22 Dic 2023

COP28 e finanza: l’esempio di Etica Sgr per un’azione climatica risolutiva

Tra i temi affrontati durante la COP28 non poteva mancare la finanza, essenziale per la risoluzione della crisi climatica in atto. Quali sono le decisioni accordate in ambito finanziario? Saranno davvero efficaci? Nonostante le decisioni prese – e non prese – a Dubai non si possano certo considerare una vittoria per chi si occupa di giustizia climatica, l’impegno di Etica Sgr dimostra la fattibilità di un modello finanziario etico e valido verso una transizione credibile.

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La 28° Conferenza delle Parti sul Clima, meglio conosciuta come COP, l’appuntamento voluto dalle Nazioni Unite per affrontare il cambiamento climatico, si è appena conclusa. Quest’anno l’incontro ha preso il via con una serie di critiche e perplessità. Dal forfait per motivi di salute di Papa Francesco, da sempre critico verso il sistema produttivo “del massimo profitto al minimo costo” alle scelte fatte durante le ultime crisi globali orientate dall’individualismo delle strategie di molti Paesi e al basso livello di attuazione degli accordi e degli impegni presi in occasione delle passati COP. Senza dimenticare i grandi assenti: il presidente americano Joe Biden e il capo di stato cinese Xi Jinping, i rappresentanti dei due paesi che emettono più CO2 al mondo. 

L’ACCORDO STORICO(?) DELLA COP28

La COP si è svolta a Dubai negli Emirati Arabi Uniti – e questo è stato uno dei principali punti di controversia –, uno dei maggiori produttori di petrolio al mondo, e a presiederla è stato il Sultan Ahmed Al Jaber, amministratore delegato della Abu Dhabi National Oil Company (ADNOC), l’azienda petrolifera statale emiratina, la dodicesima al mondo. È stata un’edizione che ha ospitato almeno 2.456 lobbisti dei combustibili fossili – dato calcolato da Kick Big Polluters Out – con accessi quasi quattro volte superiori a quelli concessi l’anno scorso.

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Sultan Ahmed Al Jaber, presidente della COP28 e amministratore delegato della Abu Dhabi National Oil Company (ADNOC)

La seconda COP consecutiva che non prevedeva una revisione migliorativa dei piani sulle emissioni e la prima dedicata ad un auto-esame globale, il Global Stocktake. L’Accordo di Parigi infatti prescrive che i Paesi auto-analizzino collettivamente i loro sforzi sul clima ogni cinque anni a partire proprio dal 2023, così da poter meglio predisporre i successivi aggiornamenti degli NDC – i piani nazionali, detti in inglese Nationally Determined Contribution.

Ma che cosa prevede questo accordo firmato da oltre 190 nazioni di tutto il mondo? E soprattutto si tratta di un accordo storico che segnerà la fine definitiva di gas, petrolio e carbone? È la prima volta che un documento ufficiale di una COP invita i Paesi ad avviare un’eliminazione dei combustibili fossili. Sembra incredibile, nessuno lo aveva mai scritto prima, ma sarà sufficiente? Sono tante le voci discordanti.

Secondo lo scienziato Bill Hare di Climate Analytics, e non solo lui, il testo sembra una grande vittoria per i Paesi produttori di petrolio e gas e per gli esportatori di combustibili fossili, senza nessun impegno a eliminare gradualmente i combustibili fossili e a raggiungere il picco delle emissioni entro il 2025, e fa riferimento alla cattura del carbonio che apre la porta a false soluzioni su larga scala. Il timore è che i giganti dei combustibili fossili e dei paesi petroliferi possano camuffare abilmente i loro prodotti come combustibili “di transizione”, soprattutto nelle zone più vulnerabili del nostro mondo. 

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L’impronta carbonica dei fondi di Etica Sgr si è ridotta del 60% negli ultimi quattro anni
IL RUOLO DELLA FINANZA NELLA CRISI CLIMATICA

Tra i macro-temi affrontati in questa edizione non poteva mancare la finanza, intorno alla quale ruotano tante decisioni importanti per un’azione climatica risolutiva. La COP28 di Dubai, già in apertura ha subito lanciato il secondo rapporto Independent High-Level Expert Group on Climate Finance (HLEG) – noto anche come rapporto Stern-Songwe – con un aggiornamento rispetto a quello dell’altro anno, e ha attivato il fondo Loss e Damage. Per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi servono 2,4 trilioni di dollari l’anno entro il 2030 da destinarsi ai paesi emergenti da spartire in cinque categorie: transizione energetica, adattamento e resilienza, gestione delle perdite e danni, capitale naturale e agricoltura sostenibile, giusta transizione. 

«Il fondo a compensazione Loss e Damage con cui i paesi ricchi e principali emettitori storici aiutano i paesi più poveri a far fronte ai danni della crisi climatica è stato attivato il primo giorno della COP con una somma minima di 250 milioni di dollari, l’0,25% dei 100 miliardi promessi, lo 0,06% dei 400 miliardi necessari per riparare i danni del clima secondo le stime di scienziati ed economisti. Le fosche previsioni sono diventate una realtà: sviare l’attenzione dalle fonti fossili, la causa principale del cambiamento climatico, sollevando una cortina fumogena per continuare a usarle senza limitazioni», ha commentato Sergio Ferraris, giornalista scientifico e ambientale, autore per la Nuova Ecologia e direttore della Rivista QualEnergia. 

Il tempo a disposizione per invertire la rotta e limitare il riscaldamento globale è prossimo a scadere. Nel Rapporto IPCC 2023 infatti si parla di gravità, urgenza e speranza per affrontare prima possibile la crisi in corso. Il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC) afferma che per limitare l’aumento della temperatura media globale a 1.5°C sopra i livelli pre-industriali, il mondo deve raggiungere le emissioni nette zero di CO2 entro il 2050. Questa è la ragione per cui molte nazioni e organizzazioni stanno puntando a un obiettivo di “net zero”, legata alla necessità di limitare il riscaldamento globale.

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Sergio Ferraris, giornalista scientifico e ambientale, autore per la Nuova Ecologia e direttore della Rivista QualEnergia

Il Rapporto sottolinea inoltre l’importanza della finanza, della tecnologia e della cooperazione internazionale come elementi determinanti per concretizzare il cambiamento. Il passaggio a un’economia non più climalterante richiede da tre a sei volte gli importi dei finanziamenti attuali. È il momento per tutti di diventare parte della soluzione. L’apporto della finanza etica e sostenibile può essere quindi fondamentale, serve effettuare scelte economiche di campo che vadano oltre, come conferma anche la Banca Centrale Europea nella sua agenda per l’adozione di politiche efficaci per un mondo non più minacciato dagli effetti catastrofici del cambiamento climatico.

L’IMPEGNO DI ETICA SGR PER UNA TRANSIZIONE CREDIBILE

Un buon approccio di investimento oggi deve necessariamente integrare considerazioni sul cambiamento climatico. Lo sa bene Etica Sgr, ad oggi l’unica società italiana di gestione del risparmio a proporre esclusivamente fondi comuni sostenibili e responsabili, con l’obiettivo di rappresentare i valori della finanza etica nei mercati finanziari. Etica Sgr adotta una rigorosa metodologia di selezione ESG – ambientale, sociale e di governance – dei titoli che considera criteri di esclusione, una valutazione basata su centinaia di indicatori non finanziari e un’innovativa analisi del rischio che incorpora i fattori ESG nelle analisi standard del rischio finanziario.

Il fondo a compensazione Loss e Damage è stato attivato con una somma minima di 250 milioni di dollari, l’0,25% dei 100 miliardi promessi

In relazione al clima, i fondi di Etica Sgr da sempre escludono dagli investimenti società operanti nei settori legati a carbone e petrolio o particolarmente esposte ad attività correlate. La metodologia di selezione dei titoli inoltre è orientata a identificare le aziende che dimostrano un percorso di transizione credibile, basato su una valutazione specifica che considera gli aspetti di governance climatica, la valutazione degli obiettivi di riduzione delle emissioni e l’analisi prospettica delle emissioni delle società, confrontate con diversi scenari climatici.

Etica Sgr monitora e pubblica annualmente le emissioni di gas serra relative agli investimenti: nel 2023 i portafogli dei fondi risultano allineati con una proiezione di aumento della temperatura di 1,5°C rispetto al periodo preindustriale, come richiesto dagli Accordi di Parigi del 2015.

L’impegno concreto nella riduzione dell’impatto climatico degli investimenti passa attraverso analisi e decisioni complesse, ma vi è anche evidenza che ciò porta a risultati incoraggianti rispetto a una delle più impellenti sfide del nostro tempo. Come riporta il Guardian, “può sembrare incredibile, ma ci sono voluti trent’anni di vertici sul clima quasi annuali per arrivare a un accordo che includesse indicazioni chiare sul futuro dei combustibili fossili”. Ha ancora senso affidarci a questo tipo di processo? 

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