11 Apr 2024

Fermarsi per cambiare vita: dal Gennargentu la storia del Selvaggio Verde di Gianluigi Bonicelli

Scritto da: Sara Brughitta

Originario di Villanova Strisaili, dieci anni faGianluigi Bonicelli abbandona il lavoro nell'edilizia per cambiare vita, dedicandosi a un'iniziativa che vuole valorizzare l'identità e lo stile di vita collegato al fenomeno della longevità. Il suo progetto, Selvaggio Verde, offre esperienze uniche immerse nel Gennargentu, promuovendo un approccio alla conoscenza dei territori sostenibile e consapevole, in cui il rispetto pondera ogni passo e la quotidianità è in sinergia con l'ambiente circostante.

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Ogliastra - Cambiare vita per cambiare approccio alla fruizione dei territori e alla conoscenza dell’identità che fa i luoghi e le comunità. La storia di Gianluigi Bonicelli è la storia del suo progetto, Selvaggio Verde, nel cuore del Gennargentu. Il racconto della sua esperienza passa per la scelta minuziosa delle parole e dei messaggi da trasmettere: è il contrario di “ego-riferito”, guarda al mondo, ai fenomeni sociali, a ciò che accade nell’Isola e a ciò che vorrebbe fosse il futuro della Sardegna.

Gianluigi nasce come pastore a Villanova Strisaili, piccola frazione di poco più di 600 abitanti tra le pendici del Gennargentu e il lago Alto Flumendosa. Poi il lavoro cambia: passa all’edilizia, lavorando per anni nel settore, ma per il futuro guarda altrove, non troppo lontano. Dieci anni fa infatti, la scelta di una nuova strada, impegnativa ma da affrontare a pieni polmoni, con i piedi ben radicati nell’identità della terra che attraversa, che ha portato alla nascita di una ramificazione di percorsi unici, immersi in un ambiente Selvaggio e Verde.

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SELVAGGIO, VERDE GENNARGENTU

Ci troviamo nell’ovile Erbelathori, costruito a fine metà ‘800 nella località omonima, dalla famiglia Nieddu di Villagrande Strisaili, nel Gennargentu villagrandese. Stando alla tradizione, il rifugio accoglieva i pastori e i loro servi – theraccos – da inizio maggio a settembre. Con il passare di anni poi divenuti secoli, Erbelathori ha dato alloggio a diversi pastori che hanno dedicato la loro vita al mestiere. Negli anni ’90 però, dopo il boom economico, anche il mondo della pastorizia cambiò: i rifugi vennero resi più moderni e le vecchie strutture dei nostri antenati piano piano furono abbandonate. L’ultimo pastore che fruì dell’ovile fu Angelo Cabiddu, zio di Gianluigi. 

Il legame con l’ovile è quindi stretto da vari fattori: un progetto preciso, una grande passione e un legame familiare sono il mix alla base di un’idea fioccata dal primo incontro tra i boschi del Gennargentu con quelli che erano i ruderi dell’ovile. Rimettere a posto il rifugio «mantenendo però le sue caratteristiche», dando vita a un progetto – Selvaggio Verde – di valorizzazione e conoscenza della vita tipica dei pastori. La precisazione di Gianluigi è un mantra: «Il progetto è rivolto principalmente a persone che amano la natura e il buon cibo», anche perché l’intento è duplice: dare la possibilità alle persone di godere delle meraviglie naturali della zona e far conoscere lo stile di vita dei centenari, soprattutto l’alimentazione.

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Il Selvaggio Verde sorge infatti all’interno della Blue Zone, concetto frutto degli studiosi Gianni Pes e Michel Poulain che individua le aree geografiche in cui la speranza di vita è notevolmente superiore rispetto alla media mondiale. In base ai loro studi, il Comune di Villagrande Strisaili e la frazione di Villanova Strisaili, hanno ottenuto nel 2014 il primato mondiale di longevità maschile: inserito nel cuore del territorio, il Selvaggio Verde vuole quindi anche testimoniare quanto la vita in sinergia con la natura possa incidere sulla qualità di vita e quindi, anche sulla longevità.

CONDIVISIONE E RISPETTO DELLA NATURA

L’esperienza coinvolge il visitatore in ogni aspetto, dalle escursioni lente alla scoperta del Gennargentu allo stesso alloggio, mantenuto quanto più fedele all’ovile originale. «Non stiamo parlando di un alloggio dotato di comfort, ma molto essenziale fatto di pietre e legno» spiega Gianluigi. «Anche dal punto di vista dell’alimentazione, si mangia ciò che i visitatori stessi preparano con i prodotti di stagione e rispettando i ritmi naturali, come ad esempio una minestra di patate o frittelle con cipolle e zucchine».

«Come Selvaggio Verde promuoviamo una cucina sarda che non si limita al maialetto arrosto o ai culurgionis, ma che rispecchia quella che era l’alimentazione dei centenari: sì, il maialetto fa parte della nostra tradizione, ma non era la base dell’alimentazione, il consumo di carne era limitato e il suo abuso è subentrato dopo il boom degli anni ’60». La consapevolezza del fatto che una riproduzione 100% fedele non sia possibile c’è, «ma un 80% è un buon risultato».

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Gianluigi Bonicelli, foto di Ettore Cavalli

L’attenzione verso l’ecosostenibilità è di casa: l’impatto è ridotto al minimo ed è mediato dal rispetto, a partire dall’idea che, come dice Gianluigi, «ci sono dei tempi naturali da rispettare per tutto, nell’agricoltura ma anche nell’allevamento, che non deve essere ridotto allo stremo per avere determinati prodotti tutto l’anno. Le nostre proposte per quanto riguarda l’alimentazione non contemplano inoltre l’arrivare all’ovile e venire serviti: la preparazione del pasto è dimostrazione e condivisione, quindi ad esempio se si vogliono cucinare i gathulis, ecco, tutti insieme peliamo le patate e passiamo alla preparazione».

FERMARSI PER CAPIRE DOVE ARRIVARE

Il racconto di Gianluigi parla di una strada non priva di difficoltà, ma percorsa con un traguardo ben chiaro all’orizzonte: dare valore con Selvaggio Verde a un eco turismo consapevole, sostenibile, controllato. Nonostante sia profondamente radicato nella tradizione, il progetto vive nel presente infatti col fine di «prendere il buono dal passato migliorandolo con il progresso attuale. Ecco perché alla tradizione unisco anche lo sport: il Nordic walkig ad esempio migliora la camminata attraverso il respiro e la postura; così creiamo un connubio tra alimentazione di qualità e sport, promuovendo uno stile di vita sano e attivo».

L’impatto è ridotto al minimo ed è mediato dal rispetto

Alla domanda “tornando indietro, percorreresti nuovamente questa strada?”, Gianluigi risponde senza esitazione: «Sì. Quando si è più giovani si inseguono tante strade pensando che la realizzazione sia chissà dove, ma nonostante io abbia fatto qualche viaggio, mi sono reso conto dopo tempo di ciò che abbiamo nel nostro territorio e la realizzazione io l’ho trovata ripartendo da dove sono nato». Un consiglio per chi ha un’ambizione che comporterebbe un cambio vita importante c’è ed è quello di «non rincorrere gli obiettivi pretendendo percorsi di trasformazione troppo veloci: a volte è necessario fermarsi, capire da dove si è partiti, comprendere dove si vuole arrivare».

Emerge un concetto essenziale, privo di fronzoli, coerente con il progetto che ha portato avanti e con le parole che ha speso nel descriverlo. In un periodo storico in cui spesso ci si sente incalzati dallo scorrere del tempo troppo veloce, affannati dal rincorrere mille strade, Gianluigi consiglia di fermarsi, forse come ha fatto lui quando, al ritrovamento dei ruderi nel Gennargentu, si mise a sedere su ciò che era rimasto di un luogo, un tempo scenario di vita e tradizione, trovando oltre i ruderi anche sé stesso.

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