12 Gen 2023

Perù, la “giornata di sangue” e la verità sul colpo di stato – #650

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Oggi parliamo di proteste: quelle in Perù represse nel sangue dalla polizia, sangue indios. Quelle in Iran, contro l’impiccagione da parte del regime di giovani e giovanissimi manifestanti. E quelle in Brasile, pro Bolsonaro, fra teorie del complotto e finanziamenti occulti.

NEL SILENZIO GENERALE, IN PERU’ CONTINUANO LE PROTESTE

Vi ricordate del gran casino successo in Perù, di cui abbiamo parlato più volte prima delle feste? Ve lo riassumo in brevissimo. Il 7 dicembre l’allora presidente peruviano aveva tentato di sciogliere il Congresso in quello che è stato riportato dai media come un tentativo di colpo di Stato. Il Parlamento peruviano però non c’è stato e di fatto ha destituito Castillo e nominato come nuova Presidente la sua vice, Dina Boluarte. Castillo si è poi presentato spontaneamente alla prefettura di Lima ed è stato incarcerato preventivamente, in attesa di processo.

Tuttavia Castillo godeva e gode di una certa popolarità in Perù, tant’è che fin da subito sono nate proteste molto accorate che si sono trasformate in scontri in piazza anche violenti. I manifestanti chiedono  la chiusura del Congresso, elezioni anticipate, le dimissioni della Boluarte e la scarcerazione di Castillo.

Veniamo così alle novità. Racconta GreenReport che lunedì 9 gennaio queste proteste – che hanno continuato aparalizzare il paese – sono state represse con estrema violenza a Juliaca, nella provincia di San Román, nel dipartimento di Puno, nel sud-est del Paese, dove sono morte 18 persone – e  almeno 112 sono state ferite, in una giornata che i media hanno definito la “sangrienta jornada” (la giornata di sangue). Il massacro dei manifestanti è avvenuto il sesto giorno consecutivo delle proteste antigovernative, mentre i manifestanti cercavano di occupare l’aeroporto Inca Manco Capac e ha fatto salire ad almeno 45 le vittime delle manifestazioni iniziate l’11 dicembre in tutto il Paese.

Martedì (10 gennaio) il presidente del Consiglio dei ministri del Perù, Alberto Otárola, si è presentato al Congresso per chiedere un voto di fiducia al governo di Dina Boluarte, ma è stato costretto ad abbandonare l’aula quando un gruppo di parlamentari ha iniziato a gridare «Assassini!», rivolto ai banchi del governo, con evidente riferimento proprio alla sangienta jornada. 

Sempre martedì, il governernatore di Puno Richard Hancco Soncco ha decretato tre giorni di lutto in tutto il dipartimento e ha chiesto che «La Procura della Repubblica avvii indagini contro i responsabili di questi deplorevoli eventi che piange la regione di Puno» e ha anche condannato «Qualsiasi atto di violenza e uso esagerato della forza pubblica da parte della policia nacional e delle forze armate peruviane, nella città di Juliaca».

Di fronte alle crescenti proteste contro il nuovo governo del Perù, accusato di essere il frutto di un golpe parlamentare, le organizzazioni sociali chiedono «La fine della repressione poliziesca». 

L’ospedale Carlos Monge Medrado di Juliaca  è al collasso a causa delle centinaia di feriti frutto della repressione poliziesca degli ultimi giorni e le autorità sanitarie segnalano la mancanza di medicinali e sangue per curare i feriti; così come il cibo per le famiglie dei feriti.

Ieri a Juliaca  sono nuovamente scesi in piazza centinaia di abitanti della città per protestare contro la brutale repressione da parte delle forze di sicurezza. Mentre sale l’indignazione tra la popolazione indigena, il governo della presidente Boluarte ha annunciato un  coprifuoco di tre giorni nella città di Puno , dalle 20:00 alle 4:00. Ma le proteste antigovernative continuano e il Ministerio Público de Perú  ha aperto un’inchiesta contro Boluarte per il massacro di Juliaca.

E questi sono i fatti. Ora, se siete un po’ confusi, lo sono anche io. L’elemento principale di confusione riguarda chi ha fatto o perlomeno tentato il colpo di stato. Perché il Congresso dice che è stato Castillo, che nel tentare di sciogliere il Congresso stesso voleva prendere dei poteri semi-assoluti. Mentre i sostenitori di Castillo, perlopiù indios, sostengono che tutto questo sia il frutto di una sorta di complotto per far fuori Castillo. E in effetti Castillo ha provato a sciogliere il congresso mentre era in corso la terza procedura di Impeachment da parte del Congresso nei suoi confronti in pochi mesi. Aggiungeteci che Castillo è un indio, ex insegnante di sinistra di ispirazione marxista, uno che potrebbe spaventare abbastanza l’impianto del potere costituito, in Perù.

Allora ho approfondito un po’, per vedere oltre quello che riportavano i giornali italiani. Ho banalmente consultato Wikipedia, scoprendo che il Congresso in Perù è a maggioranza conservatrice e che in pratica fin dal giorno del suo insediamento ha fatto un ostruzionismo feroce verso Castillo. 

Oltre alle tre procedure di impeachment, il parlamento ha approvato una legge che limita la capacità dell’esecutivo di sciogliere il Parlamento, poi una legge secondo cui il referendum per la convocazione dell’Assemblea Costituente, una delle promesse principali di Pedro Castillo durante le elezioni presidenziali, non può essere tenuto senza una riforma costituzionale precedentemente approvata dal Parlamento, poi durante una visita al Parlamento spagnolo, la presidente del Congresso peruviano, María del Carmen Alva, ha chiesto ai deputati del Partito Popolare di approvare una dichiarazione in cui si afferma che “il Perù è stato catturato dal comunismo e che Pedro Castillo è un presidente privo di qualsiasi legittimità”. 

E ancora gli ha vietato di recarsi in Colombia per l’insediamento del nuovo presidente Gustavo Petro, (perché secondo la legge peruviana, il Presidente deve ottenere l’autorizzazione del Congresso ogni volta che vuole viaggiare all’estero), gli ha negato il permesso di recarsi in Vaticano per incontrare il Papa, in Thailandia per il vertice della Cooperazione Economica Asia-Pacifico (APEC) ed in Messico alla fine di novembre per una riunione dell’Alleanza del Pacifico. La magistratura ha arrestato due suoi nipoti, per motivi futili, e tante altre cose.

Insomma, sembra che l’establishment peruviano abbia condotto una guerra feroce contro Castillo, impedendogli di fatto di governare. Alla luce di tutto questo, la mossa di Castillo e la situazione attuale in Perù assumono una luce diversa. Così come lo assumono le proteste di migliaia di indios che appoggiano quello che ancora considerano il loro presidente. 

PROTESTE CONTRO LE IMPICCAGIONI IN IRAN

Di rivolta in rivolta, torniamo in Iran. Chiara Manetti su la Svolta racconta come le ultime manifestazioni si siano concentrate soprattutto sull’impedire l’impiccagione di alcuni giovani manifestanti. Vi leggo qualche estratto: “Nella notte tra domenica e lunedì, quando in decine di città dell’Iran si svolgevano le prime proteste dell’anno, centinaia di persone si riunivano davanti alla prigione di Rajaei-Shahr a Karaj, a ovest di Teheran, per impedire l’impiccagione di 2 giovani iraniani.

“Ieri sera circolavano voci, nei media anti-rivoluzionari, che sostenevano che le esecuzioni di Mohammad Ghobadlou e Mohammad Brughni, i condannati per le recenti rivolte, erano sul punto di essere compiute. Questo ha spinto un piccolo numero, tra cui la famiglia di Ghobadlou, a riunirsi davanti alla prigione di Rajai Shahr”: è così che l’agenzia della magistratura iraniana Mizan ha descritto le dimostrazioni di dissenso che avrebbero bloccato l’impiccagione del ventiduenne accusato di aver investito e ucciso un agente di polizia, e del suo compagno di prigionia Boroughani, di soli 19 anni, ritenuto colpevole di aver impugnato un machete e di aver incendiato l’edificio di una prefettura durante le proteste. 

L’agenzia sottolinea che non si è trattato di “una battuta d’arresto”, ma “l’esecuzione delle sentenze di questi condannati in questo momento non era all’ordine del giorno a causa della mancanza di un giusto processo”.

I 2 giovani erano stati trasferiti in isolamento in previsione dell’esecuzione in pubblico: secondo gli attivisti per i diritti umani, la protesta, scoppiata dopo la diffusione di questa notizia, avrebbe temporaneamente evitato la loro uccisione, che non è ancora stata programmata. Come riporta la Bbc, il collettivo di attivisti 1500 Tasvir, attivo su Twitter, ha pubblicato alcuni video che mostrano la folla che intona cori contro le autorità: “Ucciderò chi ha ucciso mio fratello” e “Questo è l’ultimo avvertimento. Se li giustizi ci sarà una rivolta”.

La madre di Ghobadlou, condannato a morte dalla Corte Suprema il 24 dicembre per “corruzione sulla Terra”, ha chiesto la clemenza per suo figlio, affetto da disturbi bipolari: in un filmato fuori dalla prigione, racconta alla folla che 50 medici avevano firmato una petizione che chiedeva al capo della magistratura di istituire un comitato per esaminare la salute mentale di suo figlio. Eppure, lo psichiatra dell’Organizzazione di medicina legale incaricato di giudicare la sua condotta ha ritenuto il suo comportamento “criminale, mirato e ragionato”. Secondo Amnesty International, il ragazzo sarebbe stato processato senza l’avvocato che aveva prescelto, e accusato sulla base di prove falsate. Anche il giovane Boroughani, condannato per “inimicizia contro Dio”, sarebbe stato giudicato colpevole in un procedimento tutt’altro che regolare.

Sabato scorso 2 manifestanti sono stati impiccati per aver preso parte alle proteste contro il regime e per la presunta uccisione di Seyed Ruhollah Ajamian, un membro della forza paramilitare Basij del Paese, a Karaj. Si chiamavano Mohammad Mehdi Karami (21 anni, campione nazionale di karate vincitore di diversi titoli) e Seyed Mohammad Hosseini (20 anni, ricordato per le sue attività di volontariato). Avevano presentato un ricorso contro le loro condanne perché dicevano di essere stati torturati, ma la Corte Suprema ha confermato la sentenza di morte il 3 gennaio. Dopo l’impiccagione della coppia, il capo dei diritti umani delle Nazioni Unite ha dichiarato che le esecuzioni equivalgono a «uccisioni autorizzate dallo Stato». L’Unione Europea ha esortato l’Iran a sospendere tutte le esecuzioni “a seguito di processi iniqui basati su confessioni forzate”.

Dalla morte di Mahsa Amini sotto la custodia della polizia morale le esecuzioni note sono salite a 4 (i primi a subire l’impiccagione sono stati Majidreza Rahnavard e Mohsen Shekar, a dicembre). Secondo l’agenzia di stampa Hrana ci sarebbero 111 persone a rischio imminente di esecuzione, anche se i dati diffusi dai funzionari e dai media iraniani ne citano 41.

Durante i disordini sarebbero stati uccisi 519 manifestanti e 68 membri del personale di sicurezza. Secondo gli attivisti, sarebbero più di 19.000 gli arrestati. 

Insomma, la situazione in Iran resta molto complessa, ma nonostante le morti, le uccisioni, le impiccagioni, le proteste dei giovani e delle giovani iraniane vanno avanti. Se volete saperne di più, vi invito ad ascoltare la puntata di INMR+ proprio sulle rivolte in Iran. 

BRASILE, SCOPRIAMO I RETROSCENA DELLA RIVOLTA

Di rivolta in rivolta, di tentato colpo di stato in tentato colpo di stato spostiamoci in Brasile. Devo fare una premessa. La premessa è che mi rendo conto di non essere del tutto neutrale quando parlo di questo tipo di rivolte e di avere un atteggiamento diverso quando parliamo delle rivolte in Perù o in Iran, rispetto a quella dei supporter di Bolsonaro, in Brasile. Banalmente, simpatizzo per i primi, meno per i secondi. Questo ovviamente porta tutta una serie di ripercussioni a livello di informazione, che per quanto mi sforzi di evitare, sono abbastanza inevitabili, quindi il modo più onesto e trasparente che ho trovato è quantomeno dichiararlo. Senza che questo sia però una scusa per evitarmi lo sforzo di ricercare fonti attendibili e capire realmente come stanno le cose. Fine della premessa.

Premesso ciò, ho trovato interessante un articolo su Dagospia, che a sua volta raccoglie il meglio di alcuni articoli usciti in questi giorni sui giornali che provano a ricostruire la regia di fatti brasiliani, che potremmo riassumere così: un gruppo di supporter di Bolsonaro ha occupato i tre principali palazzi del potere (Parlamento, palazzo presidenziale e Corte suprema) e ha provato a convincere l’esercito a schierarsi al loro fianco, destituire Lula e rimettere al comando Bolsonaro. 

Veniamo quindi agli articoli in questione. Fabio Tonacci su “la Repubblica” ricostruisce le varie teorie del complotto diffuse fra i manifestanti, che ricordano molto da vicino le teorie di QAnon.

“La colpa è del Codice Fonte. Senza quell’algoritmo occulto progettato dai complottisti della sinistra internazionale, le elezioni in Brasile le avrebbe vinte Bolsonaro, quindi non ci sarebbe stato bisogno di tentare il colpo di Stato. «Fate gli spiritosi, ma le cose stanno proprio così». 

Si irrita Telma Vieira, quando avverte scetticismo. Quarantotto anni, parrucchiera, madre di due figli e bolsonarista della prima ora, custodisce una foto del Codice Fonte nel telefonino, per chi non ha fede. «Eccolo ». Lettere, numeri, punteggiatura e stringhe su sfondo nero, come la matrice del film Matrix. Ed è solo l’inizio di questa escursione nel delirio cospirazionista che anima gli assalitori della democrazia. 

[…] «Ci hanno teso una trappola, sull’Esplanada», attacca Telma. Chi? «Come chi? Gli infiltrati di Lula! Era tutto organizzato. Erano vestiti come i patrioti, con le maglie della Seleção. Sono loro ad aver spaccato tutto». Tira dritto col ragionamento, incurante di centinaia di filmati in cui si vede l’orda dei bolsonaristi partire dal campo-base, sorto sul prato dello Stato maggiore dell’Esercito. […] «L’idea era occupare pacificamente l’Esplanada e costringere le forze armate a prendere posizione». Chi vi ha chiamato? «Qualcuno, non so chi. Pensavamo che i generali alla fine avrebbero destituito Lula, per mettere al governo il legittimo inquilino: Bolsonaro, l’uomo che ha aperto gli occhi al Brasile e ci ha mostrato come stanno realmente le cose sul Covid, sui diritti, sulla politica. Prima ero così cieca che votavo Lula ».

[…] «I capitani, i maggiori, i colonnelli sono sempre stati dalla nostra parte, ci hanno trattato bene nei due mesi al camping di Brasilia. Io ci andavo ogni fine settimana, senza che nessuno mi pagasse i viaggi. Ma i generali, nel momento cruciale…i generali hanno tradito»”.

L’articolo poi mostra anche il ruolo delle chat in cui “chiunque può chiamare alla rivolta, spargere fake news, indicare obiettivi. La marcia sui palazzi del potere brasiliano, domenica, è iniziata lì dentro: qualcuno ha lanciato l’idea di prendersi la piazza dei Tre Poteri, ed è successo. Certo, tra mille connivenze e complicità degli apparati di sicurezza, motivo di inquietudine per il governo in carica.

Anche Emi. Gua. su “La Stampa” indaga gli ambienti del bolsonarismo e le sue inflitrazioni nella polizia attraverso un’intervista a Patricia Campos Mello, autrice di un’accurata indagine che ha scoperto la rete di finanziatori e propagatori di fake news nella campagna elettorale del 2018 di Bolsonaro, che è stata attaccata dal presidente e oggetto di una campagna di odio da parte dei suoi sostenitori.

“Lei si aspettava l’assalto di domenica?

«Lo aspettavamo da tempo. […] Si tratta di un movimento organizzato, non sono dei marziani piombati dal nulla. Si organizzano attraverso canali Telegram, reti di messaggi Whatsapp e continueranno ad agire». […] «L’intelligence ha fallito, questo preoccupa. […]».

[…] «Credo che questa invasione sia stata controproducente per Bolsonaro e i suoi alleati. La maggioranza dei suoi elettori non l’approva, l’attacco alle istituzioni spaventa l’opinione pubblica.

I governatori cercheranno di distanziarsi il più possibile dall’estremismo. La stessa cosa non si può dire della polizia, dove molti elementi simpatizzano per il Bolsonaro duro e puro, sono nostalgici della dittatura, non accettano imposizioni da parte del potere politico. Lì c’è un pericolo per la tenuta democratica del Brasile».

Infine sul Corriere della Sera Sara Gandolfi punta il faro della propria indagine sui finanziamenti, abbondanto, che sarebbero arrivati ai manifestanti da una regia occulta, ma nemmeno troppo. 

[…] Macchiette radicali? Forse, ma ben foraggiate. Oltre 100 imprese private, contro cui è stato chiesto il blocco dei beni, sono sospettate di aver finanziato gli estremisti: avrebbero pagato decine di autobus che nei giorni scorsi hanno trasportato i «bolsonaristi» da diversi località del Brasile fino al cuore della capitale.

Ieri il vice procuratore generale Lucas Furtado ha chiesto il blocco dei conti bancari anche dell’ex presidente Bolsonaro e del governatore del Distretto federale, Ibaneis Rocha mentre il giudice della Corte Suprema, Alexandre de Moraes, ha ordinato l’arresto sia dell’ex segretario alla sicurezza del Distretto federale (Df), Anderson Torres, già ministro della Giustizia di Bolsonaro, che ha raggiunto gli Usa, sia dell’ex comandante della Polizia militare del Df, che avrebbero dovuto garantire l’ordine nella capitale e ora sono sospettati di connivenza con gli assaltatori.  […]

Devo dire che in questa epoca storica l’attivismo da parte di gruppi di destra che fanno riferimento a teorie complottiste sta diventando un elemento centrale delle nostre società. Qualcosa che non possiamo più ignorare, né far finta che sia un fenomeno passeggero, ne tantomeno ridicolizzare e sminuire. Ho letto, fra le altre cose, un’interessante intervista a Steve Bannon, che è il principale ideologo mondiale del populismo di destra che spiegava come a suo avviso i populismi di destra stiano vincendo la loro battaglia e siano destinati a vincere ovunque, ben al di là dei propri leader. 

E questo mi ha fatto riflettere sul fatto che spesso tendiamo a identificare questi movimenti con delle persone: Trump, Bolsonaro, Orban, Salvini. Ma forse è vero il contrario. Sono queste tendenze intestine delle nostre società che permettono semmai a certi personaggi di emergere, cavalcandole. Non il contrario. E forse, invece di demonizzare la persona, dovremmo analizzare il sintomo più a fondo, e capire che informazione ci porta.

FONTI E ARTICOLI

#Perù
GreenReport – Il Perù nel caos dopo la “sangrienta jornada”. 18 morti e 112 feriti a Puno (VIDEO)

#Iran
la Svolta – Gli iraniani protestano per fermare le esecuzioni

#Brasile
Dagospia – CHI HA SOFFIATO SUL FUOCO DELLA RIVOLTA IN BRASILE?
ISPI – Brasile: in piazza per la democrazia

#Israele
Lifegate – Il governo estremista di Israele ha vietato l’esposizione di bandiere palestinesi

#carbone
The Guardian – Climate activists ‘prepared to risk lives’ to stop German coalmine

#Cop28
GreenMe – La COP28 sarà presieduta dall’amministratore delegato di una compagnia petrolifera

#idrocarburi
GreenReport – La Scozia non vuole più trivellare nuovi giacimenti di petrolio e gas. Ma Londra sì

#caccia
Italia che Cambia – Emendamento Far West: il Governo ribadisce la supremazia dell’essere umano sul mondo animale

#Cartabria
L’Indipendente – Il disastro della legge Cartabia: migliaia di sequestratori, ladri e aggressori impuniti

#Wef
Ansa – Davos: i rischi immediati minacciano gli sforzi sul clima

#Ue-Nato
Internazionale – Il nuovo dialogo con la Nato rallenta l’autonomia dell’Ue

#litio
Il Caffé Geopolitico – Il litio in America Latina, una risorsa chiave per il futuro

#biodiversità
The Guardian – Madagascar’s unique wildlife faces imminent wave of extinction, say scientists

#mobilità
la nuova ecologia – Mobilità, dal gennaio 2024 tutta Milano sarà zona 30

#Ilva
Ansa – Ex Ilva: agglomerazione, attivato terzo impianto Meros

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