Gli insetti provano dolore? Ecco gli studi che potrebbero cambiare il nostro modo di relazionarci con loro
Ricerche recenti mettono in dubbio l’idea diffusa che gli insetti siano automi privi di sensazioni, spingendoci a ripensare il nostro approccio etico verso di loro.
Per lungo tempo, gli insetti sono stati trattati come organismi primitivi, incapaci di provare dolore o emozioni. Considerati automi biologici, erano esclusi dalle riflessioni etiche riservate ad altri animali. Ma oggi questa convinzione è sempre meno scontata.
L’ipotesi che possano sperimentare forme di sofferenza sta prendendo piede nella ricerca scientifica. Non si tratta solo di riflessi automatici, ma della possibile presenza di stati mentali complessi, come suggeriscono studi recenti riportati da Il Post e approfonditi dal New Yorker.
Il punto di partenza è la nocicezione, cioè la capacità di percepire stimoli dannosi e reagire di conseguenza. Ma percepire un danno non significa necessariamente provare dolore, che invece implica una componente emotiva e cosciente. La vera questione è se gli insetti siano in grado di integrare l’informazione sensoriale con un’esperienza soggettiva.
Per affrontare il tema, alcuni ricercatori hanno elaborato un sistema basato su otto criteri, che valuta elementi come la presenza di recettori nervosi, la capacità di apprendimento e memoria, comportamenti di autoprotezione o reazioni modulabili agli stimoli. Diverse specie, tra cui mosche, scarafaggi e api, soddisfano parte di questi criteri, lasciando spazio al dubbio.
Alcuni esperimenti sembrano rafforzare questa ipotesi. In uno di questi, i bombi hanno dimostrato di modificare il proprio comportamento in base al compromesso tra dolore e ricompensa, scegliendo consapevolmente una fonte di zucchero più rischiosa ma vantaggiosa. In altri casi, come nelle formiche Megaponera analis, si osservano interazioni sociali in cui gli individui feriti vengono aiutati e curati.
Non tutti gli scienziati concordano. Le strutture nervose degli insetti sono meno interconnesse rispetto a quelle dei vertebrati e la comunicazione tra le diverse aree cerebrali è limitata. Secondo una parte della comunità scientifica, questo renderebbe improbabile una reale percezione del dolore.
Ma il punto centrale, come spiega al New Yorker Lars Chittka, neuroscienziato tra i massimi esperti mondiali nel campo della cognizione e del comportamento degli insetti, non è dimostrare il dolore con certezza assoluta – cosa impossibile, anche negli esseri umani – quanto accumulare indizi da discipline diverse per valutare la probabilità. Da qui, alcuni studiosi propongono un cambio di paradigma: invertire l’onere della prova. Invece di attendere la prova definitiva che gli insetti soffrano, occorrerebbe dimostrare il contrario prima di infliggere potenziali sofferenze.
Questa prospettiva, se accolta, potrebbe avere implicazioni profonde. La ricerca scientifica, l’uso di pesticidi, l’allevamento di insetti per l’alimentazione: tutti ambiti che oggi si basano sull’idea che questi esseri viventi non sentano nulla. E se fosse un errore?
Rimettere in discussione la nostra posizione rispetto agli insetti non significa umanizzarli o bloccare la ricerca, ma guardare con maggiore responsabilità e consapevolezza a come interagiamo con ogni forma di vita. Anche con quelle che di solito ignoriamo.







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