9 Giu 2023

Dal possesso alla cura: ecco perché è urgente una nuova pedagogia dell’amore e del rispetto

Scritto da: Paolo Piacentini

I drammatici fatti degli ultimi giorni rendono urgente e fondamentale innescare una trasformazione culturale che ci sappia traghettare dalla società del possesso a quella della cura. Paolo Piacentini riflette su questo tema chiamando in causa i vari attori coinvolti, da quelli deputati all'educazione delle giovani generazioni alla politica.

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Il possesso è agli antipodi della cura, sostengo nel mio nuovo libro Passo Dopo Passo – la cura del sé, dell’altro, del territorio. Nel testo racconto questa mia convinzione attraverso una poesia che scrissi qualche tempo fa in cui, con l’essenzialità e la forza dei versi, provai a trasmettere la bellezza del non possedere le cose e ben che meno le persone più care e di quanto fosse vitale ridare centralità al donare con amore.

In un’altra parte del libro sottolineo la necessità di accarezzare il mondo e di quanto sia fondamentale la riscoperta della gratuità delle nostre azioni. Parlo ovviamente di quel possesso che si trasforma in qualcosa di ossessivo e quindi patologico. In particolare la poesia contro l’idea malsana di possesso la scrissi dopo l’ennesimo elenco ravvicinato di femminicidi.  In questi giorni, dopo la sfilza di nuovi omicidi – di cui uno a carico di Giulia Tramontano, una donna incinta – ho sentito il bisogno di riprendere quelle amare riflessioni. 

giualia tramontano cura

Dovremmo interrogarci tutti e tutte su come insegnare ai nostri figli una nuova pedagogia dell’amore e del rispetto. Partire da una collaborazione con il mondo della scuola per fare incamminare i giovani, già prima dell’adolescenza, lungo sentieri della vita in cui l’idea che si possa possedere una persona va sostituita dal principio basilare del rispetto. Sarebbe urgente costruire un percorso collettivo, affatto semplice ma necessario, per ridare un senso profondo, alla centralità della cura del sé e dell’altro. In questi giorni si è dato molto risalto all’insegnamento di Don Milani, a quel I care [“a me importa”, ndr] che dovremmo evitare fosse solo la solita parentesi enfatizzata e quindi superficiale di una commemorazione. 

Cura e quindi rispetto devono iniziare dal sé in una riscoperta amorevole di corpo, mente, cuore e spirito. Se mi voglio bene nell’integrità di un’esistenza piena e profonda l’apertura all’altro avviene senza alcun timore. Se riconosco il valore essenziale dell’unicità di ogni singola persona, attraverso quell’amore di sé che da senso alla vita, non posso sviluppare l’idea malsana di possesso che è alla base della maggior parte della violenza  contro le donne. 

Se la persona che penso d’amare con passione e verso cui sono attratto da una forte spinta erotica mi dona corpo, mente e cuore in piena libertà, come posso poi violentarla fino al punto di ucciderla? Come possono la passione e l’attrazione trasformarsi in odio dopo che quella stessa persona ci ha donato la parte più intima e profonda della propria vita. Non può esistere nessun legame tra passione e possesso se l’incontro erotico e amoroso è basato sul dono e sul rispetto dell’integrità e unicità di ogni singola persona. Dovremmo accettare con serenità l’idea che una passione può finire ma che quei momenti vissuti intensamente sono stati un dono meraviglioso basato sull’incontro tra persone libere nella loro unicità. 

cura

Non posso possedere una donna solo perché mi sta donando il suo corpo e la parte più profonda delle sue emozioni. Se c’è davvero amore alla dimensione erotica appartengono la penetrazione dei corpi come quella della carezza che rende sublime il coinvolgimento passionale di sensi ed emozioni. Il problema di fondo è che per trasmettere insegnamenti di cura e rispetto ai nostri figli dovremmo cambiare in prima persona il nostro rapporto con il sé, l’altro e il mondo. A questo tema complesso e necessario ho dedicato le pagine del mio libro con l’obiettivo di lanciare un messaggio anche alla politica. 

Un segnale appassionato ma non urlato per dire che se vogliamo costruire un nuovo umanesimo ci deve essere l’impegno individuale senza delegare tutto alla politica, ma quest’ultima deve prendere atto di una necessità non più rinviabile e attivare processi di trasformazione radicali. La sola repressione di un reato – anche quando la pena fosse davvero commisurata – che rasenta la barbarie non può essere la soluzione se non denudiamo e rendiamo innocue le cause di una violenza che si lega fortemente al desiderio di possesso e dominio. 

Dovremmo interrogarci tutti e tutte su come insegnare ai nostri figli una nuova pedagogia dell’amore e del rispetto

Ci sentiamo al centro del mondo perché non riusciamo ad accettare il valore in sé che ha tutto quello che sta oltre noi, dal più piccolo oggetto, alla natura fino alle persone. È normale pensare di possedere gli oggetti di cui abbiamo bisogno per soddisfare i bisogni materiali, magari tornando al loro valore d’uso e non di puro consumo. Pensare invece di possedere il vivente, dal più piccolo insetto agli appartenenti della famiglia umana, è un approccio che andrebbe superato riconsiderando l’antropocentrismo cui si è quasi sempre abbinato il patriarcato nelle sue varie declinazioni. 

La strada è lunga e tortuosa, ma non abbiamo scelta se davvero vogliamo ribaltare la cultura del dominio e del possesso. Siamo davanti a un problema atavico che va risolto alla radice, non importa se ci vorranno tempi lunghi ma se non costruiamo le basi per un nuovo umanesimo in cui le persone diventino custodi e non dominatori dell’altro da Sé non faremo il necessario salto antropologico. Certo poi c’è da gestire il presente nella sua drammaticità applicando tutte le misure di prevenzione e repressione ma sempre con lo sguardo lungo verso la profonda rivoluzione culturale che ho provato a tratteggiare. 

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