti per il corpo. Due ragazzi hanno un’azienda agricola e fanno officinali. Uno di loro è specializzato negli oli essenziali, mentre l’altro fa orticoltura, in particolare di fagioli e zafferano. Matteo e un altro ragazzo lavorano con la pietra, tirando su muri a secco, e hanno un piccolo forno in cui producono una volta a settimana del pane che consegnano a gruppi d’acquisto o vendono direttamente.

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Per alcuni degli abitanti di Glori le prospettive per il futuro iniziano ad assumere connotazioni più intenzionali. «Molti borghi sono mezzi disabitati anche perché negli anni ottanta sono arrivati ricchi stranieri con la volontà di farsi una seconda casa per l’estate. A noi piacerebbe trovare persone che abbiano voglia di venire a vivere qui stabilmente così da avere come vicini di casa non miliardari ma giovani coppie con cui riuscire ad attivare delle micro economie locali.

 

Ci sono in vendita tantissime case e ruderi in regalo. Noi possiamo fornire un aiuto catastale, immobiliare e, una volta che le persone sono qui, collaborare. Già ora inserirsi è molto più facile, tante opere sono già state fatte. Abbiamo ripristinato dei sentieri per facilitare l’accesso agli uliveti. Chi arriva beneficia di ciò che abbiamo fatto in questi anni».

 

In seguito ad un appello fatto a maggio alcune persone sono passate per vedere Glori e chissà, magari qualcuno di loro verrà prima in affitto e, dopo aver valutato come si trova, deciderà se fermarsi. Una coppia di ragazzi milanesi si è già presa l’impegno di prendersi cura del bar da settembre: un grande contributo per il borgo, che non vedeva un’attività di questo tipo aperta quotidianamente da ben quattordici anni.

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«Noi avevamo il sogno della casetta in campagna, ma da soli è difficile e anche un po’ triste alla lunga. È anche una qualità di vita: una rete sociale stimolante crea un miglior vivere. Io sono nato in città. A me della città mancano due cose: poter vivere senza macchina e il panorama socioculturale. Poter avere conferenze e dibattiti, quello sicuramente mi manca. Essere in un luogo in cui non si parli solo di come vanno i pomodori quest’anno è bello».

 

Con questo sguardo sul futuro gli abitanti del borgo, vecchi e nuovi, mentre state leggendo stanno continuando a costruire la loro amicizia. D’estate vanno insieme al fiume e guardano crescere i propri figli. E si rallegrano quando vedono che i luoghi che prima erano abbandonati e coperti di rovi, ora sono diventati orti e uliveti puliti.

 

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