5 Mar 2019

La Terra è più verde. Giuseppe Barbiero: “Una notizia storica”

Per la prima volta nella storia dell’umanità gli esseri umani hanno contribuito ad aumentare la superficie verde della Terra. “Segno che malgrado i nostri limiti ed errori siamo una specie resiliente”. Approfondiamo con Giuseppe Barbiero, biologo e ricercatore, i risultati di un recente studio che attesta l'aumento dell'area verde globale del nostro pianeta.

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Uno studio sui dati dei satelliti Nasa, condotto dalla Boston University e pubblicato nell’ultima edizione di Nature Sustainability, mostra che oggi la Terra è più verde rispetto a 20 anni fa grazie soprattutto a Cina e India che hanno aperto la strada al rinverdimento del pianeta, attraverso programmi di piantumazione di alberi in Cina e tramite l’agricoltura intensiva in entrambi i Paesi.

 

Come interpretare i risultati di questa ricerca? Che nesso c’è tra la maggiore concentrazione di CO2 nell’atmosfera e l’aumento del verde globale? Queste nuove aree verdi hanno anche un ruolo nel rallentare il crollo della biodiversità? Ne abbiamo parlato con Giuseppe Barbiero, biologo, ricercatore e docente di Ecologia e Biologia Generale all’Università della Valle d’Aosta.

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Secondo la Nasa “il mondo è letteralmente un luogo più verde di 20 anni fa” e l’area globale verde è aumentata del 5% in questo secolo. Come commenta questa notizia?

 

È una notizia storica. Non era mai successo che globalmente l’umanità contribuisse ad aumentare anziché diminuire il manto verde del pianeta. Tutti i dati paleoecologici che possediamo dimostrano un impatto negativo della nostra specie sugli ecosistemi. Tendenza che è peggiorata nel Neolitico, fino a diventare parossistica con la rivoluzione industriale. Per la prima volta nella storia dell’umanità registriamo un’inversione di tendenza. Il che dimostra che possiamo collaborare con Gaia. Basta volerlo.

 

Nello studio si legge che il contributo della Cina alla tendenza di inverdimento globale deriva in gran parte dai programmi di conservazione ed espansione delle foreste (42%). Un altro 32% per la Cina e l’82% in India derivano invece da colture intensive di prodotti alimentari. L’agricoltura intensiva non ha anche delle implicazioni negative?

 

L’agricoltura intensiva è monoculturale quindi, per definizione, riduce la biodiversità. La Cina e l’India sono i due paesi più popolosi al mondo e devono sfamare ogni giorno una popolazione complessivamente di 2700 milioni di persone. Tuttavia, la Cina, con un tasso di fertilità totale di 1,6 figli per donna, è da tempo in transizione demografica. L’India, con un tasso di fertilità di 2,3 figli per donna, è ancora in crescita demografica, ma è molto rallentata ed è ormai prossima al tasso di sostituzione (2 figli per donna). È interessante osservare che, negli ultimi 20 anni, in India e in Cina la superficie dedicata alle coltivazioni è rimasta grosso modo la stessa, coprendo circa 2 milioni di Kmq. Questo è un dato importantissimo. Vuol dire che è migliorata la tecnologia dell’agricoltura che oggi può ‘rinverdire’ aree prima aride o addirittura desertiche.

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Malgrado l’aumento dell’area verde globale (aumentata del 5% in questo secolo, un’area equivalente a tutta la Foresta pluviale Amazzonica) gli studiosi hanno lanciato però un monito, invitando a non abbassare la guardia in merito alla deforestazione di Paesi tropicali come Brasile e Indonesia. Gli studiosi hanno spiegato che tale perdita naturale non può essere compensata dalla crescita del verde in altre nazioni, questo a causa della contemporanea riduzione in termini di biodiversità e sostenibilità. Com’è la situazione della biodiversità? Queste nuove aree verdi non hanno un ruolo anche nel rallentarne il crollo?

 

No, purtroppo non si può sostituire la foresta tropicale pluviale con altri tipi di foreste. Le foreste tropicali pluviali si chiamano così perché le precipitazioni superano i 250 cm/anno. Questa enorme umidità permette di avere un’immensa ricchezza di specie, oltre 500 specie vegetali diverse per kmq. Per questo le foreste tropicali pluviali rappresentano l’habitat di gran parte delle specie viventi che abitano la Terra. Perdere le foreste tropicali pluviali significa perdere gran parte della biodiversità del pianeta, biodiversità non sostituibile e non recuperabile in tempi umani. La deforestazione in atto in Brasile e in Indonesia è perciò molto preoccupante e giustamente gli scienziati lanciano l’allarme. Tanto più che le leadership locali, rispettivamente di Jair Bolsonaro e di Joko Widodo, sembrano del tutto inadeguate ad affrontare la sfida.

 

Secondo lo studio l’aumento di aree verdi è in gran parte dovuto (circa il 70%) a un aumento della CO2 nell’atmosfera. Questa non sembra proprio una buona notizia, giusto?

 

Dipende da come la si guarda. La cattiva notizia è che i sapiens hanno rotto l’equilibrio tra respiratori e fotosintetizzatori aumentando la concentrazione di CO2 atmosferica. Ma questo lo sapevamo già. La buona notizia è che Gaia sta reagendo aumentando l’attività dei fotosintetizzatori. E questo spiega il 70% dell’aumento delle aree verdi.

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Cosa sono i cicli di retroazione (positivi e negativi)? Quali sono quelli principali legati al fenomeno del cambiamento climatico?

Gaia è un sistema dinamico capace di tener conto degli esiti della propria attività per poter modificare le sue stesse caratteristiche. Ciò è possibile perché Gaia è dotata di anelli di retroazione negativa, che tendono a smorzare le oscillazioni del sistema. Per esempio, sappiamo che il cambiamento climatico è un effetto del riscaldamento globale, che a sua volta è un effetto dell’aumento della concentrazione di CO2 nell’atmosfera. In termini tecnici, quindi, l’aumento della CO2 è un effetto di uno squilibrio nel ciclo biogeochimico del carbonio, determinato dall’aumento dell’attività della gilda dei ‘respiratori’.

 

L’aumento della CO2 viene mitigato dalla gilda dei ‘fotosintetizzatori’, che funge da anello di retroazione negativa, per restituire l’equilibrio al sistema. Tuttavia, non dobbiamo illuderci. I sistemi di retroazione negativa hanno i loro limiti che non devono essere superati, altrimenti lo stato del sistema si sposta in maniera irreversibile. Inoltre, dobbiamo tener conto che in situazioni perturbate come quella che stiamo vivendo, può sempre attivarsi un anello di retroazione positiva.

 

Un esempio ben noto è il ciclo del solfuro dimetile (DMS) nell’atmosfera: (1) il riscaldamento globale aumenta la temperatura (T) degli oceani; (2) l’aumento della T degli oceani diminuisce la popolazione del fitoplancton; (3) la riduzione della popolazione del fitoplancton provoca una riduzione nella produzione e nella liberazione nell’atmosfera del DMS; (4) la riduzione del DMS – che ha una funzione aggregante nei confronti delle particelle di vapore acqueo presenti nell’atmosfera – rende più difficile la formazione delle nubi bianche; (5) la diminuzione delle nubi bianche riduce l’albedo del pianeta; (6) la riduzione dell’albedo favorisce un aumento del riscaldamento globale. L’anello si chiude al punto (6) con un ritorno al punto (1), generando però un’amplificazione del fenomeno del riscaldamento globale.

 

Rama Nemani, ricercatore presso il Centro di ricerca Ames della Nasa e coautore dello studio, spiega: “Quando è stato osservato per la prima volta l’aumento di verde della Terra, abbiamo pensato che fosse dovuto a un clima più caldo e umido e alla fertilizzazione dovuta al biossido di carbonio aggiunto nell’atmosfera”. Ma, con i dati dei satelliti Terra e Aqua della Nasa, gli scienziati hanno capito che anche gli esseri umani stanno contribuendo. “Gli esseri umani sono incredibilmente resilienti, questo è ciò che vediamo nei dati satellitari”, ha detto Nemani. Cosa ne pensa? Concorda con il ricercatore?

 

Assolutamente d’accordo. Ramakrishna Nemani è uno dei massimi esperti nell’analisi dei dati satellitari. Nell’intervista che lei cita, Nemani aggiunge: “Una volta che le persone si rendono conto che c’è un problema, tendono a risolverlo. Negli anni ’70 e ’80 in India e Cina, la situazione intorno alla perdita della vegetazione non era buona. Negli anni ’90, la gente se ne è accorta e oggi le cose sono migliorate”. Non posso che sottoscrivere: abbiamo molti limiti, ma siamo una specie resiliente, capace di capire gli errori e di correggerli.

 

 

 

 

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