31 Ott 2024

La tempesta del secolo in Spagna. Quando l’adattamento climatico non basta – #1012

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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In Spagna, e in particolare a Valencia, in poche ore è caduta la quantità doi pioggia che cade in un anno causando alluvioni senza precedenti e decine di morti. Colpisce che la città più colpita sia anche un modello di città green che ha investito nella transizione ecologica e nell’adattamento climatico. Sempre a proposito di alluvioni parliamo di alcune dichiarazioni fuori luogo del Ministro della protezione civile Nello Musumeci e di come il territorio emiliano avrebbe potuto adattarsi meglio per prevenire alluvioni come quelle recenti. Parliamo anche di un’inchiesta sui livelli di mercurio del tonno e sulla connivenza fra politica e lobby della pesca, di alcuni aggiornamenti da Massimo Vallati, ideatore di Calcio sociale e infine di un bellissimo progetto che in Calabria vuole costruire una comunità sostenibile ed equa, dal basso. 

Da martedì forti alluvioni stanno colpendo il sud-est della Spagna, inondando diverse città soprattutto nelle comunità autonome di Valencia e di Castiglia-La Mancia. L’ultimo aggiornamento del ministero dell’Interno spagnolo dice che almeno 72 persone sono morte solo nella provincia di Valencia, e che ci sono ancora diversi dispersi. Inoltre, due donne sono morte nella regione di Castiglia-La Mancia e adesso è allerta massima a Barcellona.

Le immagini che arrivano soprattutto da Valencia sono impressionanti. Montagne di auto accartocciate l’una sull’altra, trascinate dalla potenza delle acque. A Valencia, in 8 ore, è caduta la pioggia che cade in un anno intero. Ci sono ancora decne di dispersie i danni sono al momento incalcolabili. Come scrive El Pais, l’Agenzia meteorologica statale (Aemet) aveva alzato martedì alle 8 il livello di allerta da arancione a rosso per la costa meridionale valenciana, dove in appena un’ora si erano accumulati 90 litri. Si stimava che le piogge avrebbero potuto essere dai 150 ai 180 litri per metro quadrato, ma alla fine ne sarebbero stati rilevati più di 491, secondo i dati provvisori, nella zona di Chiva. I paesi più colpiti sono stati Requena e Castelló.

Come racconta il Fatto QUotidiano, La situazione meteorologica che ha causato questo brutale episodio deriva da una combinazione di almeno due diversi fattori, come ha spiegato Rubén Del Campo, portavoce dell’Aemet. Da un lato, c’è una Dana (una depressione isolata nei livelli superiori dell’atmosfera, detta anche goccia fredda), che ha provocato precipitazioni lo scorso fine settimana e che si è posizionata sul Golfo di Cadice a partire da lunedì.

Come spiega il Post, una “DANA si forma quando una massa di aria fredda si sposta sopra le acque calde del Mediterraneo e così permette all’aria più calda e umida in superficie di salire rapidamente. Il contrasto tra le due masse crea nuvole cariche di pioggia che vengono sospinte verso la Spagna. 

In questo caso, questa DANA posizionata sul golfo di Cadice ha portato anche alla formazione di una burrasca nella zona, e ha favorito, per via di altre interazioni meteorologiche, l’arrivo di venti orientali sulla costa mediterranea. L’incontro di questi due fenomeni ha scatenato questo fenomeno molto violento. 

Alcuni meteorologi intervistati dal New York Times hanno spiegato che questi fenomeni sono diventati più estremi negli ultimi anni perché il Mediterraneo si sta scaldando, rendendo l’aria sopra le sue acque più calda. L’aria più calda trattiene più vapore acqueo e quindi quando questi venti di aria calda molto umida si sono scontrati con la depressione hanno scaricato tutta la loro acqua in punti specifici.

Oltre all’enorme tragedia umana, c’è un aspetto che colpisce molto di questa storia ed è il fatto che Valencia è una delle città che ha investito di più nella transizione ecologica e nelle strategie di adattamento climatico.

Lo nota un articolo di GreenMe a firma di Riccardo Liguori, che contiene una interessante intervista al fisico del clima Antonio Pasini.

Leggo: “Mentre i soccorritori continuano a scavare tra le macerie alla ricerca di dispersi, molti di noi si interrogano su come sia potuto accadere. Come è possibile che anche una città insignita del titolo di Capitale Verde Europea 2024 sia stata così duramente colpita dalla furia di questo evento meteo estremo?

La risposta, per quanto dolorosa, potremmo averla: l’impegno per l’ambiente, pur fondamentale, non è sufficiente se non interveniamo direttamente, uniti e con decisione sulle cause del cambiamento climatico. Valencia, con le sue politiche di mobilità sostenibile e l’aumento degli spazi verdi, ha dimostrato una grande attenzione alla sostenibilità ambientale, ma questo non è bastato a proteggerla dalla violenza inaudita dell’evento. L’alluvione che ha colpito la città è un tragico monito che ci ricorda come l’adattamento da solo non sia sufficiente.

“Non possiamo pensare di adattarci a tutto”, ha spiegato a GreenMe Antonello Pasini, fisico del clima del Cnr. “Se non facciamo mitigazione, cioè se non riduciamo le emissioni di gas serra, gli eventi estremi saranno sempre più frequenti e intensi, e l’adattamento non sarà più sufficiente”.

Più avanti il climatologo spiega: “I colleghi climatologi spagnoli mi dicono che fenomeni meteo come quelli di Valencia ci sono già stati, ma una violenza simile non si era mai vista in cent’anni. Noi ricercatori non sappiamo ancora se a causa del riscaldamento globale gli eventi meteo estremi sono diventati più frequenti. Ma siamo sicuri che sono diventati più violenti“.

Insomma, per quanto possiamo pensare di adattare le nostre città al clima che è già cambiato, c’è comunque una soglia superata la quale è improbabile riuscire ad uscirne indenni. Quindi ecco, ricordiamoci di mettere sempre le “e” quando parliamo di transizione ecologica: servono strategie di adattamento e mitigazione, quindi azzeramento delle emissioni. 

È importante stressare questo punto perché vuoi per questioni biologiche, vuoi per questioni culturali, il nostro cervello tende a ragionare mettendo spesso le o, quindi chiedendosi se sia più importante l’una o l’altra cosa. Dobbiamo farle entrambe.

Non penso di dire niente di nuovo o sconvolgente se affermo che la politica è spesso inadeguata nell’affrontare la crisi climatica. Ma a volte, il fatto che certe cose si ripetano spesso uguali a sé stesse, ce le fa apparire normali, quando normali non sono e normali non dovremmo considerarle. 

E allora voglio ringraziare Alessandro Mortarino, Coordinatore del Forum nazionale Salviamo il Paesaggio, per un articolo sul sito Altri Tasti in cui analizza un discorso del nostro Ministro per la Protezione Civile e le Politiche del mare, Nello Musumeci, che martedì scorso ha rilasciato una lunga intervista in diretta a “Pomeriggio 24”, su RaiNews, passata forse troppo inosservata, in cui esprime le sue considerazioni post alluvione in ER.

Il Ministro ad esempio parla di “limitazione del consumo di suolo”, quando sarebbe il momento di parlare di arresto, come fra l’altro previsto dagli impegni che l’Italia ha già sottoscritto e che deve rispettare entro il 2030, e come ad esempio ha fatto il Forum nazionale Salviamo il Paesaggio nella Proposta di Legge sul consumo di suolo – bloccata al Senato nella scorsa legislatura e ora alla Camera nelle medesime condizioni.

Ma la dichiarazione più spinta del Ministro è certamente questa: «Una certa responsabilità è anche di un certo ambientalismo integralista che ha dettato con la propria presenza una legislazione e una normativa assai vincolistica. Voglio dire che l’Ispra, per esempio, che è un istituto di grande scienza e cultura, sembra essere nelle mani di qualche ambientalista particolarmente fazioso; di quelli, cioè, che non consentono alla Pubblica Amministrazione di intervenire e togliere un albero che è cresciuto nell’alveo di un fiume e che quindi può diventare un ostacolo quando il fiume è in piena o di consolidare gli argini perché c’è un tipo di insetto particolare o perchè c’è un tipo di uccello particolare che deve nidificare in quelle zone. E quindi non si apre il cantiere, arriva la pioggia, si va all’esondazione, si va alla tracimazione, si contano i morti. Non è, questo, ambientalismo responsabile: mi sembra un ambientalismo molto ideologicizzato».

Ora, capire anche il discorso se rivolto ad alcuni mondi ambientalisti ideologizzati, che certamente esistono. Ma parlare in questi termini di ISPRA, un istituto di ricerca nazionale, mi sembra davvero un po’ fuori luogo, come a voler addossare per forza la colpa a qualcuno in maniera sì, in questo caso, molto ideologica.

Come commenta Mortarino più avanti, “La sensazione – affatto gradevole – è che si stia avviando la compilazione di qualche nuova “lista di proscrizione”, che potrebbe vedere in testa le denominazioni di molte associazioni onestamente critiche verso le inanità o i ritardi del Governo di turno e del Legislatore sovrano e, a seguire, dello stesso Sistema nazionale di protezione ambientale, la cui mancata attuazione di riforma sta diventando un fattore di scarsa credibilità delle istituzioni per un corretto svolgimento delle politiche ambientali”.

Sempre a proposito di alluvioni in ER e di adattamento climatico, vi segnalo un bell’articolo scritto da Benedetta Torsello e che pubblichiamo oggi su ICC che ci racconta, in seguito alle alluvioni in ER quali strategie di adattamento andrebbero adottate per limitare gli effetti di nuovi eventi climatici estremi che con sempre maggiore ricorrenza stanno colpendo il nostro paese.

Audio disponibile nel video / podcast

Il tonno in scatola è alimento molto consumato. Ed è noto il fatto che contenga mercurio e che non faccia proprio benissimo. Perché il mercurio è una sostanza neurotossica ed è molto pericolosa per la salute umana. Ora però un’inchiesta dell’Ong Bloom svela ulteriori dettagli inquietanti, mostra quanto la contaminazione di mercurio sia diffusa e tira fuori anche pericolosi giochi d’interesse e legami economici fra industria del tonno e politica.

Innanzitutto l’inchiesta, riportata da GreenMe, ha confermato che tutte le scatolette di tonno in Europa contengono mercurio. In pratica il 100% dei campioni analizzati, ovvero 148 scatolette di tonno provenienti da Germania, Inghilterra, Spagna, Francia e Italia erano contaminate e  più di una lattina su due testata (57%) superava il limite massimo di mercurio applicato ad altre specie ittiche (0,3 mg/kg). 

Pensate che delle 148 scatole, una confezione della marca Petit Navire, acquistata in un Carrefour City parigino, presentava un contenuto record di 3,9 mg/kg, cioè 13 volte superiore a 0,3 mg /kg.

Bloom spiega anche che il limite massimo di mercurio consentito nel tonno è tre volte superiore rispetto ad altre specie ittiche come il merluzzo, cioè è 1mg/kg per il tonno fresco contro 0,3 per il merluzzo, senza alcuna giustificazione sanitaria. Cioé: questo limite è stato fissato in base ai livelli di contaminazione riscontrati nel tonno, più che sulla base di un criterio di sicurezza per la salute. 

E visto che il tonno, essendo un predatore al vertice della catena alimentare, accumula più metalli pesanti rispetto ad altre specie, è più contaminato, e allora si è pensato bene di innalzare il livello consentito. 

L’inchiesta accusa anche il sistema normativo, evidenziando legami molto stretti e specifici tra membri del comitato congiunto FAO-OMS, che determina i livelli ammissibili, e interessi industriali della lobby del tonno. Anche il Codex Alimentarius, istituito per regolare gli standard alimentari internazionali, subisce pressioni dalla lobby del tonno, con il coinvolgimento di Paesi come i Paesi Bassi, influenti nell’industria della pesca, e una rappresentanza diretta delle grandi aziende del tonno nelle riunioni del comitato.

Per contrastare la situazione, Bloom e Foodwatch hanno lanciato una campagna chiedendo di abbassare il limite di mercurio nel tonno a 0,3 mg/kg e vietare la vendita di prodotti con livelli superiori a questa soglia, oltre a bandire il tonno in contesti sensibili come scuole e ospedali. Le associazioni hanno inoltre avviato una petizione indirizzata ai principali distributori europei, esortandoli a fermare la promozione e vendita di tonno contaminato, e a prendere misure concrete per tutelare la salute pubblica.

Non so se ve lo ricordate ma qualche settimana fa abbiamo raccontato in rassegna che Massimo Vallati, ideatore e fondatore di Calciosociale, un bellissimo progetto di sport e inclusione sociale nato nel quartiere romano di Corviale, è stato vittima di un bruttissimo episodio di intimidazione. La sua auto è stata data alle fiamme nella notte, come purtroppo a volte capita a persone che portano avanti progetti bellissimi e innovativi in quartieri difficili, gestiti anche dalla malavita.

Massimo è un nostro amico, è una delle storie più potenti che abbiamo racocntato e quindi lo abbiamo ricontattato per sapere come stanno andando le cose. Ecco cosa ci ha risposto. 

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Grazie Massimo, ci sentiamo presto per nuovi aggiornamenti.

E a proposito di quartieri difficili e progetti meravigliosi, oggi su ICC vi raccontiamo di F.A.T.A. Comunità, un progetto che punta alla rigenerazione urbana e sociale del quartiere Arghillà di Reggio Calabria, noto per la marginalizzazione sociale e le difficoltà infrastrutturali. 

L’articolo, a firma di Tiziana Barillà, lo descrive nei dettagli. Fata è l’acronimo di Fuoco, Acqua, Terra, Aria e Comunità, i 5 elementi, e mira a trasformare il quartiere attraverso interventi come una comunità energetica solidale, un sistema di raccolta delle acque piovane, un eco-compattatore, un hub per il riuso e nuovi spazi sportivi. 

L’iniziativa include anche attività di animazione sociale per coinvolgere i residenti, come un servizio di “taxi sociale” per collegare il quartiere a servizi essenziali e l’installazione di targhe toponomastiche per dare identità alle vie. Insomma, davvero una roba super interessante, vi terremo aggiornati.

Ho chiesto a Tiziana di racocntarci l’articolo:

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