È iniziata anche COP28, la conferenza delle parti sul clima, ieri pomeriggio, a Dubai. Se non siete pratici facciamo un rapidissimo ripasso di che cosa è una COP. COP è un acronimo che sta per conferenze delle parti ed è il modo che le nazioni unite hanno trovato per affrontare il problema del cambiamento climatico.
In pratica, ne 1992 durante il cosiddetto Summit della terra di Rio, i rappresentanti dei vari stati firmarono la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici.
Tale convenzione metteva le basi delle future politiche di contrasto ai cambiamenti climatici e istituiva questo incontro annuale in cui confrontarsi sul tema, fare il punto della situazione, e prendere nuove decisioni. Alle Cop partecipano delegazioni di praticamente ogni nazione al mondo, quindi funzionari, rappresentanti, ma anche scienziate e ricercatori, così come rappresentanti della società civile ma anche delle aziende, spesso anche lobbysti dell’industria fossile.
L’edizione di quest’anno è la numero 28,il che già di per sé ci dice che non è che stiano funzionando benissimo. E si terrà a Dubai, il che è anche qui già un altro elemento di discussione, perché gli Emirati Arabi Uniti sono uno dei principali produttori di petrolio e a presiedere la Cop sarà il presidente di un enorme compagnia petrolifera statale.
Ma di cosa si parlerà? Come racconta la prima delle newsletter quotidiane di ICN, che fa sempre un ottimo lavoro di cronaca delle COP, “In molti nelle ultime ore hanno parlato del forfait di Papa Francesco per motivi di salute, di quello del Presidente USA Biden, di affari ben poco green promossi dalla Presidenza emiratina. Tutte queste notizie sono parte di questa storia, ma proviamo ad andare alla sostanza: stiamo per entrare nella seconda COP consecutiva senza una revisione migliorativa dei piani sulle emissioni, stiamo per entrare nella COP del primo auto-esame globale, il Global Stocktake.
Ma quindi di cosa si parla? Innanzitutto c’è il tema dei piani nazionali, detti NDC in inglese (Nationally Determined Contribution), ovvero i “compiti a casa” per tutti i Paesi che hanno ratificato l’Accordo di Parigi dal 2015 in poi.
La sommatoria di tutti gli obiettivi e di tutti i piani dei 195 Governi aderenti dovrebbe portare il mondo a ridurre le proprie emissioni in maniera così significativa da arrivare alla fine del secolo con un riscaldamento globale contenuto entro +1,5°C o +2°C rispetto alle medie preindustriali. Questi piani sono stati presentati dai Paesi nel 2015 in vista di Parigi e poi (alcuni) aggiornati e modificati per renderli più ambiziosi.
Solo che per adesso questi piani di riduzione ci portano verso un mondo ampiamente surriscaldato. Per arrivare all’obiettivo di non superare la soglia del +1,5°C entro fine secolo si dovrebbe avere una riduzione di circa il -45% in termini di emissioni di gas serra entro il 2030, mentre quello che sta succedendo è che stiamo andando a un +9% di emissioni al 2030 rispetto al 2010.
Nel 2021, a Glasgow, fu scritto che i Paesi avrebbero presentato nuovi piani entro la COP27 dell’anno successivo. Poi lo scoppio del conflitto in Ucraina ha profondamente rallentato, se non fermato, l’intero processo. Quindi a che punto siamo?
Ecco, quest’anno non è previsto che i governi si diano nuovi obiettivi ma che facciano il punto su quanto li stanno mantenendo, con una procedura di autoanalisi che prende il nome di Global Stocktake. L’Accordo di Parigi, infatti, prevede che i Paesi auto-analizzino collettivamente i loro sforzi sul clima ogni cinque anni a partire proprio dal 2023, così da poter meglio predisporre i successivi aggiornamenti degli NDC per il 2025, 2030 e così via.
Il lavoro di analisi dei risultati è già in fase avanzata ed in sede di COP28 i Paesi dovranno dibattere su cosa scrivere nei testi finali, visto che il quadro non è affatto positivo. Come afferma la newsletter di ICN “Sul tema possiamo aspettarci tensioni, spaccature e colpi di scena”.
L’altro tema è, di nuovo, il fondo a compensazione di perdite e danni (il famoso loss and damage che ha caratterizzato l’ultimo incontro) ovvero un fondo con cui i paesi ricchi e principali emettitori storici aiutano i paesi più poveri a far fronte ai danni della crisi climatica. Altro tema che porterà tensioni, perché si lavorerà sulla bozza di regolamento su come funzionerà questo nuovo Fondo a compensazione di perdite e danni.
Sullo sfondo di tutto ciò, ci sono parecchi interrogativi. Un po’ sul senso di questi incontri in generale, con due argomentazioni diverse, che sento un po’ anche dentro di me, una che dice “non stiamo risolvendo il problema, dobbiamo cambiare sistema, non sta funzionando”, l’altra che dice “meglio comunque che ci siano, è un momento in cui comunque tutto il mondo parla di clima, meglio poco che niente e così via”.
Un po’ anche sul senso di questa specifica COP, che viene fatta appunto a Dubai, con presidente della COP che è Sultan Ahmed Al Jaber, che è l’amministratore delegato della Abu Dhabi National Oil Company (ADNOC), l’azienda petrolifera statale emiratina, che è considerata la 12esima più grande società del settore al mondo. M
La parte che più perplime, non è solo il fatto di per sé di organizzare un incontro come questo in casa di uno dei più grandi estrattori di petrolio del pianeta, che uno potrebbe anche dire, meglio, sono proprio loro che devono aderire e partecipare agli accordi. Ma il fatto che gli organizzatori possano proprio remare nel senso opposto. Come riporta il Post, ad esempio, alcuni documenti arrivati all’organizzazione Centre for Climate Reporting e a BBC lasciano intuire che gli Emirati avrebbero intenzione di fare accordi per la vendita di combustibili fossili con 27 altri paesi approfittando della presenza dei loro rappresentanti durante la COP (anche se Al Jaber ha negato che sia vero).
Inoltre, ma qui non dipende dagli organizzatori, anche il fatto che manchino all’appello i presidenti di Usa e Cina, i due paesi che emettono più CO2 al mondo, non lascia proprio ben sperare e dà l’impressione di un incontro preso un po’ sottogamba.
Comunque, staremo a vedere. E proprio a questo proposito vi annuncio una grossa novità, che riguarda proprio il modo in cui seguiremo la COP. Allora, potrei infiocchettarvela molto meglio perché è una cosa veramente figa, ma ci conosciamo da anni (mi immagino uno che guarda questo video per la prima volta e dice, “ma chi ti conosce”) e quindi vi dico papali papali le cose come stanno.
La prossima settimana saremo a Potsdam, vicino Berlino, con tutta la redazione di ICC per uno scambio con una organizzazione tedesca molto affine a noi con cui stiamo costruendo una rete europea. Tutto molto bello, se non che non avevo idea di come coprire la COP stando là a fare incontri tutto il giorno., e senza avere la possibilità di registrare la rassegna.
Per fortuna ci sono venute in aiuto un po’ di persone. Innanzitutto Paulo Lima, amico e Ashoka Fellow, che con i ragazzi e le ragazze della sua Agenzia Stampa Giovanile realizzerà un podcast quotidiano da Dubai per noi. Saranno proprio là, fisicamente, e ci racconteranno come vanno i negoziati e raccoglieranno anche testimonianze interessanti.
Inoltre ogni giorno Sergio Ferraris, giornalista scientifico-ambientale che probabilmente conoscerete, uno dei più bravi, esperti e preparati che abbiamo nel nostro paese, ci manderà un commento di un minuto sulla COP. Quindi ecco, la prossima settimana, ad eccezione del lunedì in cui non andremo in onda, INMR sarà praticamente esternalizzata e data in affido a loro. Direi in ottime mani.
Avrete sentito parlare del passaggio per le bollette di luce e gas dal servizio di maggior tutela al libero mercato. È tanto che se ne parla, in realtà, perché questo passaggio doveva avvenire anni fa ma poi è sempre stato rimandato. Adesso invece la fine del servizio di maggior tutela sembra effettivamente essere alle porte.
Ma che vuol dire? Già, perché è uno di quegli argomenti di cui sentiamo parlare spesso ma in fin dei conti non sappiamo esattamente di che si tratti (ipotizzo eh). Già il nome “servizio di maggior tutela” sembra una roba tecnica e incomprensibile, io in genere a maggior mi sono già distratto.
Comunque, che roba è dicevamo? In pratica al momento esistono due possibili tariffe per luce e gas e ogni cliente può scegliere a quale affidarsi. Una è quella del libero mercato, determinata, come per ogni cosa affidata al mercato, dai gestori che concorrono fra di loro per offrire un prezzo migliore.
La seconda è appunto il servizio di maggior tutela, o mercato tutelato dell’energia, che è quello determinato da Arera, Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, che è un prezzo in genere abbastanza standard e meno variabile.
Adesso, dopo anni in cui queste due forme hanno convissuto, viene decretata la fine del mercato tutelato e quindi chi aveva scelto quella tariffa dovrà volente o nolente passare al libero mercato. Più o meno.
Leggo da Open che “Sono quasi dieci milioni i clienti interessati alla fine del mercato tutelato dell’energia. Il primo gennaio 2024 terminerà quello del gas. Il primo aprile tocca all’elettricità. Il governo Meloni ha deciso di non prorogarlo nel decreto Energia e quindi entra in vigore la normativa della legge 124/2017. Che prevede appunto la fine dei servizi di tutela. E il progressivo passaggio al libero mercato, che nel tempo rimarrà l’unica modalità di fornitura.
Intanto però ci sono dei periodi di tutela: nel gas chi non sceglie avrà un servizio a condizioni Placet (che sarebbe l’acronimo di Prezzo Libero a Condizioni Equiparate di Tutela, e sarebbero una sorta di via di mezzo tra mercato libero e mercato tutelato). Per l’elettricità è prevista una modalità a tutele graduali, con un meccanismo abbastanza simile.
Ci sono poi delle esenzioni per i cosiddetti clienti vulnerabili. Ovvero over 75, percettori di bonus, disabili e chi abita in strutture post calamità per il gas. Anche malati soggetti ad apparecchiature e abitanti di isole minori non interconnesse per l’elettricità.
Ma cosa cambia dal mercato libero a quello tutelato? Come dicevamo, se nel mercato tutelato il prezzo lo fa Arera, in quello libero sono i gestori a definire prezzi e condizioni contrattuali. Ovviamente il riferimento base è il mercato energetico all’ingrosso, ma possono praticare sconti o strategie commerciali come il blocco dei prezzi per 12 o 24 mesi. Oltre a tariffe variabili a seconda dell’orario, premi fedeltà e così via.
In qualsiasi momento è possibile scegliere l’operatore. Arera ha messo a disposizione il sito Ilportaleofferte.it che offre «un confronto tra le offerte luce e gas». Il sito sportelloperilconsumatore.it fornisce invece informazioni e risoluzioni di controversie nei cambi di fornitore. Invece consumienergia.it serve a vedere i dati di consumo della propria utenza.
La decisione, spiega infine l’articolo, va presa in funzione della propria situazione familiare. Una famiglia numerosa, per esempio, potrebbe avere convenienza nello scegliere una tariffa monoraria. Un single potrebbe scegliere una tariffa bioraria. Così come una coppia che non vive in casa tutto il giorno. Alcuni fornitori proporranno anche tariffe per gas ed elettricità. Anche qui va verificata la convenienza di entrambe. Infine, l’attivazione è gratuita. E la procedura è pensata per non rimanere mai senza energia o gas.
Bene, facciamo qualche ragionamento. Vi anticipo che anche se non lo starò a citare ogni volta, questi ragionamenti sono frutto di uno scambio di messaggi con Alessandro Rossi, responsabile energia di Anci Emilia Romagna ed esperto di mercato energetico.
Partiamo dall’elettricità. Innanzitutto, la prima cosa da dire è che i prezzi sono tutti molto simili. In primis perché con la situazione energetica generale a livello mondiale nessun fornitore si azzarda più a fare offerte particolarmente vantaggiose e rischiose.
E poi perché la componente energia è l’unica parte della bolletta sui cui possono agire i venditori. Oggi che gli oneri di sistema sono ridotti grazie a contributi del governo per il caro bollette, la componente energia è più del 60% della bolletta, ma quando torneranno gli oneri di sistema (ovvero ad aprile 2023 salvo sorprese) la componente energia peserà il 35-40%.
Quindi un fantomatico sconto del 20% sulla componente energia si tramuterà in una riduzione dell’8% sulla bolletta totale.
Quindi ecco, il consiglio è di non farsi troppo abbindolare da offerte che promettono miracoli. Se si vuole risparmiare, il modo migliore è consumare meno energia.
Visto che il prezzo non è un fattore rilevante, questo apre la strada ad altri ragionamento. Ci saranno 10 milioni di persone che dovranno fare un nuovo contratto sul mercato libero. Perché non approfittarne, se già non lo fanno, e fare un contratto di energia verde? Ogni fornitore ne ha almeno uno. Anzi vi dico di più: le uniche realtà che plausibilmente possono permettersi di fare anche prezzi migliori sono quelle che dichiarano esplicitamente che il prezzo è in tutto, o in parte, legato a impianti rinnovabili. Come nel caso della tariffa Prosumer di ènostra, o di altre cooperative simili. Fra l’altro – e questa è una grossa novità – di recente anche una grande utility come A2A ha attivato un’offerta simile.
Poi c’è il capitolo gas. Anche qui i prezzi delle offerte si discostano molto poco, e per risparmiare si fa meno fatica a consumare meno che a trovare un’offerta migliore. In questo caso però, rispetto all’elettricità, il tema è un altro. Con la crisi climatica in corso, dobbiamo liberarci del gas il prima possibile e quindi, più che fare scelte di un gas ecologico, ha senso iniziare a sostituirlo, ad esempio col piano a induzione al posto dei fornelli (che sono circa il 5-10% dei consumi di gas) per poi usare i condizionatori /pompe di calore d’inverno per riscaldarsi riducendo le combustione di gas.
Il metano verde è un’invenzione di marketing: il gas “verde” non è altro che una compensazione delle emissioni (fra l’altro spesso solo quelle per legate all’estrazione spesso e non alla combustione) con progetti di forestazione sparsi per il mondo, che hanno effetti dubbi, come ha anche mostrato un’inchiesta del Guardian di cui abiamo parlato qualche mese fa.
C’è il tema del biometano, ovvero quello prodotto dagli scarti, ma è destinato a rimanere una percentuale residuale, su cui non possiamo fare molto affidamento.
Domani, sabato 2 dicembre, ci sarà una grande manifestazione di protesta contro il redivivo progetto di realizzare il ponte sullo stretto. Domenica scorsa Report ha mandato in onda un’inchiesta molto interessante da cui emergono tutte le contraddizioni di questa opera.
La nostra Elisa Cutuli ha contattato l’ex sindaco di Messina ed attivista Renato Accorinti per un commento sulla questione. Visto che il commento è un po’ì lungo ma molto interessante qui ve ne faccio ascoltare solo un breve estratto, trovate la versione completa nella pagina rassegna stampa.
Audio disponibile nel video / podcast
Adesso la parola al nostro direttore Daniel Tarozzi per la consueta rubrica La giornata di ICC
Audio disponibile nel video / podcast
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