Una catena di migliaia di persone circonda il Parlamento britannico per sostenere Julian Assange
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«Julian Assange sta soffrendo e uno degli obiettivi di questa catena umana era mostrare che ciò che sta avvenendo qua non fa parte di un processo legale né legittimo. È piuttosto un tentativo di strumentalizzazione della legge con il solo scopo di perseguitare una persona, un giornalista, per tenerlo imprigionato indefinitamente».
![john rees intervistato da lorena](https://www.italiachecambia.org/wp-content/uploads/2022/10/john_rees_intervistato_da_lorena.jpg)
Con queste parole Stella, moglie di Julian Assange, ha commentato la grande manifestazione che ha riunito migliaia di persone – fra le 5000 e 7000, si stima – sabato scorso davanti al parlamento britannico, a Londra. «Julian è un prigioniero politico», ha aggiunto Stella. «È oggetto di una persecuzione politica. Questa catena umana intorno al Parlamento sta mandando un messaggio a coloro che sono dentro, che sono lì solo per servire chi sta fuori. E chi sta fuori sostiene Julian Assange. Sono migliaia qui, oggi, e milioni in tutto il mondo».
John Rees è il coordinatore del comitato Don’t Extradite Assange e l’organizzatore della riuscitissima catena umana per Julian Assange che ha circondato il Parlamento britannico l’8 ottobre scorso. Per parlare delle motivazioni che hanno portato a questo evento e, in generale, alla mobilitazione internazionale a sostegno del fondatore di WikiLeaks, l’attivista di Free Assange Italia Lorena Corrias lo ha intervistato.
![julian assange](https://www.italiachecambia.org/wp-content/uploads/2022/10/julian-assange-1024x681.jpg)
Chi ha avuto l’idea geniale di una catena umana intorno al Parlamento?
Beh, a dire la verità, mi sembra che all’origine l’idea sia stata suggerita da un attivista della Nuova Zelanda. Ha proposto di farla intorno alla prigione di Belmarsh [dove Julian viene detenuto in isolamento da tre anni, ndr]. Solo che non era possibile farlo a Belmarsh per motivi di sicurezza. Perciò noi [del comitato Don’t Extradite Assange, ndr] abbiamo deciso di farla qui, intorno al Parlamento, dove ha sede il potere politico che tiene imprigionato Julian. Una volta determinato il luogo poi, ci siamo messi a lavorare ed eccoci.
L’afflusso di partecipanti oggi corrisponde alla vostre aspettative?
Sì, l’afflusso è stato molto buono, riteniamo che siano venute circa cinquemila persone e così abbiamo effettivamente ultimato l’accerchiamento completo del Parlamento: davanti all’edificio che ospita il Parlamento stesso, attraverso il ponte di Londra, lungo il Tamigi sulla sponda opposta e infine di ritorno, attraversando il ponte di Lambeth. Ritengo che sia stata una forma di protesta molto innovativa e molto efficace. Quindi sì, siamo rimasti contenti.
Questa catena umana intorno al Parlamento sta mandando un messaggio a coloro che sono dentro, che sono lì solo per servire chi sta fuori
Sabato prossimo, il 15 di ottobre, l’agenzia di stampa Pressenza insieme a noi di Free Assange Italia e altri, terrà una maratona di 24 ore per Julian, con collegamenti in diretta da oltre cinquanta città nel mondo. Potreste voi di Don’t Extradite Assange essere dei nostri e dire, in diretta da Londra, qualche parola sul caso Assange?
Sì, certamente.
Bene, benissimo. Ultima domanda: se lei potesse parlare con Julian nella sua cella, cosa gli direbbe?
Prima della pandemia Covid ho effettivamente fatto visita a Julian a Belmarsh, diverse volte. Mi è sembrato un uomo straordinariamente ottimista, viste tutte le cose [nefandezze, ndr] che gli sono state inflitte. Ma, come egli dice sempre, dobbiamo preoccuparci non di lui ma piuttosto di tutti noi, delle nostre libertà e dei nostri diritti che rischiano di esserci tolti se gli Stati Uniti riescono nel loro intento di farlo condannare. Perciò, a pensarci bene, ciò che direi a Julian è “tieni duro e continua a lottare” e noi faremo uguale.
La realizzazione dell’articolo è stata curata da Peacelink e Pressenza.
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