24 Gen 2022

Boschi in lockdown per la peste suina, ma ha davvero senso?

Scritto da: Valentina D'Amora

Il recente "lockdown boschivo" adottato per contenere l'espandersi della peste suina sta portando conseguenze estremamente gravi, se non fatali, per la filiera economica legata all'outdoor, di vitale importanza per le aree interne. Abbiamo raccolto diverse testimonianze per fare il punto della situazione a dieci giorni dall'ordinanza.

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Genova - Lo scorso 13 gennaio il ministro della Salute e il ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, per contrastare la diffusione della peste suina africana che ha colpito diversi esemplari di cinghiali, hanno individuato una zona che comprende 13 comuni della Liguria e 78 comuni del Piemonte, tra cui i territori della val Borbera e della val Curone, della val Lemme e dell’Alto Monferrato Ovadese.

In quest’area, per sei mesi, è stato stabilito un divieto assoluto non solo per l’attività venatoria, ma anche per “la raccolta dei funghi e dei tartufi, la pesca, il trekking, il mountain-biking e altre attività che, prevedendo l’interazione diretta o indiretta con i cinghiali infetti o potenzialmente infetti, comportino un rischio per la diffusione della malattia”.

LA PREOCCUPAZIONE PER IL SETTORE OUTDOOR

Oltre all’enorme danno per tutti gli operatori degli ambiti interessati dalle attività all’aperto, inclusi rifugi e strutture ricettive nell’area, questa ordinanza impedisce del tutto e per un periodo di tempo decisamente lungo la fruizione degli ambienti naturali all’intera popolazione che, soprattutto in questi tempi di pesanti restrizioni, trova proprio nella frequentazione dell’ambiente naturale una potente valvola sfogo ai disagi psico-fisici conseguenti a questa situazione.

Qual è allora il punto? «La peste suina non è pericolosa né per l’uomo né per altri animali domestici o selvatici. La criticità di questa forma epidemica non è dunque prioritariamente legata, come nel caso del Covid, a motivi di salute pubblica»,– sottolinea Giacomo D’Alessandro, il ragazzo genovese che ha ideato il Cammino dei Ribelli e autore di un comunicato congiunto di reti e associazioni, “Il divieto di andare nei boschi è inaccettabile”. «Deriva piuttosto dal rischio che il propagarsi della malattia comprometta in modo grave una importante filiera economica, quella suinicola».

cammino dei ribelli neve
Il Cammino dei Ribelli sotto la neve

Giacomo evidenzia però l’importanza vitale del frequentare la natura per gli esseri umani: «E non si parla di “sola” ricreazione, soprattutto in questo momento storico caratterizzato da restrizioni e obblighi che già gravano pesantemente sulle nostre vite. Passeggiare è efficace per salvaguardarsi dalla forte contagiosità della nuova variante Covid».

E poi, riferendosi soprattutto al territorio valborberino, aggiunge: «Molte persone vengono da fuori, soprattutto nei weekend, e scelgono la val Borbera e le valli appenniniche come destinazione ideale proprio perché sanno di poter trovare pace e tranquillità, autenticità ed elevata naturalità, utile anche per ritrovare benessere ed equilibrio». 

Anche Marco Bertolini, guida escursionistica genovese, esprime le sue forti perplessità sull’ordinanza: «Sono anni che si sa che il virus sarebbe arrivato in Italia. È presente in Sardegna da decenni e in altre zone d’Europa. Sono anni che si sa che la caccia in braccata non gestisce i cinghiali, ma è solo deleteria, così come sono anni che sappiamo che la crisi climatica porta a inverni miti che non incidono più sulle popolazioni di cinghiali. Cosa è stato fatto? Nulla. Con questa ordinanza tutte le categorie che rientrano nel turismo ambientale legato al trekking, ad attività educative per le scuole e all’outdoor, dopo due terribili anni di pandemia, vengono completamente dimenticate».

Nell’ordinanza c’è un’unica deroga, proprio per la caccia di selezione: «La caccia al cinghiale si fa in braccata – continua Bertolini che modifica la struttura delle popolazioni, comporta cambiamenti al ciclo riproduttivo favorendo la prolificità delle femmine, rischia di frammentare i gruppi familiari ed è per questo spesso controproducente rispetto all’obiettivo conclamato di ridurre il numero degli individui e i relativi danni. Favorisce, poi, una maggiore mobilità dei cinghiali verso aree meno disturbate come quelle più prossime ai centri urbani o zone agricole più antropizzate, dove aumenta il rischio di danni, di incidenti stradali e di diffusione di malattie portate dalla specie».

Il rischio, inotre, è che la battuta possa portare all’uccisione della matriarca lasciando soli e senza guida i piccoli sotto l’anno. È la femmina alpha che dà le indicazioni su ciò che deve fare un gruppo: se proprio lei viene a mancare i cinghiali giovani e le femmine del branco si ritrovano senza riferimenti e, anzi, vanno a danneggiare le colture. Ecco perché la caccia non può funzionare.

IL LUPO, “LO SPAZZINO DEI MONTI”

La soluzione per spegnere il focolaio della peste suina l’avrebbe in tasca l’animale più affascinante delle favole. Dal momento che il virus non risulta essere nocivo per i selvatici, i lupi potrebbero rivelarsi essenziali nel garantire un ecosistema sano. I branchi di lupi infatti sono in grado di gestire efficacemente le epidemie tra i cinghiali: «Gli animali contagiati – spiega Angelo Spanò, portavoce del partito dei Verdi a Genova – risultano più deboli e lenti degli individui sani, questo li rende bersagli “comodi” dei lupi».

lupo pixabay
Lupo. Pixabay

«A differenza di chi imbraccia il fucile, i lupi sono cacciatori prudenti che scelgono la preda più facile, quindi animali giovani, vecchi o malati». Ed è proprio la preferenza per le prede “facili” a influenzare la composizione della popolazione degli animali predati. In questo senso, durante le epidemie, il lupo riesce a contenere il numero di animali contagiati. I dati della malattia suina registrata in Slovacchia nel 2018 evidenziano proprio il ruolo del lupo come ottimo bonificatore dei boschi (Fonte: I lupi sono i medici della peste suina (VIDEO) – Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile).

Lo “spazzino dei monti” potrebbe quindi rivelarsi una delle possibili soluzioni atte a diminuire i focolai e ad arginare la diffusione del virus. «Non certo le battute di caccia di selezione – ribadisce anche Spanò – che non fanno altro che far allontanare i cinghiali dai boschi. Bisognerebbe invece riuscire a catturarli con gabbie a trappola in dotazione alla polizia, proprio per evitare di farli espandere per tutta la provincia e anche oltre».

«Va poi detto – conclude – che il ceppo sembra originario della Georgia. Ci si chiede quindi come sia arrivato sino in basso Piemonte e nel genovese. Insomma, ho tanti dubbi, ma c’è di nuovo lo zampino dell’essere umano».

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