In Burkina Faso il riscatto delle donne passa per i tessuti tradizionali
Si chiama “Faso Danfani – Koko Donda”, ed è un progetto italo-burkinabé recentemente presentato a Milano. Offre formazione, reddito e riscatto a donne in condizioni di fragilità.
Non solo stoffe e cuciture, ma diritti, dignità e futuro. Il progetto “Faso Danfani – Koko Donda”, presentato a Milano il 19 ottobre, racconta una storia di cooperazione internazionale e impresa etica che punta a trasformare la vita di molte donne burkinabé attraverso la riscoperta di un mestiere tradizionale, quello della tessitura.
Faso Danfani e Kôkô Donda sono i nomi di due tessuti tradizionali del Burkina Faso, lavorati a mano con cotone locale secondo antiche tecniche artigianali. Il Faso Danfani, che significa letteralmente “tessuto della patria”, è un simbolo nazionale di identità e orgoglio culturale, rilanciato negli anni ’80 da Thomas Sankara per promuovere l’autosufficienza e il “consuma burkinabé”. Il Kôkô Donda, meno noto ma altrettanto ricco di significato, identifica un tipo di tessuto originario della città di Bobo-Dioulasso, legato a una tradizione tintoria locale. Entrambi rappresentano non solo bellezza estetica, ma anche radicamento territoriale, saperi femminili e possibilità di riscatto sociale.
Il progetto nasce dall’incontro tra tre soggetti solo apparentemente lontani: l’azienda marchigiana Caffè Pascucci, da tempo impegnata nella sostenibilità ambientale e sociale e che porta la sua esperienza imprenditoriale nel campo della torrefazione del caffé, l’Associazione Speranza-Teebo con sede a Ouagadougou (capitale del Burkina Faso), che conosce il territorio e lavora sul campo con le donne, e l’organizzazione Mani Tese ETS, che porta la sua esperienza nella cooperazione internazionale, sostenibilità ed empowerment. Obiettivo comune: sostenere l’autodeterminazione femminile in un contesto segnato da povertà strutturale e diseguaglianze di genere.
Cuore pulsante dell’iniziativa è la realizzazione di un laboratorio artigianale presso la sede dell’associazione Speranza-Teebo, nel quartiere di Tampouy, nella periferia della capitale burkinabé, dove le partecipanti – una ventina per ciclo formativo – apprendono l’arte della tessitura e del cucito tradizionale. I tessuti Faso Danfani e Koko Donda, oltre a rappresentare simboli di identità culturale, diventano così strumenti di emancipazione economica.
La presentazione, che si è svolta al Caffè Pascucci di piazza Duca d’Aosta, a Milano, è stata condotta da Michele Dotti, direttore de L’Ecofuturo Magazine, affiancato da Jeannette Kuela, fondatrice dell’Associazione Speranza-Teebo, e da Mario Pascucci, CEO di Caffé Pascucci. Le loro parole hanno tracciato un percorso di sviluppo che va oltre la solidarietà: «Non è assistenzialismo – ha precisato Kuela -, è un cammino di autonomia e trasformazione. Vogliamo che queste donne diventino protagoniste della propria vita, portatrici di speranza e cambiamento».
La forza del progetto risiede proprio nella sua capacità di generare impatto concreto: ogni donna formata è una madre che può garantire un pasto in più ai figli, un’istruzione che altrimenti sarebbe negata, una presenza più attiva nella vita della comunità. Il reddito prodotto diventa leva di riscatto collettivo, interrompendo il ciclo intergenerazionale di esclusione. Il laboratorio non è solo un luogo fisico, ma uno spazio simbolico dove si tesse un nuovo possibile.
Caffè Pascucci ha scelto di legare il proprio marchio a questo progetto in modo tangibile: con un ordine significativo di prodotti realizzati dalle artigiane, come shopper e grembiuli da lavoro, realizzati con i tessuti locali. I grembiuli saranno indossati dai baristi nei locali dell’azienda in Italia, trasformandosi in un simbolo visibile di connessione tra mondi diversi, ma uniti dal rispetto per il lavoro manuale e dalla volontà di promuovere un’economia più equa. «Questo non è marketing – ha dichiarato Mario Pascucci – ma un impegno profondo per un modello imprenditoriale che integra etica, estetica e responsabilità sociale».
Il progetto si inserisce in un’ottica di lungo periodo. L’indipendenza economica delle donne coinvolte si riflette su più livelli: riduce l’insicurezza alimentare, limita l’abbandono scolastico, rafforza le reti comunitarie. È un esempio pratico di come la formazione professionale possa intrecciarsi con l’inclusione sociale, producendo risultati duraturi e replicabili. Durante l’evento, il pubblico ha potuto sperimentare un viaggio sensoriale tra aromi di caffè specialty e storie di resistenza, dimostrando che sostenibilità e bellezza possono convivere.
“Faso Danfani – Koko Donda” rappresenta un tassello importante di una narrazione diversa, che non si limita a denunciare le ingiustizie ma cerca di raccontare come, anche in contesti difficili, si possano costruire alternative. È una storia che parla di donne, di stoffe, di mani che lavorano e cuori che sperano. E invita ciascuno di noi a riflettere sul proprio ruolo nel cucire un futuro più giusto.







Commenta l'articolo
Per commentare gli articoli registrati a Italia che Cambia oppure accedi
RegistratiSei già registrato?
Accedi