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10:16 11 Luglio 2025 | Tempo lettura: 3 minuti

Fast fashion, in Africa ci sono montagne di rifiuti tessili provenienti dall’UE

L’impatto dell’industria tessile e della fast fashion è devastante. Ogni giorno circa 48 tonnellate di capi diventano rifiuti.

Autore: Redazione
fast fashion africa

In quindici anni la produzione tessile al livello mondiale è raddoppiata, anche se più della metà degli abiti acquistati viene dismessa dopo poche volte che viene indossata o addirittura non viene neanche usata entro il primo anno di vita. L’indice medio di utilizzo è diminuito del 36% e ogni anno vanno in fumo 460 miliardi di prodotti non usati.

Il mondo della moda è il quarto emettitore di fattori climalteranti al mondo – è previsto un aumento di emissioni del 60% entro il 2030 – e rappresenta un settore devastante che produce circa 83 milioni di tonnellate all’anno di rifiuti tessili, di cui solo una piccolissima parte è riciclabile. 

Desta inquietudine il nuovo report di Greenpeace Africa, “Draped in Injustice”, che fotografa l’impatto devastante dell’industria tessile nel continente nero e il commercio degli abiti di seconda mano. Solo nel 2019, l’Africa ha ricevuto il 46% del tessile in uso in Europa che per la metà erano prodotti di scarto buoni solo a contribuire all’inquinamento. 

Angola, Kenya, Repubblica Democratica del Congo, Tunisia, Ghana e Benin nel 2022 hanno importato insieme quasi 900 mila tonnellate di abiti usati. La stessa quantità di abiti di seconda mano è toccata, da sola, al Kenya e all’Uganda. Nel caso del Kenya la metà degli abiti non è stata rivenduta a causa di una qualità scadente e/ o di danneggiamenti. Gli abiti scartati sono finiti in discarica, bruciati all’aperto o lungo corsi d’acqua.

È questo il destino, ogni giorno, di circa 48 tonnellate di capi che si trasformano in rifiuti: spiagge, reti da pesca, fiumi sono letteralmente ricoperti di indumenti che creano delle vere e proprie discariche anche in zone speciali, come nel caso di Accra all’interno di una delle zone umide riconosciute d’importanza internazionale dalla Convenzione di Ramsar.

«Il documento pubblicato da Greenpeace Africa descrive una situazione allarmante, evidenziando gli impatti ambientali e sanitari di un fenomeno ormai fuori controllo: il commercio degli abiti usati in territori estremamente vulnerabili. Per affrontare la crisi dei rifiuti tessili devono essere messe in atto nuove politiche che riescano a contrastare efficacemente l’inquinamento ambientale», sottolinea Chiara Campione di Greenpeace Italia. «È fondamentale affrontare il problema all’origine, intervenendo su sistemi di produzione insostenibili come il fast fashion e l’ultra fast fashion».

A marzo 2022 è stata approvata la Strategia europea per prodotti tessili sostenibili e circolari, che prevede di estendere la responsabilità dei produttori (EPR) all’intero ciclo di vita del prodotto tessile e norme più severe sull’esportazione del tessile verso Paesi non OCSE. La regolamentazione è ancora in fase di sviluppo, ma non è stata ancora delineato un quadro globale chiaro che garantisca la piena responsabilità dei produttori per l’intero ciclo e che supporti le regioni più colpite dalle conseguenze delle esportazioni dall’UE.

Anche i consumatori e le consumatrici possono fare la differenza. Nei giorni scorsi Italia che Cambia ha pubblicato una guida per imparare a ridurre giorno dopo giorno questo impatto. La Guida al vestire consapevole, un vademecum semplice e chiaro, è ricco di consigli pratici per: dare nuova vita ai vestiti che hai già, anziché buttarli, imparare a leggere le etichette e riconoscere i materiali più inquinanti, ma anche scegliere con più attenzione quando acquisti un nuovo capo e scoprire il valore di riuso, riparazione e condivisione.

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