4 Dic 2023

Il benessere non sostenibile in Liguria – INMR Liguria #2

Scritto da: Emanuela Sabidussi
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Seconda puntata di “Io non mi rassegno Liguria” in cui commentiamo un report dell’Istat sul benessere equo e sostenibile, in cui la nostra regione ne esce non bene. Ma parliamo anche di due grandi opere genovesi, e delle relative contestazioni, e dei dati emersi in un convegno sul tema delicato e spinoso delle violenze economiche subite da molte donne.

Il livello di benessere nelle province liguri è inferiore rispetto al complesso dei territori del Nord Ovest e prossimo a quello dell’Italia. Lo rileva un report dell’Istat sul benessere equo e sostenibile in base a 70 indicatori, dalla salute all’istruzione, dal lavoro alle relazioni sociali, dalla sicurezza all’ambiente, fino alla qualità dei servizi.
Nella classifica delle province italiane, nell’ultimo anno di riferimento il 39,7% degli indicatori colloca le province liguri nella classe alta e medio-alta, a fronte del 50,1% del Nord Ovest e del 42,7% dell’Italia.

La provincia più svantaggiata della regione è Imperia, che nell’ultimo anno si trova nelle due classi di coda della distribuzione nazionale per il 44,3 per cento degli indicatori. Il tasso di emigrazione ospedaliera in altra regione è superiore alla media del Nord Ovest e a quella Italia in tutte le province. Punti di debolezza emergono anche nel dominio Ambiente, segnalati in particolare dagli indicatori sulla popolazione esposta ai rischi frane ed alluvione e da quelli sulla produzione e sulla raccolta differenziata dei rifiuti. Inferiore al valore medio nazionale in tutte le province anche la quota di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili

Nota positiva dello studio è che la Liguria si colloca sopra la media europea per tre dei nove indicatori di benessere: speranza di vita alla nascita e mortalità infantile, ma anche partecipazione elettorale nel dominio Politica e istituzioni. Insomma, si vive in media più a lungo e si è più attivi e partecipi alla vita politica, ma si vive peggio di quanto si potrebbe, con risorse e possibilità a disposizione. E forse proprio la partecipazione così attiva è conseguenza della consapevolezza delle problematiche esistenti da parte dei cittadini, che cercano a gran voce di farsi sentire ed esprimere il loro disagio. Che sia arrivato il momento di ascoltare queste voci, ora che anche i numeri lo richiedono?

Genova ha superato il record nazionale di supermercati, rispetto alla proporzione tra abitanti e punti vendita, svettando in classifica e superando anche la precedente regina della classifica, ovvero Milano. Con i suoi 238 metri quadri di grande distribuzione ogni mille abitanti, il capoluogo ligure supera infatti anche la “capitale” della Lombardia.

I genovesi hanno infatti l’imbarazzo della scelta su dove andare ad acquistare i loro prodotti, ma non solo: è in valutazione un progetto che vorrebbe ridefinire la mobilità della città, rendendola ‘intelligente’. Il progetto presentato alla Smart week dal sindaco, Marco Bucci, parlando nel suo discorso di semafori che si autoregolano a seconda del traffico, gestione intelligente dei parcheggi ma anche la possibilità di modificare la viabilità a seconda delle situazioni più critiche. Spiegando poi: “Il nostro obiettivo è di arrivare entro al massimo due anni al controllo e alla gestione della mobilità urbana. Stiamo lavorando su un grande progetto, quello della ‘mobilità as a service’ sul quale abbiamo un progetto da 100 milioni di euro, che ci permetterà di sapere chi si muove, come si muove e con quale mezzo e dove vuole andare”.

Devo ammettere che quando ho letto queste parole la ragioniera anarchica che è in me è trasalita: 100 milioni di euro per migliorare il controllo della mobilità su strada e delle singole auto? Un investimento di questa portata, non sarebbe molto più efficace e con una ricaduta maggiore su inquinamento e qualità della vita dei cittadini, se dedicato al miglioramento dei mezzi pubblici, che ad oggi risultano essere ancora lontani dall’efficienza che potrebbero avere?

Ad aggiungersi a tale investimento ci sono altre due grandi opere che stanno smuovendo e attivando la cittadinanza: il primo chiamato Skymetro, è il prolungamento dell’attuale metropolitana fino a Molassana. Il progetto è osteggiato da parte di molti residenti della Val Bisagno, che si sono organizzati nel comitato ‘Opposizione Skymetro – Val Bisagno sostenibile’.

Si tratta di un’infrastruttura sopraelevata che, se dovesse essere realizzata, partirà dalla stazione di Brignole per arrivare fino a Molassana, con sei fermate. Il progetto è stato presentato durante la Conferenza dei servizi e l’inizio dei lavori è previsto per luglio 2024 e la fine nel 2027 e verrà finanziato dal ministero dei Trasporti con 398 milioni.

“È un progetto innovativo e sostenibile con 7 chilometri di pannelli fotovoltaici che alimenteranno la metropolitana migliorerà la qualità della vita dei cittadini e delle imprese con un collegamento da Molassana a Brignole in meno di 11 minuti. È un’autentica rivoluzione della mobilità della Valbisagno che darà una risposta mai data fino a oggi” ha spiegato l’assessore alla Mobilità Matteo Campora, durante la presentazione del progetto di fattibilità tecnico-economica dell’opera.

Si prevede che il 50% dei consumi di esercizio in energia elettrica saranno recuperati tramite politiche green e ecosostenibili. Ma molti cittadini non sono per nulla entusiasti dell’opera: il comitato Opposizione Skymetro – Val Bisagno Sostenibile da tempo si batte contro la realizzazione dell’opera e ha espresso diverse perplessità, contestando anche i dati forniti dal Comune. Le contestazioni riguardano la sostenibilità per impatto ambientale, di sicurezza per i cittadini (essendo sopraelevata), ma anche di sostenibilità in quanto non è ancora stato reso pubblico uno degli strumenti fondamentali, ovvero il Piano di Sostenibilità Economica del progetto. Le risposte ai dubbi esposti per ora non hanno ancora ricevuto risposta e si attende il loro arrivo.

Ma non solo, spostandosi di pochi chilometri un’altra contestazione per un’altra grande opera è stata avviata un anno e mezzo fa. Si tratta del progetto realizzato dal duo Doppelmayr, società leader tecnologica mondiale nella costruzione degli impianti a fune, e dall’architetto Carlo Cillara Rossi e dal suo studio, specializzato in architettura alpina e in impianti di risalita e a fune. La lunghezza complessiva dell’impianto si prevede essere 2,5 chilometri con tre stazioni: quella di partenza nella piazza di fronte al palazzo del Principe – dove c’è la metro –, quella intermedia situata dal ponte Don Acciai, quindi fuori dal quartiere, e quella di arrivo interrata sotto forte Begato.

Il progetto presentato al Ministero della Cultura, di cui la funivia fa parte, era destinato per la “Riqualificazione del sistema dei Forti e delle Mura di Genova”. Il finanziamento stanziato dai fondi statali del Piano Nazionale Complementare (PNC) al PNRR è di 70 milioni di euro e di questi 40,5 milioni serviranno solo a costruire la funivia e la restante parte verrà destinata a restaurare 5 forti sui 10 presenti.

Abbiamo approfondito i diversi aspetti in un articolo pubblicato venerdì con la Consigliera Municipale Francesca Coppola, specializzata in architettura del paesaggio, progettazione degli spazi esterni, progettazione partecipata e con un dottorato di ricerca avviato sui paesaggi in transizione e con il contributo di Daniele Salvo, attuale presidente di Legambiente Polisi di Genova.

Sono diversi gli aspetti in comune di queste due grandi opere, ovvero lo Skymetro e la Funivia: in entrambi i casi ci sono infrastrutture di trasporto molto grandi e con un impatto importante per il territorio e per gli abitanti (in entrambi i casi infatti gli impianti passerebbero molto vicino, sopra e subito a fianco di molte abitazioni) con finanziamenti di diversi milioni di euro destinati. In entrambi i casi inoltre viene contestata la non presenza, o non sufficientemente esaustiva, di documentazione di valutazioni tecnico ambientali, ma anche di Sostenibilità Economica.

Per quanto riguarda lo Skymetro viene contestato la mancanza del piano di sostenibilità economica, ma anche per la funivia mancano elementi successivi alla realizzazione per i fondi necessari per la manutenzione ordinaria e straordinaria dell’impianto negli anni successivi alla realizzazione. Ma soprattutto in entrambi i casi emergono un numero sempre maggiore di cittadini che attraverso ricorsi, manifestazioni, richieste di incontri con l’amministrazione comunale, stanno cercando un dialogo con le istituzioni per far sentire la loro voce e i tanti dubbi, leciti, emersi in questi mesi. E la volontà di ascolto e l’arrivo delle risposte è un altro, e ultimo, punto in comune.

Vi terremo aggiornati sulle evoluzioni dei due progetti, sperando che un nuovo dialogo nelle prossime settimane possa iniziare ad avviarsi.

In queste ultime settimane un caso di cronaca di femminicidio ha riportato l’attenzione sul grande e tragico tema delle violenze sulle donne. Sono molte le iniziative organizzate in Liguria in queste settimane sul tema, a colpirmi è stato un articolo di qualche giorno fa pubblicato da IVG che riporta i dati emersi durante il convegno organizzato al museo Galata dalla Regione Liguria, che tratta uno degli aspetti dalle violenze sulle donne, meno evidente e spesso neanche riconosciuto come tale dalle stesse donne che la subiscono: parliamo della violenza economica, ovvero quel tipo di violenza che sfocia attraverso atti di controllo su una persona, nella maggior parte dei casi una donna, sull’utilizzo di denaro, ed è spesso costante una minaccia di negare le risorse economiche o impedendole di avere un lavoro e un’entrata economica personale e di utilizzare le proprie risorse secondo la sua volontà. Tra i comportamenti più quotidiani e riconoscibili ci sono azioni come il controllare la lista della spesa, o come la persona ha speso i soldi, o ancora il controllo della carta di credito o dei contanti.

Dal convegno sono intervenuti esperti, docenti universitari, attivisti dei centri antiviolenza ed esponenti del mondo finanziario e sindacale. Ne è emerso un quadro critico ma non allarmante, ovvero le richieste di aiuto arrivate ai centri della Liguria per casi di violenza economica di genere sono meno di 300.

Vi riporto due dichiarazioni dal mio punto di vista, che spiegano bene perché il fenomeno sembra essere ben più ampio di quanto sembrerebbe ad una prima lettura da questo dato:
La prima dichiarazione dell’assessora regionale alle Pari opportunità Simona Ferro: “È un tipo di violenza forse meno conosciuta, più nascosta e più subdola, che spesso porta proprio poi alla violenza fisica. I dati sono sicuramente allarmanti. Si parla di 1.180 chiamate di aiuto nell’anno 2023, considerando che non è ancora terminato. Di queste, 882 sono le donne prese in carico dai centri antiviolenza“.

In aggiunta, a contestualizzare la situazione più ampia è intervenuto anche Enrico Di Bella, docente di statistica sociale dell’Università di Genova “I dati non sono moltissimi perché è un problema tipicamente soggettivo, quindi le donne devono anche prendere coscienza e auto-dichiarare certe situazioni. Gli ultimi dati italiani che abbiamo a disposizione sono del 2016: il 6% delle donne risulterebbe essere vittima di violenza economica. In realtà il fatto che questi dati siano soggettivi potrebbe in realtà mascherare percentuali molto più alte. Infatti, se andiamo a vedere il panorama internazionale, quindi Paesi come l’Inghilterra e l’Australia, la percentuale è molto più alta: stiamo parlando di una donna ogni 11. Quindi è facile credere che anche in Italia ci sia una componente latente di violenza economica che non risulta dalle statistiche, non risulta dai dati, non risulta dalle denunce, e quindi che sia molto più alta rispetto a questi valori”.

Sono molti i centri antiviolenza che si occupano della questione e altrettante le associazioni del terzo settore che supportano in caso di necessità. La violenza si può manifestare in tanti modi e da donna so che il supporto è fondamentale, quindi se conoscete qualcuna che sta subendo violenze di questo genere, vi invito ad informarvi e a parlarne. Rompere il silenzio è il primo grande passo da compiere per uscirne.

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