12 Feb 2024

Perché Sanremo (non) è Sanremo – #877

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Sanremo è uno specchio, strano, deformante ma in qualche modo metaforico del paese, della contemporaneità, dove ogni fatto di cui si parla finisce, in qualche forma, voluta o involontaria. E allora parliamone, in una puntata speciale dedicata al Festival appena terminato, dove parleremo di Sanremo ma non parleremo di Sanremo. Perché Sanremo non è Sanremo.

Voi pensavate di scamparla eh! Pensavate che “eh no mai io seguo INMR e Italia che Cambia, mica come tutto il mondo che guarda Sanremo”. E invece vi beccate la puntata su Sanremo. Ve ne spiego i motivi. Un po’ perché in questi giorni è difficile trovare altro sui giornali, che sono praticamente monopolizzati da articoli su articoli su articoli sulla battuta di Fiorello, la gaffe di Amadeus, il look di Diodato (che probabilmente nemmeno c’è quest’anno a Sanremo, ma si fa per dire). 

Ma in realtà non è questo il motivo principale, perché poi scavando un po’ si trova sempre qualcosa di interessante. Il motivo vero è che Sanremo è un po’ un minestrone in cui finisce tutto, e quindi parlando di Sanremo si finisce di parlare di attualità, di politica, di costume e così via. Perciò vorrei usare l’espediente di Sanremo per parlare di altro. Vediamo se funziona. E poi così potrò dire varie volte kermesse musicale, e sentirmi un vero giornalista.

È stata, l’edizione di quest’anno, un’edizione molto politica, in cui sono entrate, volutamente o involontariamente, le proteste degli agricoltori, la guerra a Gaza, i temi della sostenibilità (vera o finta), persino le relazioni con gli Usa.

E pensare che pochi giorni prima dell’inizio del Festival Amadeus (che del festival è stato il conduttore, lo specifico per quelli che davvero non hanno sentito o letto niente) aveva affermato in maniera abbastanza perentoria, intervistato da Silvia Fumarola su Repubblica, che la politica doveva stare lontana dal festival. 

La contraddizione non è sfuggita a Domani, che in un articolo pubblicato prima dell’inizio della kermesse musicale a firma della redazione cultura commenta: “Alla vigilia del festival Amadeus aveva detto che non ci sarebbe stata politica quest’anno a Sanremo, come se la musica fosse l’unico aspetto di cui parlare. Difficile pensare che ci credesse davvero: l’Ariston è sempre stato il palco delle polemiche e delle istanze sociali. Quando non entrano in teatro, riempiono la città o i giornali. Se non ne parla il direttore artistico, lo fanno gli altri.

Così sono bastati pochi minuti della prima conferenza stampa è già si è iniziato a discutere dello spazio che sarà dato alla protesta degli agricoltori. Amadeus ha detto che era disposto a far intervenire qualcuno sul palco, e quando un giornalista gli ha chiesto come mai proprio loro e non esponenti di altre proteste il conduttore ha detto: «Lo spazio non è illimitato. Ci sarebbero tanti argomenti importanti da trattare, come quello ecologico, quello dei lavoratori. Toccheremo il tema della sicurezza sul lavoro. Ognuno ha ragione di dire la propria. Ma il palco non può portare tante dimostrazioni e manifestazioni di protesta».

«Ho parlato dei trattori perché è un tema sta coinvolgendo tutta l’Europa. Non ne faccio una questione politica. Ho fatto l’istituto agrario, ho zappato la terra e ne vado fiero. E so guidare il trattore», ha detto Amadeus. Quindi di fondo il motivo è stato perché Amadeus ha fatto l’agrario. Se avesse avuto trascorsi diversi, potevamo avere sul palco le proteste dei geometri o degli albergatori.

Sempre prima dell’inizio, rispondendo a Enrico Lucci di Striscia la Notizia (che fra parentesi, si vede che non guardo da un po’ la TV, per me Enrico Lucci era delle Iene), Amadeus e Marco Mengoni (co-conduttore della prima serata) hanno intonato Bella Ciao e hanno detto di essere antifascisti, per dimostrare che il festival non fosse controllato dal governo Meloni.

Ma questo, davvero, è stato solo l’antipasto. Pronti via, il cantante in gara Dargen D’Amico, dopo la sua esibizione durante l’interminabile serata di apertura, fa un appello esplicito per un cessate il fuoco a gaza, “Grazie per questa possibilità di cantare questo brano che dedico alla mia cuginetta Marta che adesso è a studiare a Malta e ha avuto questa grande fortuna. Non tutti i bambini hanno questa fortuna: nel mar Mediterraneo in questo momento ci sono bambini sotto le bombe, senza acqua e cibo e il nostro silenzio è corresponsabilità”. Concludendo: “La storia, Dio, non accettano la scena muta: cessate il fuoco”.

Poi è iniziato uno strano valzer. Ci sono state alcune immancabili polemiche, abbastanza pretestuose, con chi lo ha accusato di farsi pubblicità visto che una sua canzone del 2022 s’intitola proprio Gaza, al che l’artista, dopo la sua seconda esibizione, ci ha tenuto a smarcarsi precisando: “Non volevo essere politico, ho fatto tante cazzate nella mia vita e ho compiuto tanti peccati, anche gravi, ma non ho mai pensato di avvicinarmi alla politica”. 

Al che, comprensibilmente, ci sono state altre polemiche, perché insomma, chiedere un cessate il fuoco per la strage di persone, di bambini e bambine che si sta compiendo a Gaza sia un messaggio equivalesse a mostrare una tessera di partito.

E quindi arriviamo alla terza serata, la penultima, con Dargen D’amico torna ancora sui suoi passi e manda un messaggio ancora più esplicito, dice “In questo momento dall’altra parte del mare ci sono bambini operati in barelle alla luce di un cellulare. Non possiamo stare in silenzio, cessate il fuoco”. Amadeus osserva attonito. 

Anche nell’ultima serata sono arrivati alcuni messagi in supporto della popolazione palestinese. Il cantante Ghali ha temrinato la sua performace dicendo Stop Genocidio, e lo stesso messaggio è apparso in un cartello nel pubblico, mentre uno degli ospiti della serata, Tedua, si esibiva sulla nave da crociera Costa Smeraleda (poi ne parliamo).

Intanto a Gaza siamo arrivati a oltre 28mila morti, 12mila dei quali sono bambini e bambine. Poche ore dopo l’esibizione arriva la notizia che è stata trovata morta Hind la bambina palestinese di 6 anni che con la sua telefonata struggente alla madre era diventata il simbolo delle stragi compiute a Gaza dall’esercito israeliano. Una delle tante vittime, uno dei drammi fra decine di migliaia di drammi, ma anche qui, il potere di una storia che riesce ad andare oltre i numeri, terribilmente freddi. Intanto il premier israeliano Netanyahu ha annunciato che potrebbe sferrare un’offensiva da un momento all’altro a Rafah, al confine meridionale di Gaza con l’Egitto. Laddove sono stati sfollati tutti i palestinesi scappati da Gaza city e dalle altre località bombardate. Adesso sono lì, bloccato come in fondo a un sacco, perché il valico con l’Egitto è chiuso e non possono scappare da nessuna parte. Sono in trappola e se il governo israeliano decidesse di attaccare sarebbe una carneficina.

Nel mezzo di questa situazione, pochi giorni fa, Eni, già, proprio lei, principale sponsor “green” del festival, ha siglato un’intesa con il governo israeliano per estrarre gas nelle acque di fronte alla Striscia di Gaza, di proprietà del popolo palestinese. Connessioni. Proprio nella giornata di venerdì, a Festival in corso, Angelo Bonelli, leader dei Verdi, ha presentato un’interrogazione parlamentare e chiesto un’urgente audizione del governo e di Eni S.p.A., affinché «spieghino come sia possibile aver firmato contratti che prendono risorse appartenenti al popolo palestinese».

Arriviamo alla seconda serata e scoppia il caso John Travolta. L’attore americano viene invitato al Festival e prima gli viene chiesto di fare la sua ballettografia (insomma, tutti i suoi balletti storici da Grease a la febbre del sabato sera a Pulp Fiction), poi viene condotto fuori dal teatro Fiorello lo inserisce in uno sketch abbastanza kitch in cui Travolta, Fiorello e Amadeus ballano il ballo del quaqua, con cappelli da papera (che Travolta si rifiuta di indossare, un po’ stizzito). 

Una roba completamente senza senso, e abbastanza umiliante, per tutti, sebbene pare fosse concordata, ma non è tutto. Passano poche ore e spunta una polemica, anzi direi uno scandalo non indifferente. Viene fuori un caso di pubblicità occulta e non dichiarata. Travolta sarebbe infatti il testimonial del brand U-power che proprio in quei giorni stava lanciando una campagna pubblicitaria delle nuove scarpe. 

Scarpe che l’attore indossava e che vengono generosamente riprese dalle telecamere mentre balla. Si sospetta che parte del cachet dell’attore sia stato pagato dall’azienda stessa, il cui presidente sedeva fra il pubblico durante l’esibizione.

Arrivano smentite da tutte le parti, la Rai dice che non ne sapeva nulla, Amadeus pure, l’azienda nega, Travolta non dice niente. In tutto ciò Amadeus, prima di lanciare il balletto del Quaqua, dice a Travolta “Don’t worry, be happy”. Che è anche lo slogan di U-Power. Che magari è davvero una coincidenza, però un po’ il sospetto viene. In tutto ciò la cosa divertente è che le scarpe in questione sono scarpe antinfortunistica. E qui si spiega anche cosa intendeva Amadeus in conferenza quando ha detto “toccheremo il tema della sicurezza sul lavoro”.

Poi arriva la conferenza stampa del giorno dopo e Teresa Mannino, co-conduttrice della terza serata, la tocca piano, come si suol dire. Si intromette nel dibattito dicendo: “Mi piace questo fatto che ci sia questa attenzione su quello che è successo ieri con John Travolta, giustamente anche il fatto delle scarpe, comunque siamo nella Rai, azienda pubblica… però ci dobbiamo ricordare che noi siamo una colonia americana quindi questo è niente“. 

E prosegue: “Siamo sudditi, arriva John Travolta e fa quel che vuole, e lui (Amadeus, ndr) sta zitto uno perché manco se ne rende conto perché è preso dal balletto per i c***i suoi e farsi fare la foto da suo figlio, ma noi siamo colonia americana quindi di che cosa ci stupiamo se quello arriva e si mette con la faccia incavolata nonostante abbia firmato un contratto e si sia preso magari un milione di euro per le scarpe? Noi siamo colonia, dobbiamo stare zitti come stiamo zitti su tutto il resto”. Bam, così, giusto per tenere la politica fuori dal Festival.

Poi arriva la serata successiva e Mannino fa un monologo comico davvero molto bello e profondo, in cui tocca un sacco di temi fondamentali. Già che inizia dicendo “noi siamo animali e non ce lo dobbiamo scordare” è tanta roba. Poi prosegue con un monologo antispecista e femmisista in cui dice cose come “le formiche tagliafoglie fanno agricoltura da 500 milioni di anni e non fanno alcun danno, noi lo facciamo da 10mila anni e abbiamo distrutto il pianeta” (e vai con la frecciatina alle proteste degli agricoltori?). 

Davvero tanta roba devo dire, soprattutto perché si capisce dalle parole scelte, dalle battute fatte, che è una che ne sa di questi temi, non è che si sia improvvisata. 

Poi ci sono stati per l’appunto gli agricoltori, i trattori. È stato forse il tema che ha fatto più discutere di questa edizione della kermesse (e due). Dopo le parole iniziali di Amadeus, gli agricoltori ci sono andati davvero a Sanremo, e hanno persino fatto sfilare una mucca sul green carpet, a ribadire – credo – che gli allevamenti non si toccano. Inizialmente sembrava che sarebbero saliti sul palco, Amadeus aveva dato la sua disponibilità, poi questa cosa non è successa non ci è capito se per via di un veto della Rai o per un mancato accordo su chi dovesse effettivamente salire, visto che si tratta di proteste organizzate da tante sigle diverse, senza un coordinamento vero e proprio e anche con richieste leggermente diverse, con diverso grado di politicizzazione.

La conclusione della storia è che nella serata di venerdì Amadeus ha letto dal palco un comunicato del ‘Coordinamento nazionale riscatto agricolo’, una delle tante sigle che organizza le proteste, forse quella meno politicizzata, introducendolo con una specie di endorsement nei loro confronti, in cui dice “I contadini in questi giorni stanno protestando giustamente per difendere i diritti della categoria che ritengono minacciati dalle riforme europee”. Da notare anche la scelta del termine “contadini”, molto più romantico e bucolico ma del tutto fuorviante nel descrivere chi partecipa a queste proteste. 

Amadeus si è preso l’applauso della platea, e intanto le proteste dei trattori vanno avanti, secondo un ultimo sondaggio di Demos, 8 italiani su 10 starebbero dalla parte degli agricoltori e continuano le concessioni in sede Ue. Come commenta Tommaso Carboni su la Stampa, “Però, che capacità persuasiva gli agricoltori. Valgono l’1,4% del Pil europeo, ricevono un terzo dei finanziamenti del bilancio comunitario, ma gli è bastato qualche giorno di protesta coi trattori per fermare l’agenda verde europea. Bruxelles ha ceduto su molte delle loro richieste. Saltato il piano di dimezzare l’uso di pesticidi; cancellato l’obiettivo di ridurre del 30% l’azoto, il metano e altri gas serra legati all’agricoltura. 

Poi Francia e Germania annacquano le proposte di terminare le agevolazioni fiscali sul diesel agricolo. I trattori saranno anche un nano economico, ma questi dietrofront ci ricordano che sono un gigante politico. L’opinione pubblica sembra dalla loro parte. Stando a un sondaggio Elab, l’87% dei francesi appoggia le proteste degli agricoltori; simpatizza con loro anche una larga maggioranza in Germania. Insomma, l’impressione è che i cittadini siano in fondo d’accordo con gli abbondanti sussidi e con il rinvio delle regole green per il settore agricolo; del resto c’è di mezzo il cibo e la sovranità alimentare”.

Forse il giornalista la fa un po’ semplice, però è interessante però è interessante notare questa roba molto antistereotipica, che rompe lo stereotipo della casta di politici cattivi contro i cittadini buoni, che fa riflettere. Abbiamo alcune politiche, non dico illuminate, ma discrete, che vengono boicottate dal basso, perché diventano il capro espiatorio di un calderone di malcontento che arriva da altrove.

Ma torniamo a Sanremo. C’è poi il discorso “green” e sostenibilità. Per il secondo anno consecutivo il Festival si presenta con un “green carpet”, ma credo che il green stia per greenwashing, dato che è una iniziativa di Eni, che sta cercando di rifarsi il look con il ma che al momento è piuttosto lontana da anche solo un barlume di sostenibilità.  

Come denuncia Greenpeace in un comunicato, “Per l’edizione 2024, ENI addirittura raddoppia: per fingersi green, il colosso del petrolio e del gas sarà infatti presente sul palco dell’Ariston sia con Plenitude che con Enilive.

ENI è il principale emettitore di CO₂ del nostro Paese e i suoi piani prevedono di continuare a investire sui combustibili fossili. Anche se la multinazionale prova a dipingersi come attenta all’ambiente, sappiamo che per ogni euro investito in Plenitude, ENI ha investito 15 euro in petrolio e gas. Inoltre, poiché la gran parte degli investimenti di Plenitude sono diretti ad attività energetiche non rinnovabili, possiamo stimare che per ogni euro investito da ENI in fonti fossili meno di sette centesimi vengono investiti in energie rinnovabili”.

Tant’è che Greenpeace insieme a ReCommon e dodici cittadine e cittadini italiani hanno portato ENI in tribunale con “La Giusta Causa”, che ha l’obiettivo di obbligare l’azienda a cambiare il suo modello industriale per non aggravare ulteriormente la crisi climatica a cui ha consapevolmente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni. 

Come se non bastasse, e questo è un aspetto che non ho trovato sottolineato da nessuna parte, l’altro main sponsor del festival è Costa Crociere. Proprio in queste settimane la nostra Emanuela Sabidussi su Liguria che Cambia ci sta raccontando, nella sua inchiesta mensile, quanto sono insostenibili dal punto di vista ambientale e della salute le Crociere. Come ci racconta Emanuela, l’Italia è il primo paese in Europa per numero di passeggeri e navi movimentate. E la Liguria, regione del festival, è sempre più ostaggio di questi mostri del mare, inquinanti e dannosi. 

Insomma, niente male per un festival che si presenta come green. 

Intanto, durante la serata finale, sulla pagina Wikipedia dedicata ad Aldo Moro, leader della Dc rapito e ucciso dalle Brigate Rosse nel 1978, qualcuno ha cambiato il testo dell’enciclopedia scrivendo “Fu rapito dalle Brigate Rosse, Diodato, Dargen D’amico e Ghali il 6 febbraio 2024 mentre il Governo Amadeus V (in cui veniva garantito l’appoggio esterno del  Parlamento) si apprestava a sistemare lo scantinato dell’Ariston per l’alloggio del migliore amico della Cuccarini”.

Che altro? Ah sì, ha vinto Angelina Mango.

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