5 Apr 2024

Con Prodor alla scoperta del mondo dei fermenti vegani

Continua il nostro viaggio nel mondo dei formaggi vegani. Con Martina Macellari di Laboratorio Prodor ci addentriamo nel mondo dei fermenti, indispensabili sia nella produzione casearia che nella produzione dei formaggi vegani. È grazie al loro utilizzo infatti che si possono realizzare prodotti autentici, che ricordano al gusto, al tatto e all’olfatto i sapori veri dei formaggi tradizionali.

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Piacenza, Emilia-Romagna - «Ricevo quotidianamente richieste da parte di persone che vogliono avviare una produzione vegana di formaggi in poco tempo, non comprendendo che, per farlo, sono essenziali i tempi tecnici di produzione, fermentazione e stagionatura. Ad esempio, il parmigiano viene stagionato per almeno dodici mesi, lo stesso dovrebbe valere per tutti i formaggi vegani realizzati con la soia, le noci e gli anacardi, ammesso che queste proteine nobili siano presenti nel prodotto finale. Succede spesso infatti che nei prodotti in vendita ci siano quantità davvero minime e i consumatori convinti di orientarsi verso scelte consapevoli, influenzati da un packaging appositamente studiato, si ritrovino a mangiare cibi pieni di addensanti e per nulla sani».

È Martina Macellari di Laboratorio Prodor a “illuminarmi” sui tanti prodotti vegani distribuiti dalla grande distribuzione e spacciati per salutari. Un concentrato di carboidrati, coloranti, addensanti, amidi, olio di cocco e di palma, e zero proteine o molto poche sono gli ingredienti dei tanti formaggi venduti come alternativa genuina e con proteine vegetali. Come fare a orientarsi tra le tante soluzioni in commercio? Come distinguere un buon prodotto dalle imitazioni? La marca, il packaging e il prezzo sono di solito i fattori che influenzano la nostra scelta, dimenticando così di leggere l’etichetta e la composizione del prodotto.

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Martina Macellari (la prima a sinistra) con il team Prodor

«Nonostante siano ormai numerosi i prodotti alternativi a disposizione sul mercato, manca ancora un sapere diffuso e vigile per un acquisto consapevole. Non tutti i formaggi vegani venduti sono proteici e sani, spesso le imitazioni hanno un numero maggiore di grassi rispetto ai formaggi tradizionali. Non è vero, dunque, che le alternative vegane sono sempre più leggere e i valori nutrizionali lo dimostrano. Di base, se sull’etichetta sono presenti più di cinque ingredienti, è bene evitare di comprare quel prodotto o leggere molto attentamente la sua composizione», continua Martina.

«Per fare un buon formaggio vegano infatti non serve molto – continua –, bastano anacardi, soia, mandorle, sali e fermenti. Un’informazione che tutti dovrebbero conoscere, soprattutto chi ha esigenze o patologie particolari come il diabete, il colesterolo, deve perdere peso, o è alla ricerca di un cibo proteico vegetale». A tal proposito, il Laboratorio Prodor ha selezionato anche i lupini come prodotto con il profilo amminoacidico e proteico più simile al latte vaccino tra le alternative vegetali.

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Per produrre yogurt e formaggi vegani si possono utilizzare quindi semi oleosi, frutta secca, bevanda vegetale di soia, anacardi o mandorle, con una concentrazione non inferiore al 10% del prodotto, per far sì che ci siano sufficienti proteine per far lavorare i fermenti. Sì, perché come per la tradizione casearia ci insegna, i microrganismi sono parte essenziale e imprescindibile delle lavorazioni dei formaggi vegani. Grazie all’impegno e allo studio senza sosta di Martina, il Laboratorio Prodor ha ricreato i principali batteri lattici, fermenti e muffe in chiave vegana, a partire da brodi di verdure e coltivati utilizzando la maltodextrina, da cui è nata una linea di fermenti e muffe 100% vegani, OGM free e cruelty free.

PRODOR E I FERMENTI VEGANI

«Quando si tratta di produrre alternative vegane ai formaggi tradizionali, l’utilizzo dei fermenti vegani è fondamentale e necessario per creare prodotti autentici, che ricordano al gusto, al tatto e all’olfatto i sapori veri dei formaggi tradizionali. L’impiego di batteri selezionati è buona prassi anche per la standardizzazione delle lavorazioni. Un’acidificazione corretta in tempi controllati dà la certezza dell’esito finale delle lavorazioni e garantisce la realizzazione di prodotti qualitativamente superiori, dal gusto inconfondibile», sottolinea Martina.

La legislazione non aiuta i consumatori a districarsi nel mondo vegano, con una classificazione e un’etichetta specifica sarebbe più semplice

Per sfruttare al meglio le loro potenzialità e ottenere il massimo dal loro utilizzo bisogna conoscere i fermenti, saperli selezionare e capire come usarli a proprio vantaggio per realizzare preparazioni di ottima qualità. Nei formaggi tradizionali spesso gran parte dei difetti è dovuta a errori di acidificazione, sceglierli dunque con il giusto criterio può fare la differenza.

Esistono due tipologie principali: i fermenti mesofili che lavorano a temperatura ambiente e quelli termofili che lavorano a temperature tra i 36 e i 44°C; quasi tutti i formaggi italiani sono prevalentemente inoculati con fermenti termofili, mentre i formaggi esteri (francesi, tedeschi etc.) sono prevalentemente inoculati con fermenti mesofili.

Ogni tipologia di fermento, se portata al suo ottimo di temperatura di crescita, darà un giusto equilibrio tra velocità di acidificazione e produzione di sostanze aromatiche. Bisogna quindi optare per le giuste temperature di lavorazione al fine di far sviluppare il fermento nel modo più congruo per avere una velocità di acidificazione e una produzione di composti aromatici ottimale.

Un’altra categoria speciale di fermenti lattici è costituita dai fermenti probiotici che hanno innumerevoli proprietà benefiche per la salute: migliorano l’equilibrio della flora batterica intestinale, aiutano l’assorbimento delle vitamine B e del calcio e riducono colesterolo, dermatiti e disturbi gastrointestinali. Tutti questi fermenti hanno la capacità, più o meno accentuata, di trasformare gli zuccheri in acido lattico e in altri elementi aromatici, e di legare le proteine e i grassi contenuti nella massa vegana producendo esopolisaccaridi, dando così consistenza al prodotto finito. È fondamentale quindi scegliere una base vegana ricca di proteine e con un buon contenuto di grassi e zuccheri naturali.

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TRASPARENZA ED ETICHETTE PER SCELTE CONSAPEVOLI E SALUTARI

«Ecco perché è impossibile realizzare un buon formaggio vegano in tempi brevi. Non esistono scorciatoie. La legislazione non aiuta i consumatori a districarsi nel mondo vegano, con una classificazione e un’etichetta specifica sarebbe più semplice. In Svizzera, ad esempio, sulle etichette dei prodotti in vendita esistono dei semafori chiamati “Nutriscore” che permettono al consumatore di capire se quell’alimento è, da un punto di vista nutrizionale, adatto alla propria salute. Se dovessimo tener conto di questa classificazione, la maggior parte dei formaggi vegani che oggi si trovano in vendita nella grande distribuzione avrebbe un’etichetta rossa», evidenzia Martina.

I prodotti vegani che non contengono fermenti e quindi non sono fermentati e stagionati come secondo la tradizione casearia, sono surrogati dell’industria alimentare. Questi prodotti, anche se vegetali, non sono sempre sinonimo di qualità, salute e leggerezza, per noi e per le nostre tasche. In questi casi è meglio preferire e orientarsi verso cibi proteici vegetali di altro tipo. «Dobbiamo imparare a leggere le etichette dei cibi che mettiamo sulla nostra tavola, solo così possiamo scegliere con consapevolezza ciò che è più buono, salubre e meno impattante per l’ambiente, per la nostra salute e per gli altri animali» conclude Martina.

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