2 Apr 2024

Israele, grandi manifestazioni chiedono a Netanyahu di dimettersi – #905

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Un attacco aereo israeliano ha raso al suolo un edificio del consolato iraniano a Damasco, in Siria, rischiando di scatenare l’ennesimo allargamento del conflitto. Intanto però nelle principali città d’Israele decine di migliaia di persone sono scese in piazza per chiedere le dimissioni di Netanyahu e le elezioni anticipate. Parliamo anche della sconfitta del partito di Erdogan nelle elezioni amministrative in Turchia e di due strani fatti raccontati dai media come Moscagate e Sindrome dell’Avana.

Gli inviti del Papa alla de-escalation in occasione delle festività pasquali non sembrano essere serviti a granché. La giornata di ieri è stata infatti segnata dall’ennesimo attacco bellico.

Alcuni aerei da guerra israeliani hanno colpito il consolato iraniano a Damasco, in Siria, uccidendo sei persone, tra cui, secondo quanto riportano i media internazionali, ci sarebbe un alto comandante della Guardia Rivoluzionaria Iraniana. I giornalisti presenti sul luogo hanno osservato il fumo sollevarsi dalle macerie di un edificio distrutto, con veicoli di emergenza parcheggiati all’esterno.

La televisione di stato siriana ha confermato che l’edificio del consolato era stato attaccato. Anche i media iraniani hanno riportato che gli attacchi a Damasco hanno completamente distrutto l’edificio annesso al consolato, aggiungendo che l’ambasciatore iraniano Hossein Akbari e la sua famiglia sono rimasti illesi. 

Come racconta il Guardian, dal 7 ottobre (giorno dell’attacco di Hamas), Israele ha intensificato gli attacchi aerei in Siria contro la milizia libanese di Hezbollah e la Guardia Rivoluzionaria Iraniana, entrambi sostenitori del governo del presidente siriano Bashar al-Assad.

Il giorno prima, invece, le autorità libanesi avevano annunciato l’intenzione di denunciare alle Nazioni Unite un altro attacco israeliano, questa volta al personale della missione Unifil che avrebbe ferito 4 operatori Onu in suolo libanese.

Ma forse la notizia più importante del weekend arriva dall’interno di Israele, paese che a partire da sabato e per 4 giorni è scosso da decine di manifestazioni nelle principali città del paese. Come titola il Guardian, “migliaia di manifestanti israeliani chiedono la rimozione di Netanyahu”. Le manifestazioni più grandi si sono tenute a Tel Aviv, Beer Sheva, Haifa e a Gerusalemme, davanti alla sede della Knesset, il parlamento israeliano. 

Come racconta il Post, le proteste sono già considerate le più grandi dall’inizio della guerra nella Striscia di Gaza. Ma che cosa chiedono i manifestanti? Che genere di proteste sono? Vogliono la pace? O vogliono una gestione diversa del conflitto? Non è facilissimo da capire, da qua, e probabilmente come spesso accade all’interno di questi movimenti convivono spinte diverse. I manifestanti non sono un’unica mente. Comunque, da quello che si capisce, la richiesta collettiva sono le dimissioni del governo, che viene criticato soprattutto per il modo in cui sta gestendo i negoziati per la liberazione degli ostaggi.

Netanyahu infatti ha sempre rifiutato le proposte di Hamas per la liberazione degli ostaggi in cambio di un cessate il fuoco: secondo molti la sua posizione è influenzata dai partiti più estremisti, suoi alleati di governo in quello che è il governo più di destra della storia del paese, alleati che potrebbero fare cadere il suo governo se accettasse le richieste di Hamas, dato che sono oltranzisti e intolleranti verso i palestinesi.

Netanyahu ha commentato le richieste di dimissioni in un intervento mandato in onda sulle televisioni israeliane domenica sera (dopo che peraltro era stato operato per un’ernia, e aveva passato per circa un giorno la sua carica di premier ad interim al vice Yari Levin): ha detto che indire nuove elezioni paralizzerebbe Israele per vari mesi e renderebbe difficile portare avanti i colloqui per la liberazione degli ostaggi israeliani ancora detenuti da Hamas.

Tuttavia la liberazione degli ostaggi finora non è sembrata una priorità di Netanyahu, dato che l’operazione militare che sta conducendo a Gaza ha portato alla liberazione di soli 3 ostaggi vivi, mentre più di cento ostaggi sono stati liberati a novembre grazie proprio a un accordo con Hamas. Ma appunto, l’operazione non ha l’obiettivo di liberare gli ostaggi (si stima che ce ne siano ancora circa 130, di cui però diversi sono ritenuti morti) ma di distruggere Hamas, e probabilmente il popolo palestinese. 

Comunque, tornando alle manifestazioni, oltre alle elezioni anticipate, i manifestanti chiedono anche l’annullamento dell’esenzione dal servizio di leva per gli ultraortodossi. Che i giornali toccano molto velocemente, ma che è una questione molto delicata in Israele e sta diventando un caso politico. 

In pratica in Israele tutti i cittadini che hanno compiuto i 18 anni, uomini e donne, sono obbligati a fare il servizio militare e sono quindi arruolabili, in quanto figurano nelle liste dei riservisti. Tutte, a parte chi gode di speciali esenzioni, per ragioni di lavoro, di salute, o per le donne che hanno figli, per esempio. O per motivi religiosi. 

In pratica esiste una esenzione per gli ebrei ultraortodossi, che possono non prestare servizio di leva e quindi non sono arruolabili. Il che è ritenuto ingiusto dall’opinione pubblica, anche perché gli ultraortodossi sono spesso i più ferventi sostenitori dell’invasione di Gaza, ma poi a fare la guerra ci finiscono, oltre ai soldati di professione, centinaia di migliaia di israeliani laici sono stati chiamati come riservisti. Ci sono varie espressioni per indicare questo atteggiamento, tutte poco carine e politicamente scorrette, penso che ci siamo capiti.

La questione non è nuova, ma ovviamente è di estrema attualità con la guerra in corso, e rappresenta un grosso problema per il governo che è appoggiato da ben due partiti ultraortodossi, che quindi non vogliono rinunciare a questo privilegio. 

Fra l’altro questa esenzione per gli ultraortodossi non è nemmeno una legge dello stato israeliano, ma avviene grazie a una serie di esenzioni emanate dal governo come provvedimenti amministrativi rinnovati periodicamente. E pochi giorni fa è intervenuta la Corte Suprema israeliana, che prima ha imposto al governo di regolarizzare questa condizione, e poi, giovedì, ha ordinato il blocco dei fondi pubblici agli studenti ultraortodossi che non fanno il servizio militare.

Insomma, sul fronte interno israeliano la situazione p tutt’altro che stabile e compatta. Staremo a vedere.

Domenica in Turchia ci sono state le elezioni amministrative: non una roba da poco eh! 58 milioni di persone sono state chiamate a rinnovare i sindaci di oltre quattromila città, decine di migliaia di consigli comunali e provinciali, più altre cariche minori. Il presidente turco Erdogan sperava che i candidati da lui sostenuti nelle principali città del paese – la capitale Ankara, ma soprattutto Istanbul, per via della sua enorme importanza economica e sociale – vincessero. 

E invece il verdetto è stato chiaro: il partito popolare repubblicano (CHP), la principale forza d’opposizione del paese, di centrosinistra, è stato riconfermato al governo di entrambe le città.

Peraltro con un’affluenza molto alta, di oltre il 78 per cento. Anche complessivamente, considerando tutti i comuni dove si è votato, il CHP è risultato il primo partito, ottenendo il 37,7 per cento dei voti, contro il 35,5 per cento dell’AK, il partito conservatore di Erdogan. 

A Istanbul, poi, il candidato del CHP Ekrem Imamoglu, già sindaco della città, e adesso riconfermato con circa 12 punti di scarto sul candidato sostenuto da Erdogan, è anche il principale leader dell’opposizione a livello nazionale.

La vittoria di Imamoglu è considerata particolarmente rilevante perché Erdogan stesso si era dato l’obiettivo elettorale di “riprendere le città” a partire da Istanbul, dove il presidente è nato e dove ha avviato la sua carriera politica. Inoltre Erdogan sperava che i risultati di domenica gli confermassero «di non avere più avversari temibili» e di potersi quindi concentrare sulla riforma costituzionale che gli permetterebbe di candidarsi per un ulteriore mandato dopo la fine di quello attuale nel 2028, cosa che al momento non potrebbe fare.

Quindi, ecco, cattive nuove per Erdogan, ma forse buone nuove per la Turchia, dove Erdogan ha asfissiato ogni movimento sociale con una politica di repressione molto dura negli ultimi anni, ma dove la partecipazione politica resta sempre molto alta. Se vi incuriosisce la Turchia dal punto di vista politico e sociale, vi ricordo la èpuntata di INMR+ su Capire la Turchia contemporanea. Per ascoltarla dovete essere abbonati, ma abbonarsi costa solo 50€ all’anno, 4 euro al mese. 

Ci sono due notizie che riguardano le ingerenze russe nel mondo che hanno nomi abbastanza esotici e stanno campeggiando sulle prime pagine e homepage di diversi giornali. Parliamo del Moscagate e della sindrome dell’Havana. Ma che roba sono? 

Partiamo dalla prima. In realtà ne abbiamo già accennato qualche giorno: si tratta del tentativo del Cremlino di influenzare le politiche europee e le elezioni prossime venture. Sulla questione però iniziano ad esserci alcuni dettagli in più e alcuni giornali (Repubblica soprattutto, in Italia) gli danno una certa rilevanza, chiamandolo appunto Moscagate (forse per distinguerlo dal Russiagate, il nome con cui veniva descritto il tentativo risso di influenzare le elezioni americane del 2016). 

Comunque, dalle indagini dei servizi segreti cechi sembrano emergere casi di presunta corruzione o comunque, diciamo, flussi di denaro sospetti dalla Russia verso alcuni eurodeputati, in un meccanismo che ricorda quello del recente Qatargate. E dietro a tutto questo intrigo continua a spuntare un nume, quello dell’oligarca ucraino filorusso Viktor Medvedchuk, amico personale di Putin, uno degli artefici della spartizione dei possedimenti del regime sovietico al momento della caduta del muro.

Comunque, vi leggo più nel dettaglio la situazione, per come la descrive Mara Gergolet sul Corriere: “La domanda adesso è: chi sono gli eurodeputati pagati dai russi? Lo scandalo delle «interferenze di Mosca», o meglio dei parlamentari a libro paga del Cremlino per diffondere propaganda e fake news anti-Ue, arriva nella Bruxelles prepasquale. E dopo il Qatargate, a meno di tre mesi dalle elezioni europee di giugno, quest’intrigo internazionale svelato dai servizi di Praga è un caso da maneggiare con estrema cura. Che ci siano deputati coinvolti, l’ha detto giovedì il premier belga, Alexander De Croo in Parlamento: «È venuto alla luce non solo che la Russia si è avvicinata agli eurodeputati, ma li ha anche pagati per promuovere la sua propaganda».

Al centro di questo caso ci sarebbe il portale Voice of Europe, che è un portale web con sede nella Repubblica Ceca, che ospitava molti politici euroscettici. Ma i cui articoli erano spesso approssimativi, con molti errori tipici dei testi creati con l’intelligenza artificiale (come donne scambiate per uomini). Un esame dei servizi cechi ha scoperto che il codice sorgente era in parte scritto in cirillico: e si è cominciato a scavare.

Secondo il governo di Praga, dietro al sito c’è il noto propagandista ucraino e filo-Cremlino, Artem Marchevsky. Mentre il finanziatore sarebbe appunto un altro ucraino filorisso, niente di meno che Viktor Medvedchuk, amico personale di Putin tanto da essere il padrino di battesimo di una delle sue figlie. Che il Corriere definisce arcirivale di Zelensky: un oligarca dei media, arrestato da Kiev mentre tentava una fuga rocambolesca all’inizio della guerra e poi scambiato — un anno fa, su volere di Putin — per i comandanti del battaglione Azov (secondo Repubblica sarebbero addirittura 200 i combattenti con cui è stato scambiato). 

Comunque Voice of Europe, dicono i servizi di Praga, non era solo un canale spaccia-fakenews, ma la centrale da cui partivano i pagamenti agli eurodeputati. Quanto? Centinaia di migliaia di euro, scrive la stampa ceca e tedesca, in contanti e criptovalute.

Il flusso si sarebbe diretto in sei Paesi: Polonia, Germania, Francia, Belgio, Olanda, Ungheria. L’Italia non è nell’elenco. 

La notizia sta venendo seguita soprattutto dai media tedeschi, anche perché, come ha detto anche la ministra dell’Interno Nancy Faeser, «i tentativi d’influenza sono mirati soprattutto alla Germania». Secondo l’inchiesta dello Spiegel e del giornale ceco Deník N, il denaro sarebbe fluito verso l’Afd (Alternative fur deutschland, il partito di estrema destra tedesca). Più precisamente, tra i primi nominati, c’è il membro del Bundestag Petr Bystron. Non un esponente qualunque: è il numero 2 alle europee dietro al capolista Maximilian Krah. I due hanno anche visitato insieme Medvedchuk quando era ai domiciliari a Kiev nel 2021. 

I due hanno negato ogni coinvolgimento, parlando di diffamazione e Bystron ha già fatto causa. Ma se i pagamenti fossero confermati, per le rigide regole del finanziamenti ai partiti, l’Afd avrebbe un grosso problema in Germania. 

Quando invece veniamo alla Sindrome dell’Havana, la questione si fa ancora più nebulosa. La trama di questa roba sembra uscire da un film di fantascienza, o da qualche teoria cospirazionista in stile Qanon. Solo che questa volta le fonti sono forse non attendibili, ma importanti, e i giornali stanno dando rilevanza alla cosa. 

In pratica da anni ci sono dei casi irrisolti di diplomatici colpiti da uno strano malessere in varie parti del mondo. Nel 2016 questo malessere invalidante colpì dozzine di diplomatici americani e canadesi a Cuba: attacchi di nausea, mal di testa lancinanti associati a problemi di equilibrio e di assordanti fischi alle orecchie, insonnia persistente e danni alla memoria, all’udito e alle capacità cognitive, spesso con conseguenze a lungo termine. 

Incidenti simili a quelli avvenuti all’Avana si sono ripetuti ad Hanoi, Shanghai, Belgrado, Vienna, Ginevra, Mosca, Tiblisi e Berlino. E ancor prima a Francoforte.

Ecco, adesso un’inchiesta di Spiegel, The Insider e 60 minutes sostiene che quesi sintomi potrebbero essere stati causati da una sofisticata arma a microonde sviluppata a Mosca e impiegata diffusamente dalle spie militari russe della famigerata unità 29155, un commando che Repubblica definisce “di assassini e sabotatori diffusi in tutto il mondo”. 

Come racconta una testimone, moglie di un funzionario dell’ambasciata americana a Tiblisi, in Georgia, mentre stava in terrazza la donna sente un suono acuto, simile a quello che viene usato nei film dopo una bomba. Dice: “Mi perforò le orecchie, mi travolse da sinistra, come se qualcosa fosse entrato dalla finestra direttamente nel mio orecchio”. Joy si sentì “immediatamente la testa pesante e mi scoppiò un mal di testa lancinante”. Per fortuna la moglie del diplomatico è addestrata a situazioni d’emergenza: si precipita con un balzo fuori dalla lavanderia. Quando raggiunge il bagno, vomita.

Nonostante il travolgente malessere, Joy ha la prontezza di spirito di uscire di casa, e scorge una Mercedes nera parcheggiata fuori. Accanto c’è un uomo che guarda nella sua direzione. Lei lo fotografa, lui entra nella macchina e parte. Lei fotografa anche la targa. Tre anni dopo, quando le fanno vedere la foto di una spia dell’unità 29155 del Gru, dei servizi militari russi, la donna lo riconosce subito. L’uomo fermo davanti alla sua porta di casa pochi minuti dopo l’attacco è la spia russa Albert Averyanov.

Come racconta Repubblica, “Per chi conosce le cronache degli orribili esperimenti condotti con materiali radioattivi o con determinate armi acustiche o onde dai servizi segreti della Germania comunista, la Stasi, non è una novità. Alcuni dissidenti furono bombardati durante la prigionia nelle famigerati carceri politiche della Ddr con raggi Roentgen – i raggi X – e morirono, anni dopo, di rarissime forme di cancro. 

Anche gli esperimenti con le microonde vengono condotti da decenni dalla Cina, dalla Russia ma anche dagli Stati Uniti. Tra gli Anni ’50 e ’70 l’ambasciata americana di Mosca fu colpita regolarmente da raggi definiti nel tempo il “segnale di Mosca”. Da allora gli esperti di ritengono che gli esperimenti siano andati molto avanti”.

Ci sono anche documenti dell’intelligence russa citati da Spiegel che parlano esplicitamente di “Potenziale impiego di armi acustiche non mortali nei combattimenti in zone urbane”. Insomma, la faccenda potrebbe essere reale. Poi, ovvio, metteteci sopra il momento storico che stiamo vivendo e quindi tutta la propaganda antirussa che sicuramente gioca un ruolo, nel fatto che notizie come queste, peraltro su casi vecchi, emergano proprio adesso. Detto ciò, quando leggo di cose del genere, mi rendo conto che esistono livelli invisibili del conflitto che ignoro completamente. 

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