5 Apr 2024

Scuole chiuse, riso alle stelle: gli effetti del caldo record nel Sudest asiatico – #908

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Il Sud-Est asiatico sta affrontando una delle ondate di calore peggiori di sempre, e un articolo del Guardian descrive nel dettaglio le tante conseguenze che questo fenomeno meteo sta avendo nei vari paesi, come la sospensione delle lezioni in migliaia di scuole l’aumento del prezzo del riso, la minaccia di distruzione dei coralli e così via. Nel Nord Italia invece, quest’anno ha nevicato molto e il pericolo siccità potrebbe essere scongiurato. Parliamo anche del governo Etiope accusato da una ong di crimini di guerra e della democrazia in Israele, che forse tanto democratica non è.

Il Sud-Est asiatico sta affrontando una delle ondate di calore peggiori di sempre, e un articolo del Guardian descrive nel dettaglio le tante conseguenze che questo fenomeno meteo sta avendo nei vari paesi, come la sospensione delle lezioni in migliaia di scuole l’aumento del prezzo del riso, la minaccia di distruzione dei coralli e così via. Nel Nord Italia invece, quest’anno ha nevicato molto e il pericolo siccità potrebbe essere scongiurato. Parliamo anche del governo Etiope accusato da una Ong di crimini di guerra e della democrazia in Israele, che forse tanto democratica non è.

Il sud-est asiatico sta affrontando un’ondata di calore storica che ha portato alla sospensione delle lezioni in migliaia di scuole nelle Filippine, al rialzo dei prezzi del riso in Indonesia a causa del clima secco, e alla minaccia di distruzione dei coralli in Thailandia per le alte temperature e a tanti altri micro-effetti a catena. Rebecca Ratcliffe, corrispondente del Guardian per il Sud-Est asiatico, racconta nel dettaglio la situazione. 

Leggo: “Un'”onda di calore storica” sta colpendo il sud-est asiatico, secondo Maximiliano Herrera, climatologo e storico del clima. Negli aggiornamenti pubblicati su X, ha detto che questa settimana sono state registrate temperature senza precedenti per l’inizio di aprile nelle stazioni di monitoraggio della regione, inclusa Minbu, nel Myanmar centrale, dove si sono raggiunti i 44°C – la prima volta nella storia climatica del sud-est asiatico che temperature così elevate sono state raggiunte così presto. A Hat Yai, nell’estremo sud della Thailandia, si sono toccati i 40,2°C, un record assoluto, mentre Yên Châu, nel nord-ovest del Vietnam, ha raggiunto i 40,6°C, senza precedenti per questo periodo dell’anno.

Tutto ciò arriva dopo che già a febbraio la regione era stata “colpita da gravi ondate di calore”, quando le temperature si sono spesso impennate fino ai 30°C alti – ben sopra la media stagionale. 

Secondo gli esperti questi fenomeni sono attribuibili al solito mix che ormai abbiamo imparato a conoscere, composto da cambiamento climatico causato dall’uomo, e fenomeno El Niño, che porta condizioni più calde e secche nella regione.

Ma vediamone le conseguenze e gli effetti sui paesi colpiti. Nelle Filippine, quasi 4.000 scuole hanno sospeso le lezioni in presenza dopo che l’indice di calore (ovvero un indicatore che stima il malessere provocato dalle condizioni metereologiche, e che in genere considera oltre alla temperatura l’umidità e il tempo di esposizione) ha superato i 42°C in alcune aree, un livello pericoloso che secondo l’ufficio meteorologico potrebbe causare crampi da calore ed esaurimento.

Il problema è che le scuole nelle Filippine non sono attrezzate per questo genere di meteo, come spiega l’articolo, con aule piuttosto piccole dove stanno 60-70 studenti senza una ventilazione adeguata. Il problema, come ha fatto notare un dirigrente, è che dato che queste condizioni saranno sempre più frequenti, non è che ogni volta che arriva un’ondata di calore si può fermare tutto. Dovranno essere costruite aule più adatte a resistere al caldo, e pensati programmi scolastici e orari più conciliabili con il nuovo clima. 

È interessante questo aspetto, perché vedete che quando si parla di adattamento climatico, molti pensano all’agricoltura, o agli argini dei fiumi, o alle zone costiere. Chi penserebbe alla scuola? Eppure anche la scuola, così come praticamente ogni altro aspetto della nostra società, va ripensato perché è stato immaginato e costruito sulla base di un equilibrio climatico differente. 

In Indonesia invece il caldo intenso ha anche causato caos soprattutto nell’agricoltura. Il paese già lo scorso anno ha sperimentato un clima molto caldo e seco, tant’è che quando finalmente le piogge sono arrivate a dicembre il presidente Joko Widodo ha fatto ricorso all’esercito per aiutare gli agricoltori a piantare il riso, per fare più in fretta e salvare il salvabile del raccolto. Ciononostante il costo del riso, alimento base per i 270 milioni di persone del paese, è aumentato di più del 16% a febbraio rispetto all’anno scorso, secondo un rapporto di Reuters. E l’articolo del Guardian parla di code di ore per accedere al riso sussidiato dal governo.

In Vietnam, invece, i livelli d’acqua erano così bassi nei canali all’inizio dell’anno che gli agricoltori di alcune aree hanno avuto difficoltà non solo a produrre, ma anche a trasportare i loro raccolti, cosa che tradizionalmente avviene tramite i canali. 

Nella vicina Thailandia, secondo un’analisi economica citata dal Bangkok Post, una diminuzione dei rendimenti delle colture farà aumentare il debito degli agricoltori dell’8% quest’anno. Mentre in Malesia, le autorità hanno fatto ricorso alla tecnica del cosiddetto cloud seeding, ovvero l’inseminazione delle nuvole con sostanze chimiche per far piovere a comando, nelle aree colpite dalla mancanza di pioggia.

In tutti i paesi poi i governi stanno emettendo diversi avvertimenti sanitari su come fare a sopravvivere al caldo estremo ed evitare i colpi di calore. Anche se molti lavoratori, specialmente quelli in settori come l’agricoltura o la costruzione, hanno poche opzioni se non sopportare il caldo severo. Tant’è che si registrano già alcuni casi di persone morte per questo motivo.

Gli effetti di questa ondata di caldo estremo si estendono anche alle acque della regione mettendo a rischi soprattutto i coralli, che sappiamo essere molto sensibili alle variazioni di temperatura, a cui reagiscono con i fenomeni del cosiddetto sbiancamento dei coralli, per cui in pratica i coralli, che sono il risultato di una simbiosi fra un polipetto e un’alga, espellono l’alga che è responsabile della loro colorazione, compromettendo però così la loro capacità di riprodursi. 

Secondo un professore dal nome impronunciabile della facoltà di pesca all’Università Kasetsart in Thailandia la temperatura dell’acqua è stabilmente ben oltre la media stagionale e se questo caldo continuasse per altre due o tre settimane, potremmo vedere un massiccio sbiancamento dei coralli. Al tempo stesso l’acqua eccessivamente calda minaccia anche la vita dei pesci nelle fattorie ittiche locali, mettendo sotto stress quel settore.

Insomma ho trovato questo articolo interessante perché racconta la complessità di adattarsi al clima che cambia, spiega come ogni settore sia interessato e subisca gli effetti di questo fenomeno e quindi fa capire come sia necessario ripensare praticamente ogni aspetto del nostro sistema. 

Oltre a trasmettere il senso di urgenza nel dover decarbonizzare la società, quindi smettere di bruciare combustibili fossili, ma ormai direi smettere di bruciare punto. Anche perché l’accelerazione del riscaldamento globale che stiamo osservando è superiore a quella che i modelli avevano previsto, anche considerando il fenomeno del Nino, e gli scienziati stanno ancora cercando di capire come mai, se è una normale oscillazione oppure se sono sbagliati i modelli.

Noi, nel dubbio, è meglio se iniziamo a mitigare e ad adattarci. Anche su questo tema ci sono tanti livelli su cui possiamo agire, sia individuali che collettivi. Un buon punto di partenza è la puntata di A tu per tu in cui il nostro direttore Daniel Tarozzi intervista Filippo Thiery, meterologo di Geo, e Cristiano Bottone, co-ideatore di Attenti al Meteo proprio sul tema di come adattarsi al clima che cambia. 

Ve lo lascio in descrizione, se siete abbonati/e potete ascoltarlo tutto sennò comunque potete sentire la preview. E poi decidere di abbonarvi. Perché si sa che chi si abbona a ICC si adatta meglio.

Comunque, se vivete nel Nord Italia, forse per quest’anno ve la cavate anche senza abbonarvi. Perché? Perché oggi mi è stato segnalato dalla collega Selena Meli un interessante articolo del Post che racconta come a dispetto di quello che io stesso credevo, quest’anno al nord Italia abbia nevicato molto, persino sopra la media degli ultimi 12 anni, il che ha portato a un accumulo di neve importante e questo dovrebbe offrire una fonte d’acqua importante per i mesi estivi dopo due inverni di grave siccità nel Nord Italia. 

Stiamo parlando delle Alpi, perché, come spiega ancora l’articolo, questo surplus di neve non si estende agli Appennini, dove persiste una scarsità d’acqua. 

Ma buona parte del Nord Italia, e in particolare il bacino del Po, che abbiamo visto essere un luogo critico per questioni agricole e industriali, beneficerà notevolmente di questa abbondanza, con una riserva idrica stimata derivante dalle nevi che al momento è superiore del 29% rispetto alla mediana degli anni 2011-2022. Anche l’Adige mostra un miglioramento interessante, mentre di contro, il Centro e Sud Italia affrontano deficit significativi a causa delle alte temperature invernali che hanno causato la fusione precoce della neve, con il bacino del Tevere che registra un deficit dell’80%.

Nonostante le prospettive positive per il Nord, c’è comunque un rischio ovvero quello di scioglimento precoce della neve a causa di temperature elevate rimane una preoccupazione. Insomma, se nelle prossime settimane le temperature non supereranno certi limiti, dovrebbero esserci sufficienti scorte di acqua per l’estate, al Nord, altrimenti, rimane il rischio siccità.

Detto ciò, mi colpisce come ormai nell’immaginario di chi come me si occupa di ambiente, la siccità al Nord Italia sia diventata una cosa quasi scontata, al punto da perdermi questa notizia. Si tratta di bias di conferma? O forse, altra ipotesi, i giornali che seguo e che si occupano di ambiente hanno tralasciato questa notizia perché c’è un po’ la convinzione che dare notizie rassicuranti possa far credere alle persone che allora il cambiamento climatico non esiste. Quando in realtà è proprio occultando notizie come questa, e quindi sì, facendo una informazione parziale, che si instilla il sospetto che “ah, vedi, mi stanno nascondendo qualcosa, quindi è tutto un’invenzione”.

Ovviamente non è così e ovviamente non è che un’annata positiva in una parte del nostro paese può negare o contraddire in qualche modo un andamento globale che continua ad essere molto preoccupante. Però, insomma, se ogni tanto anche il clima ci regala qualche buona notizia, perché non parlarne?

Torniamo a parlare di probabili crimini di guerra. Stavolta non però a Gaza ma in  uno di quei luoghi del mondo che tendenzialmente ci interessa meno, e che è praticamente assente dall’agenda dei media. Parliamo del cruento conflitto in Etiopia, e dell’accusa mossa da Human Rights Watch, ong che si occupa di diritti umani, al governo etiope di aver “giustiziato sommariamente diverse decine di civili” e commesso altri crimini di guerra nella regione nord-occidentale di Amhara all’inizio di quest’anno. L’organizzazione ha anche chiesto alle Nazioni Unite di avviare un’indagine indipendente.

Ne parla Al Jazeera, uno dei pochi media a riportare la notizia. Il fatto a cui fa riferimento HRW è un fatto specifico, avvenuto nella città di Merawi alla fine di gennaio ed è uno degli episodi più sanguinosi del conflitto, per i civili, da quando ad agosto sono iniziati gli scontri tra le forze governative federali etiopi e la milizia Fano, una milizia etnica locale della regione Amhara.

Il 29 gennaio scorso l’esercito governativo è entrato in città e si è reso responsabile di quelle che la Ong definisce “brutali uccisioni di civili” che “smentiscono le affermazioni del governo che sta cercando di portare legge e ordine nella regione.” In pratica, dopo che i combattenti Fano si sono ritirati da Merawi, i soldati hanno sparato ai civili sia per le strade che andandoli a stanare dentro le loro case per un periodo di sei ore.

“I soldati hanno anche saccheggiato e distrutto proprietà civili,” ha detto HRW, e diversi residenti hanno raccontato a HRW che i soldati rimasti in città hanno rifiutato di permettere alla comunità di raccogliere e seppellire coloro che sono stati uccisi.

Un’indagine separata condotta dalla Commissione Etiope per i Diritti Umani, nominata dallo stato, ha stimato che almeno 45 persone sono state uccise dalle forze governative a Merawi. Secondo HRW alcune testimonianze indicano un numero superiore ad 80, anche se il numero esatto è difficile da ricostruire.

Comunque, alla luce di questi fatti l’ong ha esortato l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani a guidare l’indagine sugli abusi presumibilmente commessi e chiesto all’Unione Africana di sospendere tutti i dispiegamenti delle forze federali etiopi in missioni di pace fino a quando “i comandanti responsabili di gravi abusi non saranno ritenuti responsabili”.

La situazione in Etiopia resta drammatica per milioni di persone, stremate dalla guerra. L’Etiopia è uno di quei paesi al mondo in cui la guerra sembra la tremenda normalità. Non so se vi ricordate, ma prima di questo conflitto ce n’era stato un altro, nel Tigray, in cui delle truppe ribelli erano state combattute dall’esercito governativo, pensate un po’ con l’appoggio dei miliziani del FANO. 

E la guerra attuale è figlia di quell’accordo di pace, perché come spiega Avvenire, dopo l’accordo del 2022 che ha messo fine alla guerra civile nel Tigray i miliziani del FANO hanno iniziato ad accusare il governo di non aver pensato alla sicurezza della loro regione, l’Amhara, che sarebbe in pericolo di essere attaccata proprio dal Tigray, e da un’altra regione vicina, l’Oromia. Quindi quella pace aveva di fatto già i semi di questa nuova guerra.

Quindi ecco, questa è la situazione, e di nuovo mi colpisce quanto poco ci colpisca. Mi colpisca, mi ci metto io per primo. Questa questione delle guerre di serie A e serie B è una questione davvero profondamente psicologica. È incredibile quanto il fatto di essere circondati da informazioni su solo due conflitti ci porti automaticamente ad essere molto più empatici verso quelle persone, o comunque ad avere delle opinioni su quei conflitti lì e non su altri.

Pensate un po’ al dolore e all’incazzatura che proviamo se pensiamo ai bambini palestinesi uccisi dall’esercito israeliano o a quelli ucraini uccisi dall’esercito russo. Oppure alcuni di noi proveranno empatia e dolore solo per i bambini palestinesi perché pensano che quelli ucraini un po’ se la siano cercata, o viceversa. 

Il punto è che su entrambi quei conflitti sappiamo esattamente in testa nostra da che parte stare, chi sono i buoni e chi sono i cattivi. Non dico che sia una cosa sana eh, anzi è il modo migliore per continuare ad alimentarli quei conflitti. Ma faccio solo notare il meccanismo. Sul conflitto in Etiopia, sì, magari ora che lo sapete gli dedicherete qualche minuto della vostra attenzione, ma a breve tornerà a scomparire dalle vostre preoccupazioni. E vi dirò: anche dalle mie. Perché l’agenda setting dei media opera nel nostro inconscio, nel nostro immaginario. E ci vuole tanta volontà e un grosso sforzo di consapevolezza per cambiarla, almeno all’interno di noi stessi.  

Ovviamente, tutto il discorso appena fatto, non significa che sia sbagliato occuparsi e preoccuparsi di quanto avviene a Gaza. La cosa belle delle nostre emozioni, sia belle che brutte, è che sono molto elastiche. Possiamo estendere la nostra empatia all’infinito, farle abbracciare il mondo intero, senza che si strappi.

Su Italia che Cambia parliamo di tante cose belle, e a breve il nostro direttore Daniel Tarozzi ce ne racconterà alcune, ma non rifuggiamo i temi impegnativi, come appunto la guerra. Vi faccio questa premessa perché nel suo vocale di oggi Daniel ci parla anche di un articolo uscito oggi che racconta proprio di Israele, di Gaza, di democrazia. Ma non vi dico altro, vi lascio alle sue riflessioni.

Audio disponibile nel video / podcast

Grazie davvero Daniel. Trovate tutti gli articoli citati come al solito sotto fonti e articoli.

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