29 Apr 2024

Europee, il caso Vannacci e la polemica come arma politica – #921

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A poco più di un mese dalle elezioni europee la campagna elettorale dei partiti entra nel vivo, anche grazie alle candidature. Una su tutte sta facendo discutere ed è quella del Generale Roberto Vannacci, candidato apertamente razzista e omofobo, fortemente voluto da Salvini per la Lega. Al di là delle polemiche credo che la questione ci dia alcune indicazioni interessanti. Parliamo anche della legge che apre le porte dei consultori alle associazioni antiabortiste in Italia e di come è andato l’atteso incontro fra il Segretario di Stato Usa Anthony Blinken e il Presidente cinese Xi Jinping.

Manca poco più di un mese alle elezioni europee, e i partiti nel nostro paese stanno entrando nel vivo della competizione elettorale. Nelle prossime settimane cercheremo di capire, se volete anche di analizzare i programmi elettorali, e magari anche di dare uno sguardo ai candidati più interessanti da vari punti di vista. 

Però, ecco, approcciamo l’argomento in maniera molto mainstream iniziando da quello di cui parlano i giornali, che comunque ci dice qualcosa. Quello di cui parlano tutti i giornali ha un nome e un cognome, si chiama Roberto Vannacci ed ha un titolo roboante: capo di stato maggiore del Comando delle forze operative terrestri.

Ma non è per via del suo titolo roboante che i giornali parlano di lui, ma per le sue idee politiche contenute nel libro dal titolo “Il mondo al contrario”, autoprodotto e diventato un caso editoriale dal 200mila copie vendute la scorsa estate.

Che poi uno potrebbe pensare che il titolo “Il mondo al contrario” sia una roba autoironica legata alla prospettiva da cui vede il mondo un tizio con esplicite simpatie fasciste, per solidarietà verso il suo idolo, e invece per Vannacci è proprio il mondo di oggi ad essere al contrario, quello in cui i gay sono convinti di essere normali, in cui uccidere qualcuno che vuole fregarti l’orologio non è un diritto inalienabile e cose così.

Insomma il pensiero di Vannacci è talmente infarcito di passaggi omofobi, razzisti, sessisti e in generale ritenuti offensivi che il ministero della difesa di questo governo ha avviato un’inchiesta e a fine febbraio ha deciso di sospenderlo per 11 mesi per aver dimostrato «carenza del senso di responsabilità», leso il «principio di neutralità/terzietà della forza armata» e compromesso «il prestigio e la reputazione» dell’esercito.

Comunque, la notizia è che Vannacci sarà candidato con la Lega, e che la sua candidatura è stata scelta in prima persona dal leader del partito, Matteo Salvini, andando contro molti esponenti della Lega stessa e causando non pochi malumori nel governo. 

Leggo sul Corriere: “Dal Veneto al Piemonte passando per la Lombardia, c’è un magma ribollente insofferenza per una candidatura che Matteo Salvini ha voluto a tutti i costi. Compreso quello, visto che i posti saranno pochi vista la discesa dal 34 per cento del 2019 all’8 per cento possibile del 9 giugno, di lasciare a casa un fedelissimo per offrire un diritto di tribuna ad una figura che ha idee e posizioni, per stessa ammissione del segretario, non sempre condivise.

Ora, in realtà vi ho raccontato tutte queste cose non tanto per gridare allo scandalo Vannacci, ma perché penso che questa vicenda ci dica diverse cose. La prima è che ho l’impressione che candidature come quella di Vannacci siano fatte proprio per generare scandalo, perché se ne parli. E quindi i giornali che lo piazzano in prima pagina con titoli scandalizzati, anche se lo fanno per screditarlo, fanno esattamente il gioco di Salvini che lo candida. 

Voi mi direte: lo hai fatto anche tu. Sì, vero, ho messo questa notizia in apertura, e devo ammettervi che ci ho riflettuto a lungo se fosse o meno una scelta saggia, però alla fine ha prevalso in me la voglia di provare a raccontare e provare a smontare il meccanismo. Ma vi dirò, mi restano dei dubbi. 

Altro aspetto interessante, la sensazione che mi arriva da questa vicenda è che per Salvini queste europee possano essere un po’ un’ultima spiaggia per restare leader del partito. Non che Salvini sia nuovo a fare provocazioni come questa, ma il fatto che mezzo partito gli si stia rivoltando contro non è un dato che può ignorare. O meglio, può ignorarlo, potrà ignorarlo, solo se potrà dichiarare una grande vittoria post elettorale. Quindi è una mossa da all-in: o va molto bene e allora supererà cpon la forza le spaccature, oppure va male e allora ne sarà vittima. 

Ultimo aspetto che ci dice questa vicenda: la Lega vuole cercare di rosicchiare voti non tanto fra gli indecisi, ma proprio fra i suoi alleati. Perché un Vannacci è una figura in vista, dalle idee estreme, che di certo non attira un indeciso, ma magari può spostare qualche elettore di FdI verso la Lega. Da questo punto di vista è interessante anche osservare gli slogan elettorali di Lega e FdI a confronto. Vi sarà capitato di vedere i cartelloni di Meloni e Salvini per le europee. Ecco: FdI ha scelto la scritta “Più Italia in Europa”. La Lega – fatto curioso trattandosi di elezioni europee – “Più Italia, meno Europa”. Insomma, la Lega di Salvini sembra voler giocare all’opposizione dall’interno del governo. Vedremo. Vedremo.

Venerdì, fra le polemiche, il Senato ha approvato un provvedimento che consente alle associazioni pro-vita e antiabortiste di operare all’interno dei consultori. Il testo era già stato approvato alla Camera e quindi è nei fatti legge. 

Come potrete immaginare la cosa sta sollevando polemiche e alzate di scudi. E non solo per via del tema delicato su cui interviene, ma anche per come è stata approvato il provvedimento, che in pratica è stato inserito all’interno di un decreto legato al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), con cui evidentemente non c’entra nulla, decreto che andava convertito in legge entro il 1 maggio, e su cui la maggioranza ha posto la fiducia, rendendone pressochè scontata l’approvazione.

Comunque, cosa significa avere associazioni pro vita che possono operare all’interno dei consultori? Uno spaccato di futuro ci arriva da un articolo di Repubblica, che denuncia ciò che in realtà già da diverse settimane se non mesi sta avvenendo in alcuni consultori di Aosta, dove ancora prima dell’approvazione della legge evidentemente questa cosa sta già avvenendo. 

In pratica, come denuncia  il Centro donne contro la violenza di Aosta “Sono pervenute segnalazioni di donne che si erano recate nei consultori per accedere all’interruzione volontaria di gravidanza e sono state sottoposte a interferenze e pressioni da parte di volontari di associazioni pro-vita, che in alcuni casi hanno imposto loro di ascoltare il battito fetale, o hanno promesso di sostegni economici per l’acquisto di latte e pannolini, con il preciso intento di dissuaderle dalla scelta di abortire. Scelta che, come specifica la nota, è “personalissima e spesso sofferta”. 

Insomma, questo è il tipo di cosa che potremmo veder succedere. Come sempre in questi casi si apre il dibattito sulla legge 194, che è la legge che in Italia ha depenalizzato l’aborto nel 1978. Legge che il governo non ha mai attaccato frontalmente, come invece chiedono le associazioni antiabortiste, ma che secondo le organizzazioni proaborto (o proscelta) sta provando pezzo-pezzo a indebolire. 

Va detto anche che la legge in questione fu frutto di un grande compromesso politico nell’Italia degli anni Settanta. E che nacque non perché qualcuno fosse un fan dell’aborto. Ma perché tante donne abortivano comunque e questo avveniva in condizioni igienico sanitarie  precarie, per via dell’illegalità, e quindi alcune di loro contraevano infezioni e magari morivano per questo motivo. 

E di fatti, il tasso di aborti, secondo le stime (che non sono sempre facili visto che prima del 78 erano illegali) non sembrerebbe essere cresciuto particolarmente. E seguendo la stessa logica, non so quanto l’azione delle organizzazioni antiabortiste porterà a un effettivo calo degli aborti. È più probabile che il principale effetto sarà semplicemente rendere più doloroso un momento già molto delicato.

Pensate appunto a persone, a donne in uno stato psicologico spesso molto fragile, che devono subire quella che può essere a tutti gli effetti una violenza psicologica, come dover ascoltare il battito del feto e cose di questo genere. Insomma, è una sorta di sadismo.

Ora, per essere chiari, non penso che le organizzazioni pro-life siano composte da persone sadiche. Capisco che se per qualcuno, in base alle sue convinzioni personali, tendenzialmente di stampo religioso, l’aborto equivale all’omiciodio, allora facciano qualsiasi cosa.

Il punto è come si posiziona lo stato in questa relazione. Perché la sensazione è che non si voglia attaccare direttamente il diritto all’aborto, ma lo si voglia rendere appunto un po’ più faticoso, complicato, doloroso. Immagino anche qui non per sadismo gratuito ma per convenienza elettorale. D’altronde in un sistema politico basato sul con-senso e non sul senso, più importante di ottenere dei risultati è poter dichiarare di aver ottenuto dei risultati.

Comunque, all’interno di questo dibattito infuocato e dalle ripercussioni potenzialmente molto dolorose, segnalo un vero e proprio colpo di genio ad opera della comica e conduttrice Geppi Cucciari. Per capirlo però ci vuole che vi faccia una premessa. Il 18 aprile a Porta a Porta – vabbè immagino sappiate cos’è Porta sa Porta – Bruno Vespa ha voluto metter su un dibattito sull’aborto proprio in occasione della legge in discussione in parlamento. E a dibattere in una sorta di tavola rotonda c’erano, pensate un po’, sei uomini. Sì, insomma, nemmeno una donna. 

E allora Geppi Cucciari, nel suo programma in onda su Rai 3 Splendida cornice ha invitato quattro donne a parlare ina sorta di talk show di approfondimento dal titolo “Impotenza e suv: cosa c’è di vero?”, in cui le donne hanno discusso attorno al luogo comune degli uomini che compensano le proprie insicurezze sessuali con macchine grosse e costose, come i suv, e di una immaginaria misura economica adottata dal governo per gli uomini che, per compensare le proprie insicurezze, volessero acquistare due o tre suv a testa. Che dire, geniale.

Venerdì Antony Blinken, il segretario di Stato americano, ha avuto un incontro con il presidente cinese Xi Jinping nell’ambito di una più ampia visita di stato cominciata mercoledì, in cui Blinken ha viaggiato tra Shanghai e Pechino e visto numerosi leader politici e industriali cinesi. 

Come spiega il Post, “Visite del genere, in tempi normali, sarebbero piuttosto comuni. Ma lo stato delle relazioni tra Cina e Stati Uniti negli ultimi anni si è a tal punto degradato che viaggi come quello di Blinken sono una notizia importante: non soltanto per i contenuti dei temi trattati, ma per il semplice fatto che ci siano”.

Ecco, questo è un passaggio importante. In genere non si organizzano questi incontri per decidere cose, ma semplicemente per l’incontro in sé. L’incontro è il fine, ciò di cui si discute è il mezzo. 

L’articolo del Post ripercorre poi dieci anni di crisi fra Stati Uniti e Cina, una crisi iniziata in realtà già sotto la presidenza Obama, inasprita da Trump e proseguita (anzi forse ulteriormente inasprita da Biden). 

Al deterioramento dei rapporti hanno contribuito tanti fattori. Restando molto sul macro, sicuramente c’è un tema di super-potenza egemone contro super-potenza emergente (su questo livello è stata una scelta di Washingtpn più che di Pechino qurella di raffreddare i rapporti). Poi c’è un livello intermedio, diciamo di visione del mondo, che è quello su cui avvengono spesso le reciproche accuse, con da un lato la leadership cinese si è convinta che gli Stati Uniti siano impegnati a bloccare con ogni mezzo lo sviluppo cinese; dall’altro la leadership statunitense ha inquadrato la competizione con la Cina come uno scontro più ampio tra sistemi democratici e sistemi autoritari.

Poi c’è un ultimo livello, fatto da accadimenti più puntuali che però hanno contribuito a peggiorare le relazioni: dalla pandemia (con la famosa polemica sull’origine cinese del virus), alla visita dell’allora speaker della Camera, Nancy Pelosi, a Taiwan, al caso del pallone spia cinese in volo nello spazio aereo Usa con Blinken che in quei giorni doveva far visita a Pechino e annullò tutto.

Insomma, circa un anno fa i rapporti tra Cina e Stati Uniti erano a tal punto degradati che le comunicazioni si erano di fatto interrotte, non soltanto a livello politico: le comunicazioni militari di routine tra i due eserciti americano e cinese erano state bloccate, e questo è estremamente pericoloso per due paesi con un’ampia presenza militare all’estero come la Cina e gli Stati Uniti, perché basta un piccolo incidente per provocare uno scontro più ampio.

Per questo, negli ultimi mesi entrambi i paesi hanno fatto sforzi notevoli per cercare di stabilizzare i rapporti: l’amministrazione degli Stati Uniti ha fatto un grande sforzo diplomatico e inviato molti funzionari in Cina per recuperare relazioni e rapporti personali, quella che in inglese si chiama «face to face diplomacy», cioè diplomazia fatta di persona. 

Il cambiamento più notevole è stato però quello della leadership cinese, che ha cominciato a riconoscere pubblicamente l’idea che tra i due paesi sia in corso una competizione. Cioè: fino a relativamente poco fa la posizione ufficiale cinese era che con gli Stati Uniti non vi fosse alcuna competizione, ma un’aggressione unilaterale da parte americana: questo perché l’idea che la Cina ha sempre voluto dare di sé nel mondo è quella di una grande potenza benevola con tutti, che non compete e non genera ostilità con nessuno. 

Per anni, la parola chiave delle relazioni tra Cina e Stati Uniti sui media cinesi era stata «cooperazione win-win», cioè cooperazione in cui entrambe le parti vincono qualcosa. Soltanto di recente la leadership cinese ha cominciato ad ammettere che una competizione è effettivamente in corso, e questo ha contribuito a stabilizzare i rapporti. Perché anche se sembra paradossale, ma se entrambe le parti riconoscono di essere in competizione, possono parlarsi più francamente.

Questo lavoro di stabilizzazione messo in atto da circa un anno sta funzionando, almeno a giudicare dalla visita di Blinken della scorsa: il tono è stato tutto sommato positivo, e sia i media cinesi sia quelli statunitensi hanno commentato con un certo gusto le cene del segretario di Stato, raccontando che a Shanghai ha mangiato in un ristorante di ravioli, che ha assistito a una partita di pallacanestro e ha visitato un negozio di vinili dove ha comprato due album: uno del cantante cinese Dou Wei e uno di Taylor Swift.

Che sembrano sciocchezze, ma sono anche questi ingredienti fondamentali della diplomazia, servono a normalizzare i rapporti fra i due paesi agli occhi dell’opinione pubblica, a umanizzare i leader dell’altro paese e a mischiare i modelli culturali.

Comunque, veniamo ai contenuti. La parola più usata è stata “stabilizzazione”. Ne hanno parlato sia Wang Yi, il ministro degli Esteri cinese, che ha trascorso a colloquio con Blinken più di cinque ore, ne ha parlato Blinken e anche Xi Jinping. Stati Uniti e Cina stanno stabilizzando i loro rapporti. Questo ovviamente, non significa eliminare elementi di contrasto, ma piuttosto riconoscerli. 

In particolare, Blinken e Xi Jinping hanno parlato del sostegno economico che la Cina sta fornendo alla Russia nella guerra contro l’Ucraina, con Blinken che ha cercato di fare pressioni per limitarlo. Entrambe le parti, poi, si sono lungamente lamentate di quelle che ritengono pratiche commerciali scorrette da parte dell’altra. I rappresentanti cinesi si sono lamentati del fatto che gli Stati Uniti stanno adottando una politica industriale sempre più protezionista, mentre Blinken ha parlato della politica molto aggressiva in fatto di esportazioni che la Cina ha adottato negli ultimi mesi, e che rischia di mettere in difficoltà le industrie statunitensi.

Ultimo aspetto che ho notato, i giornali diciamo occidentali, perlomeno quelli italiani e quelli americani che ho consultato hanno dato mediamente una lettura dell’incontro meno positiva e più problematica rispetto a quelli cinesi. Tipo, giustro per fare due esempi, il NYT parla di “piccoli passi rispetto a un enorme divario” e di “incontro con problemi all’orizzonte”, li FQ addirittura titola “Il segretario di Stato Usa Blinken minaccia la Cina” mentre il Global Times (quotidiano cinese in lingua inglese) parla di distensione e stabilizzazione dei rapporti. 

Non so cosa questo voglia dire, non so darvi una spiegazione esatta del perché, ma mi sembrava una cosa interessante da portare alla vostra attenzione.

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