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10:30 8 Ottobre 2025 | Tempo lettura: 4 minuti

Il governo accelera sul ritorno al nucleare: approvato il ddl che ne definisce la cornice giuridica

Approvato il disegno di legge per rilanciare il nucleare. Lo Stato centralizza le decisioni, i privati si assumono i costi. Ma l’Italia aveva detto due volte no, e la partita democratica è tutt’altro che chiusa.

Autore: Redazione
small modular reactors

Il governo ha approvato un disegno di legge che punta a rimettere il nucleare al centro della strategia energetica del Paese. Un cambio di rotta netto, che arriva in un momento delicato della transizione ecologica, ma che riapre anche domande profonde sul nostro rapporto con questa tecnologia, sulla partecipazione dei cittadini e sulla direzione che vogliamo dare al futuro energetico di un Paese cha ha già detto no due volte all’atomo.

Il testo, approvato il 2 ottobre dal Consiglio dei ministri, definisce una cornice giuridica e organizzativa per quello che viene chiamato “nucleare sostenibile”. In pratica, si stabilisce che sarà lo Stato, attraverso il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, a gestire tutte le autorizzazioni necessarie per costruire nuovi impianti o laboratori. Una procedura unica e centralizzata, che supererà i pareri di Comuni e Regioni, anche quando queste si dichiareranno contrarie. Il governo potrà infatti intervenire direttamente, se gli enti locali dovessero bloccare o ritardare i progetti.

Un elemento centrale è che il titolo autorizzativo varrà anche come variante urbanistica e potrà prevedere espropri e dichiarazioni di pubblica utilità. In sostanza, si sceglie una strada veloce e accentratrice, che rischia di limitare il confronto con i territori. È una scelta forte, che solleva dubbi sul rispetto del principio di sussidiarietà e del diritto delle comunità a partecipare alle decisioni che le riguardano.

Ma c’è un altro elemento che rende questo ritorno del nucleare particolarmente delicato: l’Italia ha già votato due volte contro il nucleare, nel 1987 e nel 2011. Due referendum, entrambi con esiti chiari e una partecipazione ampia, in cui milioni di persone hanno detto no a questa tecnologia.

Il disegno di legge prevede che i costi – dalla costruzione alla gestione dei rifiuti radioattivi – siano interamente a carico dei privati. Lo Stato non spenderà nulla, ma si limiterà a fissare le regole. È il cosiddetto modello “a rischio d’impresa”. Un approccio che sposta tutte le responsabilità su chi investirà nel nucleare, con l’idea che in questo modo si potranno attrarre fondi privati e anche finanziamenti “verdi”, in linea con la tassonomia europea delle attività sostenibili.

Sul fronte scientifico e formativo, il testo punta a coinvolgere università e centri di ricerca per creare competenze e definire standard di sicurezza e qualità. Si guarda soprattutto ai nuovi reattori modulari (Small modular reactors, Smr), più piccoli e teoricamente più sicuri, su cui sta lavorando anche Nuclitalia, una società creata pochi mesi fa da Enel, Ansaldo Energia e Leonardo. Una filiera nazionale che il governo vorrebbe rendere competitiva sul piano internazionale.

Non mancano però le perplessità. Gli Smr, spesso presentati come la nuova frontiera del nucleare pulito e sicuro, presentano tuttavia diverse criticità. Innanzitutto, non risolvono il problema delle scorie radioattive, che rimane analogo a quello dei reattori tradizionali e, secondo alcuni studi, potrebbe persino aggravarsi in proporzione all’energia prodotta.

Anche sul fronte della sicurezza, i dati reali sono ancora scarsi: se da un lato la potenza ridotta dovrebbe limitare i rischi, dall’altro la diffusione capillare di numerosi piccoli impianti potrebbe aumentare i problemi di controllo, vigilanza e potenziali minacce di sabotaggio.

A ciò si aggiunge il fatto che gli SMR sono una tecnologia ancora acerba, con pochi prototipi operativi, costi di costruzione elevati e progetti pilota spesso sospesi o ridimensionati. Tutto ciò alimenta forti dubbi sulla loro reale scalabilità industriale e sostenibilità economica, in un contesto in cui le rinnovabili restano oggi più rapide e convenienti da implementare.

Infine resta aperta una domanda centrale: possiamo davvero parlare di energia sostenibile senza un coinvolgimento reale dei cittadini, in un Paese che per due volte si è opposto all’energia nucleare?

Il governo promette campagne informative e momenti di consultazione, ma non chiarisce come queste saranno strutturate né che peso avranno nelle decisioni finali.

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