7 Giu 2022

Chiara Grasso: “Il dolore che ho attraversato mi ha spinto ad aiutare le coppie che affrontano gravidanze arcobaleno”

Scritto da: Brunella Bonetti

Chiara Grasso è etologa e attivista per i diritti degli animali e si è sempre battuta per i diritti di chi non ha voce. A un certo punto della sua vita però ha dovuto lottare contro la paura, che ha trasformato un evento generalmente considerato lieto – la gravidanza – in un percorso doloroso ma fortificante.

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La sua casa è il mondo intero, il suo amore gli animali. Sin da quando ha iniziato a pensare a cosa fare da grande, Chiara Grasso aveva le idee chiare: «Mi sono laureata in comportamento animale e avevo deciso di rendere la conservazione faunistica e la sua divulgazione la base della mia vita, la mia missione. Esploravo il mondo per salvare gli animali vittime del turismo di massa».

Abbiamo già parlato del suo progetto Eticoscienza, fondato insieme al compagno di vita e di studi Christian allo scopo di sensibilizzare sul benessere animale e sulla salvaguardia ambientale. Oggi Chiara ci racconta il suo vissuto, esperienze – anche molto dolorose – che l’hanno portata a essere ciò che è oggi, «combattente e guerriera. Per gli altri esseri, quelli indifesi».

Qual è stato l’evento che ha cambiato la tua vita?

Al ritorno dai miei ultimi sei mesi in Africa, a marzo 2020, con Christian decidiamo di fermarci e di provare a creare una nostra famiglia e incredibilmente dopo nemmeno un mese il nostro desiderio si avvera e un test con la scritta “incinta” ci sveglia una mattina. Che sorpresa, che emozione! Camminavamo sopra il cielo, le stelle e gli astri. E i nostri genitori con noi. Nell’ingenuità della prima volta. Ricordo ancora l’emozione della prima ecografia: mi ero vestita di tutto punto, completamente in rosa con una lunga treccia di lato. Mia mamma e Christian al mio fianco me. Mi tremava l’anima e non vedevo l’ora di conoscere la mia creatura.

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Poi la prima ecografia: non si vede niente. «Riproviamo tra una settimana», ci incoraggiamo. Niente ancora. Dopo quattro ecografie di buio, la diagnosi: uovo chiaro. Nessun embrione. E allora lo sconforto. La delusione. La paura. Perché ? E poi la pillola abortiva per espellere tutto. Il dolore. Le contrazioni. Il maledetto ospedale con i suoi medici insensibili. La mancanza di umanità. Essere un numero e non una persona. I crampi, il sangue misto alle lacrime. Ci riproveremo, non fa niente. Piangiamo, ma ce la faremo. Insieme.

Come prosegue la vostra storia?

5 gennaio 2021: test di nuovo positivo, dopo solo pochi mesi di tentativi. Che meraviglia. Attendiamo con ansia la prima ecografia. L’emozione, ma anche l’ansia e la paura di trovare di nuovo quell’ecografia nera. La paura che quella camera gestazionale fosse di nuovo vuota. Ma no! Il battito c’è. E anche il feto. Voliamo di nuovo sopra le nuvole. Due giorni dopo inizio a non avere più male al seno. Che bello, non ho nemmeno più nausee. Eppure questo fatto un po’ mi stranisce.

Due giorni dopo inizia a tornarmi la libido, fino ad allora completamente sparita, e non ho più gli sbalzi di caldo e freddo delle settimane prima. Anche l’ostetrica mi suggerisce di stare tranquilla e vivermi la gravidanza senza ansia. Tuttavia, mi sento pazza. Ascolto il mio corpo come ci hanno sempre insegnato a fare e sento che c’è qualcosa che non va. «Ma no. Sei solo un’ansiosa e queste paure non esistono», continuo a ripetermi. Poi entro in sala ecografia. «Mi spiace signora, non c’è più battito. Si rivesta e le spiego la procedura». Ma io la so già la procedura, è la seconda volta che mi succede. Vorrei ridere, urlare e rompere tutto.

Una spada aveva trafitto il mio cuore e dentro di me c’era solo un pensiero: «Lo sapevo. Me lo sentivo. Io lo sapevo. Scusa, bambino mio per non averti ascoltato. Io lo sapevo». Era di 7 settimane. Poche, fragili, 7 settimane. Intanto mi si annebbia la vista, gira la testa e le gambe tremano. «No, non di nuovo. Non di nuovo». Questa volta ci speravo. Ci credevo. Questa volta avevo fatto tutto il possibile, tutto giusto. «Cos’è che non ha funzionato?», mi chiedo. Il mio corpo di donna. Il mio corpo che non riesce a tenere quel cuore dentro di sé, nonostante i gli sforzi. Il mio corpo non funzionava. E questo il pensiero mi annebbiava la mente. «Ma non smetterò di provarci». Allora abbozzavo un sorriso, mentre la gola mi bruciava dal dolore.

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Dopo quel momento, quali scelte hai compiuto e quale impatto o conseguenze hanno avuto su di te?

L’idea che assillava i miei giorni, e soprattutto le mie notti, era l’incubo di non poter mai essere mamma: per me, che lo volevo così tanto. Io che mi ero sempre presa cura degli altri, improvvisamente avevo scoperto che il mio corpo non funzionava e che combatteva contro sé stesso. E questa malattia non avrebbe permesso una gravidanza fisiologica e naturale. Mi sentivo responsabile del non poter rendere Christian un papà.

Ma è stato proprio grazie all’amore per lui, per noi, per il nostro desiderio di famiglia, che non mi sono arresa e insieme abbiamo deciso di riprovarci, per la terza volta. Questa volta accompagnati da ancora più medicine, che avrei dovuto prendere per tutti i 9 mesi: una puntura e 5 pillole al giorno. Per il nostro sogno, il nostro bambino, la nostra famiglia. Avevamo lottato e raggiunto traguardi incredibili per gli animali. Insieme. Ora toccava lottare per noi. Ho messo l’armatura e iniziato la battaglia più difficile della mia vita: quella contro la paura, l’ansia e una patologia invalidante. Dovevo vincere.

Quel “momento” lo puoi intendere come una svolta? È stato il punto più basso o più alto nel tuo percorso? Ti ha reindirizzato, illuminato la strada o ha bloccato la tua vita?

È stato l’inizio di un nuovo viaggio. Il 23 maggio 2021 infatti, ecco di nuovo la speranza: incinta. Questa volta però ce la dovevo fare. E così è iniziata la salita, il cammino lungo e faticoso contro l’ansia, contro le notti insonne, contro le lacrime prima di ogni visita. La paura di perdere di nuovo la vita che c’era in me, di iniziare a innamorarmi della speranza, del mio bambino, e poi di schiantarmi. Di nuovo.

Ecco, io vivevo così. Ogni volta che mi sentivo felice e sentivo che questa vita in me cresceva, sprofondavo e non mi permettevo di sperare. Eppure andava bene, giorno dopo giorno, visita dopo visita, battito dopo battito. Andava bene. La felicità faceva a botte con la paura. La speranza con l’insicurezza, la gratitudine con la rabbia. Le emozioni si offuscavano l’un l’altra, in un concerto di amore e timore.

Come finisce questa volta, la terza?

Questa volta è successo: il cammino si è illuminato. L’anima dell’Africa, la terra rossa, le camminate scalze tra i leoni, mi sono tornate dentro: l’Africa conquista perché è imperfetta. Quella terra che profuma di argilla, fango e sabbia, così imperfetta che ci fa sentire meno difettosi. Così sporca, che pulisce. Quella terra che ci colorava i piedi scalzi e i vestiti bianchi. Come fa a nascere la vita in una terra così inospitale? Eppure nasce. E allora te la porti dentro, ben protetta e sigillata nei ricordi, e ti dà forza quando pensi di non averla.

L’aborto spontaneo è un lutto che colpisce il 25% delle coppie e nessuno ne parla

«Sì, sono imperfetta. Sì, il mio corpo non funziona, ma non per questo non posso dare vita», mi sono ripetuta. E allora mi sono affidata alla vita che nasceva in me. In lei ho trovato forza. «Tu, piccola creatura dentro di me, tu sei la mia forza. Tu sei forte», ho detto parlandole. E connettendomi con la parte più selvaggia e primordiale del mio essere donna, del mio essere mamma, ho trovato la forza di credere che potesse andare bene.

Cosa è cambiato dopo aver attraversato questo processo? C’è stato un cambio di prospettive? Hai lasciato andare vecchi ruoli o credenze? Hai assunto nuovi approcci o comportamenti?

Ho permesso all’ansia di parlarmi, ho permesso alla paura di essermi amica, ho accettato le lacrime, le debolezze e il dover controllare il battito del piccolo feto in me ogni giorno. Ho accettato i sudori freddi prima di ogni ecografia. Ho accettato di aver paura. Avevo combattuto contro i circensi che maltrattavano gli animali, avevo vinto cause legali contro falsi centri di conservazione, avevo denunciato l’abuso e cambiato leggi per il recupero di animali selvatici, ma non riuscivo a vincere la paura di perdere la mia creatura.

E allora ho accettato di non vincere contro la paura e proprio in quel momento ho vinto io! Nove mesi di insicurezze e ansie, fino all’ultimo secondo, fino al secondo prima di abbracciare la mia Gaia. Gaia, come madre Natura, in onore al nostro pianeta. Gaia, in onore della felicità che ha portato nella nostra vita, come un arcobaleno dopo la pioggia. Il suo pianto, alle 18.42 del 30 gennaio 2022, le sue mani che toccavano il mio viso, le sue labbra sul mio seno. Io, che sentivo il mio cuore tornare a battere, insieme al suo primo respiro su questa Terra. Solo allora, l’ansia ha lasciato davvero spazio alla serenità.

Cosa pensi oggi di quanto è successo?

Non sarei la madre che sono, senza quelle anime che hanno scelto il mio corpo per lasciare un messaggio di loro. Non sarei forte come sono ora senza quelle perdite. Non sarei la madre guerriera grata e consapevole che sono. Sono stata una donna fortunata, in fin dei conti. E ora lo so. Una coppia su quattro perde una gravidanza. L’aborto spontaneo è un lutto che colpisce il 25% delle coppie e nessuno ne parla.

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Gli operatori sanitari lo trattano come se fosse un normale incidente di percorso da superare senza troppi traumi e nessuno ti abbraccia mai abbastanza. In fondo «dai, la prossima volta andrà meglio», come fosse una schedina del superenalotto giocata male. Da quasi un anno ormai dedico parte del mio tempo ad aiutare altre mamme, papà e coppie a vivere una gravidanza arcobaleno – quelle dopo un aborto – e a superare una perdita prenatale semplicemente con la presenza e la comprensione. A volte sapere di non essere soli è la vera forza che abbiamo per affrontare il dolore.

Cosa consiglieresti alle Moderne Persefone, soprattutto a quelle che, come te, faticano tanto a diventare mamme?

Non siete sole, mamme. Non siete soli, papà. Non smettete di crederci, di provarci, di affidarvi alla scienza se necessario per risolvere questi ostacoli. Non smettete di lottare. Gaia è qui. È con me, ora mentre scrivo queste parole. È qui da poche settimane e a volte ancora non ci credo. La mia pancia è ancora piena di lividi, così come il mio cuore. Ma lei è qui. Ed è la dimostrazione che la vita vince. È la dimostrazione che a volte le cose possono andare bene. Che camminare scalzi in savana può portarci a vedere magnifici tramonti. Lottate, insieme, mano nella mano. Non smettete di amarvi. Non siete soli. Io so cosa avete nel cuore. Lasciatelo urlare e poi tornate a sperare.

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