Ad Arborio la costruzione di un maxi-allevamento di galline al posto delle storiche risaie sta sollevando proteste
Tra proteste, inchieste e silenzi imbarazzanti, prende forma un impianto da 275mila galline in batteria. Gli ambientalisti parlano di “catena di montaggio disumana”, mentre il territorio rischia di perdere il suo volto agricolo e identitario.
Un impianto industriale da 275.000 galline sta sorgendo dove, fino a pochi mesi fa, si coltivava uno dei risi più rinomati d’Europa. È quanto accade ad Arborio, nel cuore della Baraggia vercellese, storica culla del riso Dop, oggi epicentro di una trasformazione controversa che sta facendo discutere ambientalisti, cittadini e, per ora con sorprendente discrezione, anche i risicoltori.
Il progetto, portato avanti dalla Società Agricola Bruzzese (attiva nel settore avicolo dal 1968), prevede la costruzione di due enormi capannoni industriali dove ogni 14 mesi verranno allevate in batteria oltre 270mila galline ovaiole. Un’operazione su scala industriale che sta già modificando radicalmente il paesaggio e l’identità agricola dell’area, a scapito di un territorio da sempre vocato alla risicoltura.
A sollevare l’attenzione pubblica è anche la tempistica del progetto: il 22 dicembre 2022 il Consiglio comunale di Arborio ha rimosso all’unanimità il vincolo di inedificabilità dell’area agricola, e appena cinque giorni dopo l’impresa ha depositato la richiesta per l’avvio dei lavori.
Un’accelerazione giudicata sospetta dal Comitato Riso, nato spontaneamente tra i residenti per contrastare il maxi-allevamento. “Abbiamo presentato un esposto in procura per far luce su questo iter anomalo,” denuncia il portavoce Raffaele Vota.
La struttura – già in parte visibile – è destinata a diventare una megalopoli per galline, con evidenti ricadute ambientali, oltre che etiche: si stimano oltre 9.000 metri cubi di letame all’anno, che verranno rimossi tramite nastri trasportatori e smaltiti in un impianto esterno a biogas.
Una gestione che, secondo il Comitato, rischia di generare odori persistenti, emissioni di ammoniaca e impatti sulla qualità dell’aria e del suolo. Un vero e proprio cambio di paradigma per un comune di appena 800 abitanti, immerso fino a ieri nel paesaggio ordinato delle risaie.
Preoccupazioni condivise dalle associazioni ambientaliste: “Si tratta di catene di montaggio disumane – denuncia Gian Piero Godio, di Legambiente e Pro Natura Vercelli –. Le galline vivranno in spazi ristretti, in condizioni che favoriscono la diffusione di malattie come l’influenza aviaria.” Anche Greenpeace sottolinea i rischi sanitari e ecologici legati all’intensificazione zootecnica, soprattutto in aree a vocazione agricola di pregio.
Il progetto ha scatenato presidi e proteste. Gruppi come “Galline in Fuga” e “Movimento Antispecista Radicale” hanno manifestato più volte sul posto, arrivando a incatenarsi alle recinzioni del cantiere. La tensione ha richiesto l’intervento della Digos, ma i lavori proseguono: la società insiste di agire nel pieno rispetto delle autorizzazioni.
A sorprendere, però, come denuncia Gambero Rosso, è il silenzio del mondo risicolo. Nonostante l’impianto possa compromettere il prestigio e la salubrità del riso Dop di Arborio, i produttori locali non hanno finora preso posizione pubblica. Un’assenza che lascia spazio a domande: si tratta di disinteresse? Timore di esporsi? O di un tacito assenso?
Quel che è certo è che la Baraggia sta cambiando volto. Dove un tempo le risaie riflettevano il cielo e raccontavano la storia agricola della pianura padana, ora prende forma un nuovo paesaggio dominato da cemento, odori e allevamento intensivo. Una scelta che, al di là delle uova e dei numeri, pone una questione più profonda: quale futuro vogliamo per il nostro territorio?
La vicenda di Arborio si inserisce in un contesto più ampio di riflessione sul rapporto tra produzione alimentare, ambiente e identità locale. In un periodo in cui il cambiamento climatico impone di ripensare i modelli agricoli, il rischio è che si scelga, ancora una volta, la strada più breve. Ma non sempre la più sostenibile.
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