1 Giu 2020

Genny Carraro: “Mettere in rete gli ecovillaggi d’Europa e del mondo” – Meme #34

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
Video realizzato da: Paolo Cignini

Come si vive in un ecovillaggio? Cosa rende ogni ecovillaggio diverso dagli altri e quali invece sono le caratteristiche comuni a tutti? Quali sono le funzioni delle reti nazionali, continentali e globali in cui gli ecovillaggi si riuniscono? E cosa possiamo imparare, tutti, da queste esperienze? Ne parliamo con Genny Carraro, facilitatrice e attivista, nonché direttrice di Gen Europe, la rete che riunisce gli ecovillaggi europei.

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Quando Paolo, prima di iniziare l’intervista, le chiede cosa può scrivere nel sottopancia – termine tecnico per indicare quelle fascette che spuntano nei video sotto ai primi piani con nome, cognome e ruolo dell’intervistato – Genny esita. È probabilmente la domanda più difficile. In effetti è quasi impossibile racchiudere tutto quello che fa nello spazio angusto di una striscia di poche centinaia di pixel: direttrice di Gen Europe, co-fondatrice della scuola di Arte del Processo, viaggiatrice, fondatrice di Ong e chissà quante altre cose. Alla fine si decide: «mettici facilitatrice e attivista».

L’abbiamo intervistata in Sardegna, in occasione del Festival Scirarindi, per farci raccontare cos’è e come funziona GEN Europe, di cui lei è direttrice responsabile, ma durante la chiacchierata abbiamo scoperto anche molto altro. GEN è una sigla che sta per Global Ecovillage Network, la rete mondiale degli ecovillaggi, e GEN Europe è la sua sezione europea, l’equivalente della RIVE (Rete Italiana Villaggi Ecologici) ma appunto su scala continentale. Se siete confusi da tutte queste sigle, adesso vediamo di fare chiarezza. Come prima cosa, in ogni caso, guardatevi la video-intervista realizzata e montata da Paolo Cignini, che racchiude tutte le informazioni più importanti. 

Dagli ecovillaggi alle reti
Non diamo niente per scontato e partiamo dalle basi. È probabile che se bazzicate Italia che Cambia sappiate già che cos’è un ecovillaggio, o villaggio ecologico che dir si voglia. Ve ne abbiamo parlato qui, qui e qui (e in molti altri articoli) e qui abbiamo intervistato Francesca Guidotti, ai tempi presidente della RIVE. Comunque, per farla brevissima, si tratta di comunità intenzionali, luoghi quasi sempre immersi nella natura dove gruppi di persone decidono di vivere assieme sperimentando stili di vita naturali, sostenibili e collaborativi. 

Sostenibili, abbiamo detto. In genere associamo questo termine quasi esclusivamente alla dimensione ambientale, ma ci fa notare Genny che «esistono quattro dimensioni della sostenibilità: quella sociale, che ha a che fare con come ci relazioniamo, come trasformiamo i conflitti, come gestiamo privilegi, i bisogni e le vulnerabilità, quella ecologica, che riguarda la produzione del cibo, dei tessuti, dei prodotti, la ristrutturazione delle case e degli ambienti, quella economia, che consiste nel trovare modelli economici alternativi a quello attuale, modelli che possono coinvolgere scambio di tempo e competenze, monete alternative, baratto, e infine quella culturale, ovvero l’impatto sul territorio locale, nazionale e internazionale della nostra presenza in relazione agli abitanti del luogo».

Ogni ecovillaggio è comunque diverso da ogni altro, frutto dell’indole, della volontà e degli obiettivi delle persone che lo costituiscono e lo abitano: «Alcuni si concentrano più sulla parte ecologica, altri su parte crescita personale e spirituale, altri ancora su quella educativa. Anche gli accordi fra le persone che ci vivono variano di volta in volta così come gli strumenti che si utilizzano per superano le difficoltà, prendere le decisioni, superare l’empasse. Si può dire che ogni ecovillaggio trova il suo modo».

Come accennavamo, gli ecovillaggi si organizzano in delle reti, che sono di vario livello. Abbiamo già accennato alla rete italiana, la RIVE, e a quella europea, GEN Europe. A fianco di quest’ultima esistono reti per ciascun continente: «c’è il GEN Africa, il CASA che rappresenta l’America Latina, il GENNA per l’America del Nord e e il Canada e il GENOVA per Oceania e Asia». Infine esiste l’organizzazione globale GEN, che fa da cappello ultimo – almeno in attesa dei primi ecovillaggi su Marte.

Le reti hanno varie funzioni: sono luoghi di confronto e apprendimento, dove condividere esperienze e difficoltà, imparare dagli errori e dai successi altrui, fare formazione. Sono anche un utile strumento di rappresentanza presso le istituzioni, capaci di far arrivare la voce degli ecovillaggi alle nazioni Unite così come ai vari parlamenti nazionali. Infine contribuiscono a creare una sorta di visione comune, o per meglio dire un comune sentire: «Quello che abbiamo scoperto come GEN Europa è che mettendo insieme le varie reti nazionali stiamo portando esperienze di paesi diversi ad incontrarsi, amalgamarsi e creare qualcosa che è ancora più grande, che forse non riflette al 100 per cento ogni singolo ecovillaggio, ma in cui tutti gli ecovillaggi possono trovare una parte in comune». 

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GEN Europe – Raduno 2018

Sociocrazia, facilitazione, CNV: strumenti per vivere assieme
Uno degli aspetti più interessanti dell’esperienza degli ecovillaggi è che al loro interno si è sviluppata una pletora di strumenti diversi che aiutano le persone a lavorare insieme, progettare, prendere decisioni e comunicare in maniera non violenta e collaborativa. La necessità di convivere pacificamente senza gerarchie sociali imposte ha fatto sì che gli ecovillaggi siano diventati dei veri e propri laboratori a cielo aperto di collaborazione.

Tecniche comunicative come la Comunicazione non violenta hanno trovato larga applicazione, modelli organizzativi come la Sociocrazia si sono sviluppati appieno, gli strumenti della facilitazione sono diventati presto indispensabili. Visti in quest’ottica gli ecovillaggi sono delle specie di microcosmi sperimentali da cui il mondo intero, anche quello cittadino, potrebbe imparare moltissimo (e a dire il vero, almeno in parte, sta già avvenendo).

Genny si concentra soprattutto sull’aspetto della facilitazione: «Esplorate la facilitazione se lavorate ad un progetti, perché è come una mamma, è come la terra che vi sostiene, è qualcosa che vi permette di guardarvi dentro, di guardare al vostro gruppo, al progetto, da un altro punto di vista. Quando siamo coinvolti personalmente perdiamo la capacità di guardare dall’alto: con l’aiuto della facilitazione invece possiamo tornare nel gruppo, sentirci parte del gruppo e riunirci nell’intenzione comune».

In particolare, come avrete ascoltato nella video-intervista, Genny raccomanda a chiunque voglia provare un’esperienza in un ecovillaggio (e non solo a loro) di leggere il manuale del progetto CLIPS, scritto da persone che hanno vissuto negli ecovillaggi, che spiega le difficoltà che un gruppo può incontrare e i passi da seguire per potersi mantenere in vita il proprio progetto. Lo trovate qui.

Cerchi
Elezioni sociocratiche degli organi direttivi RIVE presso l’ecovillaggio La Torre di Mezzo, in Toscana (2018)

Una storia, tante storie
Genny è tante cose assieme – abbiamo iniziato così questo articolo – racchiuse dalla sua storia personale. Lascio la parola a lei, definitivamente.

«Ho perso la vista all’età di due anni e mezzo e già da subito la mia vita è cambiata, ricordo quando sono tornata dall’ospedale che volevo giocare, correre e saltare come prima e tutti mi dicevano “non lo puoi fare”. E questa cosa mi faceva arrabbiare tantissimo. Da lì ho iniziato a sperimentare i miei limiti e ho capito che, per quanto fossero abbastanza consistenti, li potevo superare con l’aiuto di altre persone, collaborando, giocando, stando insieme e creando relazioni sane». 

«Fin da piccola questo mi ha permesso di avere rapporti molto belli con le persone, di ricevere la loro fiducia: le persone spesso venivano a parlarmi, a raccontarmi i loro problemi, a chiedermi consigli, e questo mi metteva spesso in difficoltà, a me che ero persa nel marasma della mia vita. E questo mi ha spinto però a fare molti lavori sociali, a mettermi in gioco con e per gli altri. A 14 anni ho iniziato a collaborare con Amnesty International, in seguito ho studiato Scienze internazionali diplomatiche perché speravo di poter cambiare il mondo, la politica, da dentro, di evitare le guerre. Mi sono poi imbattuta nel lavoro con le Organizzazioni non governative, e ne ho persino fondata una, per i bambini di strada nelle Filippine». 

«Tutti questi lavori mi hanno fatto crescere così tanto, mi hanno fatto toccare profondamente le mie ferite personali, il rifiuto che vivevo e ricevevo dal mondo esterno, la lotta costante per dimostrare che sono una persone che ha delle qualità. Ma soprattutto mi ha fatto vedere la vulnerabilità, la dolcezza e la disponibilità delle persone. Io viaggio da sola in Europa e nel mondo e trovo sempre una mano che mi accompagna, una voce amica che mi chiede se ho bisogno di una mano. Non è facile, ma credo veramente che avere fiducia nell’altro sia la risposta e la soluzione a tutto. E io ho voglia di avere fiducia».

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