28 Mar 2024

C’è speranza per Assange? Cosa dice la sentenza e cosa succede adesso – #903

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È arrivata la tanto attesa sentenza dell’Alta Corte di Londra, sul caso Assange. Che però è una mezza sentenza: i giudici hanno preso tempo, ma almeno hanno ritenute valide alcune delle obiezioni presentate dai suoi legali. Quindi cerchiamo di capire che cosa dice questa sentenza e quali scenari si aprono adesso per Julian Assange, ma anche per la libertà d’informazione nel mondo occidentale.

Oggi puntata breve e monotematica, perché sono mezzo malato ma ci tenevo a darvi un aggiornamento importante sul caso Assange. È arrivata la sentenza molto attesa dell’Alta Corte di Londra relativa all’estradizione negli Usa. Ed è una sentenza diciamo moderatamente positiva per il giornalista. 

Vi faccio un breve riepilogo delle informazioni, premettendovi che su questa vicenda sono un po’ di parte, non riesco ad essere imparziale, quindi ve lo dico qua: io penso che Assange sia uno dei migliori giornalisti del nostro tempo e dovrebbe stare tranquillo a fare il suo lavoro e non rinchiuso in un carcere. Ve lo dico perché ci sta che nel raccontare la notizia non sia del tutto super partes.

Comunque: Assange è attualmente in carcere a Londra in uno stato di detenzione arbitraria. Significa che è in un carcere di massima sicurezza, a Belmarsh, senza che sia formalmente accusato di nulla. Ci è finito dopo una lunghissima vicenda che lo ha visto prima rifugiarsi nell’ambasciata ecuadoriana a Londra per sfuggire a un mandato di arresto internazionale per una strana accusa di stupro arrivata dalla Svezia, poi caduta in prescrizione. 

Poi nel 2019 è stato di fatto catturato all’interno dell’ambasciata, dopo che gli viene revocato lo status di rifugiato, e condannato a 50 settimane di carcere per aver violato nel 2010 i termini della libertà vigilata, da scontare nel carcere di massima sicurezza Belmarsh (detto “la Guantánamo britannica”). 

Nel frattempo – anzi lo stesso giorno in cui viene incarcerato – il governo americano chiede l’estradizione del giornalista per poterlo processare negli Usa perché lì sì, c’è un accusa che pende su di lui. Anzi 18. 18 capi d’accusa, tutti a parte uno ai sensi dell’Espionage Act, una legge antispionaggio risalente alla Prima guerra mondiale, per la pubblicazione su WikiLeaks di documenti militari statunitensi riservati. Negli Usa – secondo i legali di Assange – rischierebbe fino a 175 anni di carcere.

Da lì inizia il lungo procedimento legato all’estradizione. Nel frattempo la sua detenzione sarebbe finita da oltre 3 anni, ma visto che il giudice teme che Assange possa non presentarsi alle udienze sull’estradizione, lo mantiene in stato di arresto arbitrario, sempre nel carcere peggiore del Regno Unito. Dopo un lungo procedimento, il 20 aprile 2022 il tribunale di Londra autorizza formalmente l’estradizione di Julian Assange negli Stati Uniti.

Gli avvocati di Assange presentano vari ricorsi, tutti respinti. Quindi cercano di presentare un ultimo appello, sostenendo che l’estradizione sia motivata da questioni politiche, ma il giudice di primo grado gli nega questa possibilità. E allora fanno ricorso presso l’Alta Corte. Che, appunto, si è espressa martedì. E nel verdetto i due giudici di alto livello, Victoria Sharp e Jeremy Johnson hanno accolto il ricorso, dicendo che gli avvocati di Assange hanno il diritto a presentare un ultimo appello contro la sua estradizione. 

Ripeto il concetto perché è un po’ arzigogolato: i giudici non hanno annullato l’estradizione, ma hanno concesso agli avvocati di Assange la possibilità di presentare un ultimo appello. Con però una postilla, non da poco. Visto che il motivo principale per cui viene accettato il ricorso è che gli Stati Uniti non hanno fornito rassicurazioni sufficienti sul fatto che negli Usa Assange sarà trattato “decentemente”, passatemi l’approssimazione, e potrà appellarsi al Primo emendamento, quello sulla libertà di stampa, viene data alle autorità statunitensi l’opportunità di fornire «assicurazioni soddisfacenti» in merito. 

Quindi, se tali assicurazioni saranno date, allora l’estradizione verrà confermata senza possibilità di appello, se invece non verranno fornite, ad Assange verrà concesso il permesso di appellarsi. La decisione finale sul caso verrà presa il 20 maggio (di nuovo, non sull’estradizione, ma sulla possibilità di un ulteriore appello).

Comunque, se siete interessati all’analisi della sentenza più nel dettaglio, vi faccio una sorta di appendice alla fine della puntata, un po’ più tecnica ma secondo me molto interessante, che prende spunto da un articolo di Patrick Boylan su Pressenza. La trovate alla fine, dopo lo stacchetto. Intanto proseguiamo con le reazioni.  

Già, perché la sentenza ha suscitato reazioni contrastanti. Ad esempio, come riporta un articolo del Corriere della Sera, Stella Moris, moglie del fondatore di WikiLeaks, si è mostrata piuttosto scettica: se da un lato ha riconosciuto al verdetto il merito di aver certificato come reali «la minaccia al diritto della libertà di espressione» di Assange, «la sua discriminazione» in quanto cittadino non americano e il rischio non cancellato del tutto — a dispetto di precedenti mezze garanzie — di una sua ipotetica condanna a morte, dall’altro ha fatto capire che non si fida del via libera condizionato concesso dai giudici britannici e si è detta «basita» per la possibilità lasciata aperta alle autorità di Washington di rovesciare ancora il verdetto attraverso un pezzo di carta con qualche rassicurazione in più. 

Oltre alla sentenza, continua a far molto discutere la scelta delle autorità americane di fare ricorso a una legge anti spionaggio per un caso che ha a che fare con l’informazione. C’è una intervista molto interessante sul manifesto ad Alan Rusbridger, che è stato direttore del Guardian per vent’anni ed è stato uno dei primi a dar voce ad Assange, di cui vi leggo giusto qualche passaggio:

“Beh, penso che sia una cattiva idea usare l’Espionage Act contro qualcuno che sta facendo quello che Julian stava facendo. Non credo che nessuno pensi seriamente che si trattasse di spionaggio. E il pericolo è che se si estrada qualcuno negli Stati Uniti con successo, i giornalisti che al momento non stanno prendendo molto sul serio questo caso potrebbero ritrovarsi con un brutto precedente”.

E ancora: “Penso che sia una tendenza pericolosa dei governi che usano la segretezza di Stato e la legislazione sullo spionaggio. E il punto di queste leggi è che non c’è difesa, che non si può dire “questo è il motivo per cui l’ho fatto”, cosa possibile nella maggior parte degli altri crimini. Quindi non è un caso per me che stiano usando quella legge, perché vogliono solo rinchiuderlo e punire altri, dissuadendoli dallo scrivere di ciò che si vuole mantenere segreto”.

Insomma, il caso Assange continua a far discutere e nel frattempo Assange continua a vivere in una condizione disumana, mese dopo mese, anno dopo anno, trascinato in una sorta di agonia. Secondo la moglie e i suoi legali è a rischio di morte e potrebbe suicidarsi. 

Ecco, io ho paura, molta paura, che la vita di Assange-uomo sia ormai segnata per sempre. Non so quanta possibilità di recupero ci sia per una persona che vive rinchiuso da 12 anni, di cui 5 in un carcere di massima sicurezza, in condizioni psicofisiche tremende. 

Resta la vicenda di Assange-simbolo. Forse su quella si può ancora fare qualcosa. Ci vorrebbe però un plot-twist importante. Assange andrebbe non solo non estradato, ma scarcerato, curato per quanto possibile e dovrebbe emergere il messaggio che un trattamento del genere nei confronti di una persona che non ha commesso alcun crimine se non quello di mostrare al mondo dei crimini di guerra non è accettabile. 

Allora, vi ho promesso un’appendice con la sentenza nel dettaglio ed eccola qua. Appendice che a occhio e croce sarà lunga quanto il resto della puntata ma vabbé. Come detto, e come spiega bene Patrick Boylan su Pressenza, l’Alta Corte di Londra ha concesso a Julian Assange la possibilità di presentare un ulteriore appello alla giustizia britannica contro la sua estradizione negli Stati Uniti.  

Ma solo in apparenza, scrive il giornalista. In realtà, i giudici rimandano la loro decisione definitiva al 20 maggio, cioè:

  1. Dopo aver studiato le garanzie per i diritti umani di Assange che gli USA dovranno presentare entro il 16 aprile
  2. Dopo aver esaminato le obiezioni all’attendibilità di quelle garanzie che gli avvocati di Julian dovranno presentare entro il 30 aprile
  3. Infine, dopo aver esaminato le critiche a quelle obiezioni che gli USA dovranno poi depositare entro il 14 maggio.

Quindi ci sarà presumibilmente questo ping pong fra le autorità americane e gli avvocati di Assange, al termine del quale l’Alta Corte si esprimerà in via definitiva.

Intanto, comunque, con la loro sentenza di ieri i giudici hanno eliminato sei delle nove obiezioni all’estradizione formulate dai legali di Assange. Per esempio, non sarebbe valida l’obiezione che l’estradizione sarebbe politica (considerate che le estradizioni politiche sono proibite proprio dalla Convenzione sull’estradizione tra gli USA e il Regno Unito).  

I giudici hanno fatto una distinzione tra “idee politiche” (è proibito estradare un individuo per le sue idee politiche) e “azioni a sfondo politico” che sarebbero invece sempre suscettibili di estradizione.  Quindi i giudici hanno ritenuto che la diffusione degli Afghan War Logs e dei Guantanamo files da parte di Assange sarebbero state sì azioni politiche, ma non la professione di un’idea politica.

Hanno annullato anche l’obiezione più pesante contro la richiesta di estradizione USA, ovvero il presunto complotto (che più che presunto è abbastanza documentato, da ben 30 testimonianze di whistleblower della CIA), studiato appunto dalla CIA, di rapire e/o assassinare Assange mentre era rifugiato nell’ambasciata ecuadoriana a Londra. Tutte le convenzioni sulle estradizioni affermano che non si può consegnare un imputato nelle mani di chi ha cercato di ucciderlo. Ma secondo i giudici l’esistenza di un complotto omicida non sarebbe stata sufficientemente dimostrata. 

E, aggiungono, anche se fosse vero che gli Stati Uniti hanno complottato per uccidere Julian dentro l’ambasciata ecuadoriana, quando l’avranno tra le mani dopo l’estradizione non sarà più necessario ucciderlo, quindi quel pericolo non esisterebbe concretamente più. 

Infine c’era un’altra obiezione cardine sul piano legale, ovvero il fatto che era venuta meno la segretezza delle comunicazioni tra l’imputato e i suoi avvocati. Infatti un processo in corso in Spagna ha mostrato che l’agenzia spagnola incaricata di proteggere l’ambasciata dell’Ecurador in realtà spiava Julian, registrava i colloqui con i suoi avvocati e trasmetteva quelle registrazioni alla CIA. 

In questo caso i giudici britannici hanno affermato che essendo il processo spagnolo tuttora in corso non può essere tenuto in considerazione. Anche altre tre obiezioni sono state fatte fuori, mentre i giudici hanno dato credito soltanto a tre obiezioni, delle 9 iniziali, ovvero:

  1. La mancanza di garanzie contro un’eventuale sentenza di pena di morte da parte del tribunale statunitense che processerebbe Assange dopo la sua estradizione (infatti le estradizioni sono proibite se l’imputato rischia la pena di morte nel Paese richiedente)
  1. La mancanza di garanzie che Julian, per difendersi, avrà il diritto di invocare il primo emendamento alla Costituzione statunitense (il diritto alla libera espressione) in quanto non è un cittadino americano (le estradizioni sono proibite se l’imputato rischia di non godere degli stessi diritti dei cittadini del Paese richiedente)
  1. La mancanza di garanzie che Julian non subirà discriminazioni durante il futuro ipotetico processo proprio in quanto non può invocare la cittadinanza USA come protezione.

Quindi, ecco, è su questi 3 punti che il Dipartimento di Giustizia americano dovrà fornire sufficienti rassicurazioni a quelle inglesi. Quindi in pratica dovranno assicurare che Assange non rischia la Pena di morte, che potrà fare ricorso al primo emendamento e che non sarà discriminato in quanto cittadino non americano. Dopodiché i legali di Assange potranno presentare delle contestazioni, e le autorità americane potranno rispondere alle contestazioni, e infine la Corte si esprimerà in via definitiva il 20 maggio.

Se i giudici riterranno le rassicurazioni americane sufficienti, l’estradizione potrebbe avvenire allora immediatamente. Scrive sempre Boylan che c’è già un aereo della CIA che attende sulla pista di un aeroporto militare vicino a Londra.

Tuttavia c’è la possibilità che queste obiezioni non vengano annullate come le altre. Ad esempio, come sostiene Halo Benson, attivista statunitense di Assange Collective,  “Le tre rimanenti obiezioni non potranno essere facilmente spazzate via come le altre. Questo perché ci sono già dichiarazioni da parte delle autorità statunitensi secondo le quali Assange non potrà invocare il Primo Emendamento non essendo cittadino americano”. 

“In quanto al rischio di pena di morte, gli avvocati statunitensi hanno già detto durante l’udienza del 21 febbraio che non erano in grado di escludere quella possibilità. Perciò nell’impossibilità di avere le garanzie richieste dalla Corte, rimangono in piedi le tre rimanenti obiezioni all’estradizione e il 20 maggio i giudici decideranno di consentire la riapertura del caso per poter dibattere più approfonditamente proprio questi tre punti.  Se essi continueranno a rimanere in piedi dopo questo ulteriore dibattimento, l’estradizione verrà rifiutata e Julian potrà essere scarcerato.” Staremo a vedere.

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